La maratona diplomatica di Hollande

La Repubblica: “Francia, la portaerei contro l’Is. Trovata a Parigi cintura esplosiva”, “Asse Hollande-Cameron sui raid. Bruxelles, una settimana di coprifuoco. Gli Usa: allerta globale”.

Più in basso, gli sviluppi dell’inchiesta da Bruxelles, firmata da Carlo Bonini e Fabio Tonacci: “’E ora si teme per il Papa in Africa’”. Di fianco, il reportage, ancora dalla capitale belga, di Daniele Mastrogiacomo: “Così il Belgistan fabbrica l’odio”.

In prima anche l’intervista a Massimo D’Alema: “Un Islam europeo per sconfiggere la Jihad”.

E, alla pagina delle “Idee”, l’intervento di Adam Gopnik: “Il terrore si batte anche tornando nei bistrot”.

Sulla politica italiana, gli articoli relativi alle primarie del Pd in vista delle amministrative: “Bassolino, scontro nel Pd. Renzi rinvia tutto a gennaio”, “L’ex sindaco: non si cambiano le regole in corsa”. Per Stefano Folli è un “boomerang ad personam”.

A fondo pagina: “Rivoluzione nelle Ferrovie, andrà ai privati il 40 per cento”.

La Stampa: “Raid e tank, scene di guerra in Siria”, “Prime missioni anti-Isis dalla portaerei francese De Gaulle. I satelliti rivelano movimenti dei carri armati russi contro i ribelli”, “Trovata tra i rifiuti a Parigi una cintura esplosiva, forse è del fuggitivo Salah. Bruxelles rilascia 17 dei 21 arrestati. Renzi lancia una proposta anti-terrorismo”.

Più in basso, un intervento dei ministri degli Esteri italiano e tedesco, Gentiloni e Steinmeier: “’Italia e Germania unite nella sfida migratoria’”.

“Ora serve l’intelligence europea”, scrive in un editoriale in apertura Emanuele Fiore.

Il quotidiano ricorda poi che domani Papa Francesco sarà in Kenya, prima tappa di un viaggio in Africa: “Il Papa in Africa. Allarme attentati”. Ne scrivono Andrea Tornielli e Giacomo Galeazzi.

Sulla politica italiana: “Caso Bassolino, Renzi ferma il caos”, “’Moratoria fino a gennaio sulle primarie’. E i suoi frenano sulla norma ad personam contro l’ex sindaco”. Federico Geremicca, in un commento, critica “la (perdente) strategia dell’attesa”.

Sulle infrastrutture italiane: “Il piano per aprire i treni ai privati”.

Il Corriere della sera: “Parigi-Londra, patto di guerra. Indagini sul barcone che ha portato in Europa due kamikaze. Cintura esplosiva trovata in una banlieue”. “Cameron: nostri aerei anche in Siria. Putin invia i tank, raid dalla portaerei De Gauelle. A Roma summit mondiale anti-Isis”.

“Ribellarsi nel nome di Valeria” è il titolo dell’editoriale firmato da Aldo Cazzullo.

A centro pagina: “Quattro immigrati esplulsi dall’Italia: ‘Sono pericolosi’. Da Bologna trasferiti in Marocco”.

A fondo pagina la notizia della fusione tra Pfizer ed Allergan: “Le nozze miliardarie tra Viagra e Botox. Fusione Pfizer-Allergan. Hillary Clinton: una fuga dal Fisco. I dubbi di Obama”.

Il Manifesto, con foto della Grand Place di Bruxelles presidiata dai militari: “Stati d’allarme”, “A dieci giorni dagli attentati di Parigi buio fitto sulle indagini, liberati quasi tutti gli arrestati in Francia e a Bruxelles. In fuga il ricercato Salah. Mentre il governo belga sequestra l’intero Paese. L’Italia chiede di non alimentare allerte sul Giubileo e i Servi francesi insistono: ‘Rischi per il papa in Africa’. Putin vola in Iran, Kerry nel Golfo. Raid continui in Siria e in Iraq. Nell’area anche la portaerei De Gaulle”.

