Gran parte dei quotidiani oggi dedica il titolo di apertura all’annuncio della Banca Centrale Europea.
La Repubblica: “Giù i tassi, Draghi spinge la crescita. Il costo del denaro a 0.25 per cento, mai così basso. Borse in altalena, Milano Cade. Il Presidente Bce: ‘Potrebbero scendere ancora’. Legge di stabilità, spunta l’esenzione sulla Tasi per i meno abbienti’”. A centro pagina: “Renzi attacca: la Cancellieri doveva dimettersi”. Di spalla il primo giorno in Borsa per Twitter: “Il cinguettio di Twitter fa impazzire Wall Street. Esordio recordo, più 73 per cento”.
Il Corriere della Sera: “Costo del denaro mai così basso. Draghi taglia i tassi dallo 0.50 per cento allo 0.25. Crescita del Pil Usa superiore alle previsioni”. E poi: “Trovata la copertura per non far pagare la seconda rata Imu”. A centro pagina la “sorpresa Twitter in Borsa”.
Identico il titolo di apertura de La Stampa: “Costo del denaro mai così basso”. A centro pagina, con foto, “il cinguettio che strega la Borsa”. E poi la politica interna: “Pd, l’amarezza di Epifani per il grande pasticcio”, e “Pdl, la contabilità di Verdini in attesa dello scontro finale”.
Il Sole 24 Ore: “La Bce taglia i tassi a sorpresa. Il costo del denaro scende allo 0,25, minimo storico in Europa.. Draghi: ‘Rimarremo su questi livelli o più bassi a lungo’”. E poi: “L’euro crolla a 1,33. Borse negative, Piazza Affari la peggiore (-2,07 per cento).
L’Unità: “Pd, la scure sui congressi. Annullato il risultato di Rovigo, azzerate le assise di trenta circoli a Frosinone, sotto esame a tarda notte, i casi di Trapani, Cosenza, Siracusa, Lecce. Renzi da Santoro attacca Cancellieri: doveva dimettersi”.
Il Fatto quotidiano: “Pdl e Pd, salta tutto. I due partiti delle larghe intese sempre più spaccati. A destra i ministeriali di Alfano minacciano di disertare il Consiglio Nazionale, a la De Girolamo e Lupi si sfilano. B. teme comunque la scissione e l’arresto dopo la decadenza del 27 novembre. A sinistra lo scandalo tessere non si ferma e rischia di infangare le primarie dell’8 dicembre”.
A centro pagina: “Olivetti, così Lucia e gli altri sono morti per l’amianto”, “indagati De Benedetti e Passera”, “inchiesta di Ivrea, i Pm: ‘l’azienda sapeva e non ha fatto nulla’”.
Il Giornale: “Indagato De Benedetti. Morti per l’amianto all’Olivetti, l’editore di Repubblica nel mirino dei Pm. Dalle autorità ai sindacati tutti corrono a difenderlo: è il re degli intoccabili”. In evidenza anche un “sondaggio choc”: “Otto elettori su dieci se ne infischiano delle primarie del Pd. Follia: il partito vuole 3 milioni per la Resistenza. Nel Pdl governisti divisi sul consiglio nazionale. Lupi e De Girolamo: chi diserta fa un errore”.
Libero: “In Europa barano tutti ma paghiamo solo noi. Germania e Olanda violano impunite le regole sul surplus. Francia e altri nove Paesi peggio dell’Italia nel rapporto deficit-Pil. Dobbiamo ribellarci”.
Tassi, economia
Il Sole 24 Ore scrive che la Bce ha sorpreso i mercati tagliando di un quarto di punto il tasso di riferimento allo 0,25 per cento, minimo storico. E’ la risposta al calo dell’inflazione, che ha accelerato nell’ultimo mese in un contesto economico ancora molto fragile. La decisione, anche se i suoi effetti concreti sulla economia reale potrebbero essere limitati, mostra la determinazione della Bce a non lasciare scivolare l’eurozona in una deflazione come quella che è costata al Giappone una lunga fase di stagnazione e a non consentire una restrizione delle condizioni finanziarie, mantenendo i tassi del mercato monetario il più possibile vicini allo zero. In un’analisi di Fabrizio Galimberti si spiega che la deflazione è il frutto di una “domanda scarsa”: “I sodi ristagnano invece di circolare (i finanziamenti della Bce alle banche europee non vengono infatti riprestati a imprese e famiglie, ma investiti in titoli di Stato se non addirittura ridepositati presso la Bce). Il ristagno della domanda costringe quindi i produttori a sacrificare i margini e spegnere rivendicazioni salariali: i prezzi non crescono e, dato che ogni prezzo è un reddito, ristagnano anche i redditi. Insomma, la deflazione alimenta se stessa e il sistema economico rischia di ingripparsi. Basterà il ribassso dei tassi guida a contrastare la china dell’Europa? Un quarto di punto – scrive Galimberti – non è abbastanza per stimolare significativamente la domanda, la gli indicatori di fiducia sembrano puntare su un qualche risveglio della domanda, che la manovra della Bce potrebbe confortare”. Ci sono però due “ma”. “Se la politica monetaria si fa più espansiva, quella di bilancio si mantiene ancora restrittiva, con il cieco perseguire obiettivi di saldi pubblici datati, oggi inadatti e controproducenti. Il secondo ‘ma’ sta nei tassi pagati dalle imprese che, a parità di merito e di prospettive, pagano un costo del denaro diverso a seconda del Paese” dell’Eurozona.
In prima pagina ancora sul Sole Donato Masciandaro scrive che la Bce di Draghi, abbassando i tassi, ha mandato un doppio segnale ai mercati ed alla politica: da un lato, la Bce è una banca centrale indipendente, ma attenta al rischio deflazione, “per cui non ha paura di scontentare sia i falchi amanti della moneta che le colombe affamate di droga monetaria”. Dall’altro, la politica della Bce “continua a cozzare contro l’incapacità delle cancellerie nazionali e di Bruxelles di disegnare le uniche politiche nazionali ed europee efficaci per la crescita, quelle strutturali”. Per Federico Fubini, che ne scrive su La Repubblica, si tratta di “un’altra breccia nel muro tedesco”. Perché sul taglio deciso contro lo spettro deflazione è stata in minoranza l’ala tedesca dell’Eurotower. Anche il corrispondente da Berlino Tarquini scrive che ha vinto “superMario Draghi”, che ha imposto, contro il volere del rappresentante della Bundesbank Iens Weidmann, il nuovo taglio del costo del denaro nell’eurozona.
Sul Corriere della Sera Danilo Taino spiega perché la ricca Germania chieda invece interessi più alti. I grandi investitori internazionali prevedono che le tensioni non