Massimo Villone, con un commento sulla colonna a destra, si occupa delle “leggi d’emergenza”: “No a un regime di ‘semi-libertà’”.

A centro pagina: “Il governo privatizza le Ferrovie, timori per il servizio pendolari”.

Poi i dati Istat: “lavoro povero, esclusione e deprivazione: ritratto sgomento dell’Italia 2014: uno su 4 a rischio povertà”.

Sulla manifestazione di sabato scorso dei musulmani italiani, “Not in my name” torna Luigi Manconi: “Le parole della piazza e la sordità del Palazzo”.

Su Daesh: “Gli strateghi della guerra inutile”, di Marco Bascetta.

Sulle presidenziali in Argentina: “Vince Macri, miliardario né peronista né radicale. E’ la fine di un’epoca”. Ne scrive Geraldina Coletti.

Poi le notizie dalla Turchia: “Attentato contro il leader kurdo dell’Hdp Demirtas”, di Giuseppe Acconcia.

E il reportage di Sara Prestianni: “Alla frontiera tra Grecia e Macedonia, duemila profughi abbandonati”.

In prima, sulla politica italiana: “Il mostro Marino torna. Il circolo Pd si schiera con lui”. E’ accaduto al circolo San Basilio (“posti in piedi e applausi”).

Il Giornale: “Chi aiuta il killer di Parigi. La caccia a Salah. Se non è stato ucciso dall’Isis, in Europa esiste una rete islamica che lo copre. L’Inghilterra si muove e la Francia schiera una portaerei”.

L’editoriale, firmato da Giuseppe De Bellis: “Resteremo soli come sull’immigrazione”.

Di spalla: “Da Milano a Napoli il Pd si scanna sulle primarie. Sinistra nel caos”.

A centro pagina: “La passerella dei politic alla camera ardente della povera Valeria. Oggi i funerali a Venezia”.

E poi: “Mantovani (finalmente) scarcerato. La gogna dell’arresto preventivo. L’ex vicepresidente lombardo ai domiciliari dopo 41 giorni dietro le sbarre”.

Da segnalare in prima anche il parere di Ennio Doris sul “salvabanche”: “Un dovere morale salvare i correntisti ed evitare il panico”.

Il Sole 24 ore: “In Borsa il 40 per cento di Fs nel 2016. Operazione da 3-4 miliardi. Resta il nodo della proprietà della rete. Via libera in Consiglio dei ministri al Dcpm che avvia la privatizzazione. Saranno coinvolti anche i dipendenti”.

Di spalla: “Cameron: aiuti alla Francia contro l’Isis. Bruxelles, massima allerta fino a lunedì”. “Ritrovata cintura esplosiva a Parigi. Raid francesi dalla portaerei. Allerta Usa sui viaggi”.

A centro pagina: “Piazza Affari promuove il piano salva-banche. In rialzo i titoli bancari. Spunta anche la garanzia della Cdp”.

Belgio

La Stampa: “Scuole chiuse e trasporti fermi. Bruxelles resta una città blindata”, “Almeno fino a lunedì continua il coprifuoco per minacce ‘serie e immediate’. Rilasciati 17 dei 21 fermati durante i blitz. Ma c’è un arresto per gli attacchi di Parigi”, scrive Marco Zatterin dalla capitale belga. Il primo ministro liberale Michel ha ribadito che, come accaduto a Parigi, sono nel mirino gli spazi affollati, i centri commerciali, i cinema.

Su Il Manifesto, pagina 2, corrispondenza di Gabriele Annichiarico da Buxelles: “La ‘massima allerta’ continua”, “Per il governo belga nella capitale ci sarebbe ancora il rischio di attacchi simultanei. Salah Abdeslam è in fuga. Ventuno gli arresti, ma diciannove sono già stati scarcerati”. Scuole e università restano chiuse, così come i musei e i teatri, chiuse metro e linee di tram sotterranee. “Il nostro lavoro non è finito, ma la vita a Bruxelles deve continuare”, ha detto il ministro dell’Interno belga Jan Jambon, senza dare precisazioni sule tempistiche delle operazioni che “restano in ogni caso necessarie”. Ministro di un governo di centro destra, in quota al N-Va, partito nazionalista fiammingo di estrema destra, Jambon era stato al centro di polemiche quando, a proposito di Molenbeek, ha dichiarato che “avrebbe fatto personalmente pulizia”.

Su La Repubblica, il reportage di Daniele Mastrogiacomo da Bruxelles: “Nel cuore dell’Ue pieno di islamisti. Così il Belgistan fabbrica il terrore”, “L’ampio numero di musulmani, gli alti tassi di disoccupazione e la posizione fanno di Bruxelles il rifugio perfetto dei jihadisti”. L’ufficio che si occupa del terrorismo islamico parla di 380 combattenti andati in Siria fino alla metà di quest’anno. Il Belgio si conferma come il Paese che fornisce a Daesh il più consistente battaglione di tutta Europa: 33,9 combattenti per milione di abitanti. Seguono l’Inghilterra (31,0), la Svezia (30,6), la Danimarca (26,3), la Germania (22,3), la Francia (18,1). E come mai si sono trascurati questi pericoli? “C’erano tutti i segnali per capire e intervenire -scrive Mastrogiacomo- Gli assassini di Massud (il comandante afghano ucciso alla vigilia dell’11 settembre, ndr.), sono arrivati da qui; due killer dei commando di Madrid erano partiti dal Belgio. Per non parlare degli altri legami con diversi attacchi, da Charlie Hebdo al treno Thalys”. Insomma il Belgio si è dimostrato “un hub logistico ideale”. Mastrogiacomo interpella Pieter Van Ostaeyen, storico dell’Islam, che spiega le ragioni: “per la sua posizione geografica al centro dell’Europa. Perché ospita una vasta popolazione musulmana, diversa e diffusa sul territorio, nella quale si nascono facilmente quelle più radicali”. Si ricorda che in Belgio nel 2010 è nato il gruppo “Sharia4Belgium”, guidato da Omar Bakri e Anjem Choudary. Dice Van Ostaeyen: “le origini siriane del primo (Bakri) e l’arrivo di Amr al-Absi, una figura chiave nella formazione dello Stato islamico, creano una generazione di jihadisti”. Partono -scrive Mastrogiacomo- quando la guerra in Siria riaccende le speranze di giovani isolati e delusi dal contesto in cui vivono, uomini e donne della terza generazione. “Su 50 combattenti belgi -dice ancora lo studioso- solo il 18 per cento è nato all’estero”

Sul Corriere una intervista allo scrittore belga Pieter Aspe. Parla del suo Paese “bloccato”, dalle misure di sicurezza, dice che “Bruxelles adesso è morta, e per me è una vittoria dei terroristi. Non si può prendere una misura del genere per una settimana o per mesi, e il rischio di un attentato ci sarà ancora tra settimane e mesi. È una dichiarazione di impotenza. O sanno dove si trovano i terroristi, e allora devono andarli a prendere, oppure bloccare una capitale non ha senso”. Sul sistema federale del Paese: “Bruxelles è fatta di diciannove Comuni, ognuno con una propria forza di polizia e un borgomastro (una sorta di sindaco, ndr ), non è una città unica. I francofoni maggioritari non vogliono condividere il potere ed ecco anche perché sono stati permissivi, si trattava di restare popolari tra gli stranieri”. Per esempio a Molenbeek? “«Il borgomastro sapeva benissimo che Molenbeek era diventata uno dei centri dei jihadisti. I piccoli Comuni sono dei piccoli regni, con il loro re e la loro corte. Non c’è alcuna capitale al mondo che abbia 19 borgomastri. Hanno cercato un compromesso, ma così è troppo”.

L’inchiesta

La Repubblica, pagina 2: “Bombardieri dalla Charles de Gaulle. La Francia martella l’Is in Siria e Iraq”. A pagina 6: “In una banlieue trovata la cintura-bomba di Salah. E gli Usa lanciano l’allarme: ‘Evitate i luoghi pubblici’”. Poi l’allarme lanciato dai servizi segreti francesi: “’Anche il Papa nel mirino’”. La cintura esplosiva è stata trovata in un cestino dei rifiuti nella banlieue sud di Parigi, a Montrouge. Carlo Bonini e Fabio Tonacci, che ne scrivono, evidenziano come sia altamente probabile che sia stata abbandonata dal fuggitivo e super-ricercato Salah Abdelslam (“ragionevolmente” la indossava la notte del 13 novembre e se ne sarebbe liberato prima di tornare in Belgio. “Il che -osserva una fonte di Intelligence francese- significa che Saleh è tornato in Belgio ‘pulito’. E tutt’altro che intenzionato a colpire. Quanto, piuttosto, a scappare”).

Su La Stampa: “E in un cestino a Parigi trovata la cintura esplosiva del fuggitivo Abdelslam”, “per gli 007 l’uomo più ricercato d’Europa sarebbe a Molenbeek. E’ stata intercettata una sua chiamata agli amici su Skype”. Ne scrive Niccolò Zancan.

Alberto Mattioli, inviato a Parigi, racconta invece “il caso”: “Molti islamici alla guida dei bus. La Francia ha un altro fronte interno”, “I conducenti musulmani si fermano anche per la preghiera e non salutano le donne. Episodi anche nelle Ferrovie”.

Il Corriere offre un “profilo” di quello che definisce “l’ideatore della strage”, Abu Mohamed Al Adnani, portavoce di Al Baghdadi, “vero regista dell’offensiva”. Siriano, 38 anni, tagli adi 5 milioni di dollari sulla sua testa, lancia gli audio di propagnada, disegna strategie e coordina”.

Anche su Il Giornale. “Al Adnani, crudele e senza volto. Il regista del terrore è in Siria”. “Siriano, 38 anni, è anche il portavoce di Daesh. Ha progettato da casa Parigi, Beirut e l’aereo russo”.

Sul Corriere anche un articolo del settimanale francese L’Obs, firmato da Caroline Michel e dedicato alle concitate fasi degli attentati di Parigi. “Le cinque telefonate del negoziatore prima del blitz: parevano drogati” viste dagli uomini del BRI, il gruppo di intervento rapido che ha diretto l’attacco contro i terroristi chiusi al Bataclan. Il capo della squadra si chiama Pascal e “aveva già gestito le trattative con Amedy Coulibaly al tempo dell’Hyper Cacher. Le cinque telefonate scambiate con i terroristi del Bataclan non sono state come quelle precedenti. ‘Erano molto nervosi, frenetici e confusi, come sotto l’effetto di qualche droga. Continuavano a dire le stesse frasi. Siamo i soldati del Califfato, questa è colpa di Hollande’”.

Sul Corriere Giovanni Bianconi racconta di quattro musulmani espulsi da Bologna: “’Il tempo della jihad è arrivato’. Negati gli arresti, rimpatriati in Marocco. Sui loro pc trovati inni al martirio e manuali di guerriglia”. Vivevano in Italia da divers anni (uno da oltre 15). Per anni sono stati “sotto osservazione” da parte della Digos di Bologna ma alla richiesta di arresto della Procura per “addestramento e attività con finalità di terrorismo internaizonale” il giudice aveva risposto che non c’erano sufficienti indizi per contestare il reato. “Di qui la decisione di intervenire con l’espulsione. Dove si è interrotta l’azione penale è cominciata quella amministrativa”. Per parlare tra loro usavano la piattaforma Paltak, una sorta di Skype già messa sotto osservazione in passato dalla Nsa americana.

Sul Giornale. “Poliziotti senza internet. Il Viminale blocca i pc e i terroristi ringraziano”. “Mentre le forze dell’ordine europee indagano anche sul web in Italia una norma assurda vieta l’accesso alle forze dell’ordine”. A denunciare il blocco, scrive il quotidiano, è il sindacato Silp di Trieste (legato alla Cgil). “Ancora oggi se dagli uffici di polizia si cerca di individuare un sospetto o l’autore di un crimine non necessariamente grave eventualmente presente sui social network”, se si cerca di accedere al suo profilo o s i cerca di acquisre un filmato, “ecco lì comparire l’intimidatorio messaggio ‘accesso negato’”. Solo la polizia postale può accedere a Facebook e ai siti non espressamente autorizzati dal Viminale, scrive il quotidiano.

La guerra

Sul Manifesto, da Parigi, Anna Maria Merlo: “Hollande, maratona diplomatica”, “Il presidente mira a mettere insieme una ‘coalizione’ coerente contro Daesh” in quella che il ministro della Difesa Le Drian ha definito una “guerra ibrida mondiale”. La “svolta securitaria e guerresca del Ps -scrive Merlo- è ormai consumata, la popolazione ancora sotto choc dopo gli attentati del 13 novembre, approva a grande maggioranza (73%) e Hollande recupera un po’ di opinioni favorevoli (ormai al 27%). Dopo aver presentato il testo delle risoluzione 2249, votata dal Consiglio di Sicurezza Onu di venerdì, che non autorizza però esplicitamente il ricorso alla forza, i primi caccia partiti dalla Charles De Gaulle sono entrati in azione ieri in Siria (triplicando la force de frappe francese, che resta però limitata, intorno al 5-6% del totale occidentale)”. Ieri Hollande ha reso omaggio alle vittime del Bataclan insieme al premier britannico Cameron, ha ricevuto all’Eliseo il presidente del Consiglio europeo Tusk “per spingere-scrive Merlo- a un maggior coordinamento tra europei, dopo le falle dei servizi” venute alla luce. E oggi vola a Washington per incontrare Obama. Ma -scrive Merlo- “mentre la Francia sembra disposta a mettere in secondo piano la questione del destino di Assad, gli Usa su questo punto non sono disposti a cadere alla Russia.

Su La Stampa, pagina 2: “Putin mette i tank in prima linea. Raid di Parigi nel Mediterraneo”, “I satelliti Usa fotografano i blindati russi avanzare verso Aleppo. Lo Zar vede Khameney. Cameron offre la base di Cipro alla Francia”. A scriverne è Maurizio Molinari: “Opreazioni di terra contro i ribelli islamici e un summit di guerra a Teheran con Ali Khameney: Vladimir Putin alza il profilo della propria coalizione militare in Siria alla vigilia dell’incontro alla Casa Bianca fra Obama e Hollande. A svelare le operazioni terrestri russe sono i satelliti americani, che osservano, fra le province di Latakia e Idlib, almeno sette tank T-90 russi -che già erano dislocati in Siria a settembre- avanzare contro le posizioni dei ribelli islamici. Al loro fianco, unità della fanteria russa”.

Sulla stessa pagina: “Obama riceve Hollande: sì alla coalizione ma niente sconti a Mosca sull’Ucraina”, “Oltre metà degli americani favorevole all’invio di truppe. La Casa Bianca frena: non ripeteremo un altro Iraq”. Di Paolo Mastrolilli, da New York.

Alla pagina seguente un riquadro illustra la situazione complessiva e i diversi attori: “Attacco in Siria su quattro fronti (ma divisi)”, “Un’eterogenea coalizione sta prendendo forma per l’offensiva terrestre, dopo un anno e mezzo di raid poco incisivi. Truppe e mezzi vengono ammassati. Solo che le potenze rivali hanno fini diversi: riusciranno a mettersi d’accordo?”. E la posizione dei vari attori: Stati Uniti (“Forze speciali per blitz più efficaci”), Russia (“Con la fanteria per riprendere subito Aleppo”), Ribelli curdi-arabi (“Puntare a Raqqa per tagliare i collegamenti con il Nord Iraq” dell’Isis), Iran (“Duemila soldati già al fronte a sostegno di Bashar Al assad”).

Da La Repubblica segnaliamo un reportage di Giampaolo Caladanu da Erbil, Kurdistan: “Con la ‘fanteria’ curda all’attacco del Califfato, ‘Siamo vicini a Raqqa’”, “Gli strateghi preparano l’avanzata a Tal Afar e nelle aree in mano ai fondamentalisti”, “A Erbil il generale Tawfik Dosky esulta: ‘Non siamo soli contro il terrore’”.

Sul Giornale (“L’offensiva”) si parla in particolare della Gran Bretagna, con il premier Cameron “deciso a estirpare il terrorismo. A Hollande concede una base di appoggio a Cipro e stanzia dodici miliardi di sterline”. “Cameron all’attacco. Uomini, fondi e armi per combattere l’Isis”.

Anche sul Sole: “Cameron: aiuti alla Francia e fondi a difesa e sicurezza. Primi bombardamenti francesi sull’Iraq”. “Il governo britannico chiederà ai Comuni il via libera per intervenire anche in Siria”. “Londra prevede di innalzare il budget delle spese militari di 12 miliardi di sterline in 12 anni”.

Sul Sole un articolo sull’incontro ieri a Teheran tra il presidente russo Putin e il presidente iraniano Rohani. “Putin rinsalda l’asse con l’Iran”. “La Guida Superma ha esaltato il leader russo usando uno strumento censurato a Teheran”. Si legge che l’ayatollah Khamenei ha scritto ieri su Twitter, censurato nel Paese, che “Putin è una figura di grande rilievo nel mondo attuale e ha saputo neutralizzare la politica americana che cerca sempre di ridurre i suoi rivali in uno stato di passività”. Gli Usa inoltre “cercano il dominio in Siria per dominare l’intera regione, minacciando così tutti, in particolare Siria e Iran”. Insomma, scrive il quotidiano, “Khamenei elargisce una glorificazione del leader russo che sembra archiviare in scaffali polverosi la lettera inviata nel 1989 a Gorbaciov dall’aytaollah Khomeini, fondatore della rivoluzione islamica iraniana, convinto, a ragione, che la caduta del comunismo fosse imminente”, in cui si invitava il leader sovietico a guardare alla verità dell’islam, perché la spiritualità avrebbe colmato il vuoto lasciato dal comunismo.

Islam, religioni, dibattiti

Su La Repubblica, alle pagine delle “Idee”, un intervento con copyright New Yorker di Adam Gopnik (“Amico parigino, torniamo a vederci al solito bistrot”, “Il fondamentalismo non avrà fine. Ma non può trionfare. Nelle settimane immediatamente successive all’11 settembre chi avrebbe immaginato che l’area attorno a Ground Zero sarebbe rifiorita?”); un’intervista a Michael Ignatieff (“Ci vuole la guerra ma si vince con la battaglia culturale”, “Per sconfiggere il Califfato sono necessarie le truppe di terra in Siria. Però non basta. Dobbiamo avviare programmi di recupero per soffocare il disagio delle nostre periferie”); e una con Giorgio Agamben (“Perché lo stato d’emergenza non può essere permanente”. Critica la decisione di Hollande di modificare la decisione e dice che “è pericoloso accettare qualsiasi limitazione della libertà in nome della sicurezza”).

Il tema sicurezza e leggi d’emergenza viene ripreso da Massimo Villone in prima su Il Manifesto: ci si riferisce in particolare alle modifiche decise dalla Francia sulla legge sullo stato di emergenza del 1955: “per tre mesi si applicano pesanti limitazioni ai diritti e alle libertà, con provvedimenti adottati dalle autorità amministrative e senza intervento del giudice”; si autorizzano perquisizioni a qualunque ora del giorno o della notte in ogni luogo, incluso il domicilio, quando esistono “ragioni serie di pensare che il luogo sia frequentato da persona il cui comportamento costituisce una minaccia per la sicurezza e l’ordine pubblico”.

La Repubblica intervista Massimo D’Alema, che dice: “L’Occidente ha fatto troppi errori, ora uniti contro l’Is”, “Non si può più escludere un intervento di terra. Saggio il basso profilo di Renzi”. Dice D’Alema: “Dobbiamo mettere a fuoco chi è il nemico. Per me, è il fondamentalismo di origine wahabita. Questo comporta per l’Occidente una riflessione seria, perché il fondamentalismo wahabita ha basi in Paesi che sono nostri amici ed alleati. Un discorso chiaro con l’Arabai saudita e con i Paesi del Golfo è stato rinviato per troppo tempo”, “non è una guerra tra l’Occidente e l’Islam. La guerra principale è all’interno del mondo islamico”. E’ importante -dice ancora -che “lo schieramento contro il terrorismo sia il più ampio possibile e coinvolga il maggior numero di Paesi islamici. Gli Stati Uniti hanno messo troppo tempo a capire che occorreva vedere l’Iran come un interlocutore e non come il diavolo: questa è la posizione di Israele, ma non possiamo permetterci di farci dettare la nostra strategia dagli israeliani”; “alla fine Assad se ne dovrà andare”, “in Siria ci vorrà un governo che comprenda anche forze che oggi sostengono Assad, perché non si tratta di un dittatore isolato, ma ha il sostegno di una parte della società siriana”. Per quel che riguarda l’Europa, D’Alema stigmatizza la reazione di “populisti e xenofobi, che vorrebbero sospingere l’Islam nelle catacombe”: “è un errore controproducente. Il nostro vero interesse sarebbe quello di favorire la nascita di un Islam europeo, che purtroppo non esiste, con moschee che operino alla luce del sole e nel pieno riconoscimento pubblico”.

In prima su Il Manifesto Luigi Manconi parla della manifestazione di sabato scorso “Not in my name” dei musulmani italiani: “Erano tanti o pochi” quelli che hanno manifestato contro Daesh e il terrorismo? “Certo, un numero ridotto di persone se ci limitiamo a considerare cifre e percentuali (i musulmani in Italia sono circa 1,5 milioni): ma in realtà moltissime, se osserviamo i processi sociali e culturali che sottostanno a scelte sempre ardue, come quella di prendere posizione e dichiarare da quale parte si sta. Oggi un musulmano, anche in Italia, non gode di uno stato di piena libertà e di autonomia”.

Da segnalare sul Corriere un intervento di Yasmin Choudhury, imprenditrice britannica, musulmana, pubblicato sull’Indepenent: “Io mi ribello ma voi aiutateci”. Dice che come “donna musulmana” gli è stato insegnato fin da bambina che “i ragazzi sono migliori delle ragazze”, che “sono gli uomini a ereditare tutti i beni”, ma tutto ciò è “assolutamente contrario al Corano”, che “il nostro libro sacro parla addirittura di parità di genere, ed è “secondo me la prima vera ideologia femminista”. Da sempre Choudhury invita la sua comunità “a tornare al vero Corano, quello femminista, filantropicamente umanitario e pacifico”.

Il Giornale: “Il film masochista: Dio vive a Bruxelles ed è peggio di Allah”. Si dà conto del film belga Dio esiste e vive a Bruxelles, una “strana e visionaria commedia” del belga Jaco Van Dormael, che ha per protagonista un dio odioso che regna sul mondo dalla capitale belga. “Proprio quando la capitale europea è ostaggio del terrore islamico esce nelle sale una pellicola belga di satira velenosa sul cristianesimo”.

Lo stesso quotidiano ha due pagine dedicate alla riflessione su come rispondere al terrorismo. “Gli intellettuali divisi tra accuse all’islam e colpe dell’Occidente”. “Per i conservatori le stragi non sono responsabilità del mondo libero. Ma per i progressisti sono il frutto delle nostre ipocrisie”, accanto alle foto di Alain Finkielkraut e di Thomas Piketty.

Da segnalare anche sul Corriere una riflessione di Giovanni Belardelli: “Il pericolo di non usare la parola guerra. Il problema nasce quando una cultura è segnata dalla idea del ripudio dei conflitti. Si tratta di un blococ che non aiuta”. “Il fatto di chiamare le cose con il proprio nome è il primo passo per contrastare ciò che attenta alle nostre vite e alla nostra civiltà”.

Pd, primarie

Su La Stampa: “Rissa su Bassolino, Renzi stoppa il caos, ‘Moratoria fino a gennaio sulle primarie’”, “Ma sulla norma ad personam contro l’ex sindaco frenano anche i renziani”.

La Repubblica: “Primarie, scontro nel Pd, il premier ora frena, ‘Ne parliamo a gennaio’”, “’Ora una moratoria’. E propone di farle il 20 marzo. La minoranza: ‘No al cambio di regole ad personam’”.

E il quotidiano intervista lo stesso Bassolino, che dice: “Non penso a liste civiche ma Matteo deve correggere”, “Resto candidato alle consultazioni del centrosinistra. Renzi? Uno bravo come lui non cambia le regole del gioco quando il treno è già partito’”.

Il Corriere intervista il filosofo Biagio De Giovanni. “Non si burocratizza la politica. Temo il neonordismo del partito”. “De Giovannii: ‘irritante escludere l’ex primo cittadino, ha coraggio’”. Dice che è un errore rinviare al 20 marzo le primarie, “concedre due mesi di vantaggio agli avversari mi sembra un errore”. Questo confermerebbe un suo timore: “Che il Pd non voglia davvero occuparsi della città” di Napoli. E poi “escludere dalle primarie gli ex sindaci mi sembra una regola così’ contra personam da apparire a dir poco irritante”, “una “burocratizzazione della politica non degna di Renzi”.

Sul Sole: “Caos primarie nel Pd, Renzi chiede tempo. Il caso Bassolino spacca il partito, la segreteria frena sulle ‘regole’. ‘Il nodo è politico’”. Il quotidiano dà anche conto del “duello” con Pisapia. A Milano le primarie sono già state fissate per il 7 febbraio, a Pisapia non piace lo slittamento al 20 marzo e dice che “se ci sarà qualche motivo e saremo tutti d’acordo si potrebbe anche pensare di modificare. A questo momento rimane il 7 febbraio. C’è una grande differenza tra le primarie del Pd e quelle di coalizione”, dice Pisapia.

Centrodestra

Sul Corriere si parla della “prudenza su Sallusti” del centrodestra che “aspetta i sondaggi”. “L’alta probabilit che il voto per le amministrative slitti all’ultima data utile, il 12 giugno, ha abbassato l’ansa della caccia al candidato”. Secondo il quotidiano Forza Italia avrebbe commissionato alla Euromedia research di Alessandra Ghisleri un sondaggio su quattro possibili candidati: oltre a Sallusti, Anna Maria Bernardini de Pace, Giuseppe Sala e la candidata 5 Stelle Patrizia Bedori.

Anche su Il Giornale: “E Berlusconi lancia i sondaggi sui candidati. Il Cavaliere ai suoi sull’uscita di domenica: ‘Draghi premier? Avete visto, non mi piace”. L’uscita di domenica è stato il nome del presidente della Bce evocato da Berlusconi in un comizio. “Più che altro è stato un sasso nello stagno”, “una sorta di personalissimo sondaggio” che Berlusconi avrebbe fatto. “Certo, il pubblico era leghista che più leghista non si può”, dunque “anti banchiere per eccellenza”. Si legge anche che il nome di Sallusti come candidato a Milano “dovrà essere testato dai sondaggisti al pari degli altri nomi in campo”.

Giustizia

Oggi si presenta davanti al tribunale della Santa Sede il giornalista Gianlugi Nuzzi. Il Giornale lo descrive “in versione Humprey Bogart” con la sua celebre battuta “è la stampa bellezza” trasformato in “è la stampa eminenza…”. “Ecco come metterò alle corde i giudici della Santa Inquisizione”. “In aula spero di denunciare l’assurdità di un sistema giudiziario oscurantista che non riconosce la libertà di manifestare liberamente il pensiero, come sancito dall’articolo 21 della nostra Costituzione”.

Sul Sole si dà notizia degli arresti domiciliari per Mario Mantovani, dopo un mese e mezzo di detenzione a San Vittore, arrestato il 13 ottobre scorso per corruzione, turbativa d’asta e concussione.

Il Giornale: “Mantovani finalmente scarcerato. ‘Dimostrerò la mia innocenza’. L’ex vicepresidente lascia San Vittore dopo 41 giorni. Anche il Gip si accorge che non può inquinare le prove”. “La documentazione digiale e cartacea all’esito delle perquisizioni deve riteneresi ormai esaustiva”, scrive il Gip nel suo sintetico provvedimento.

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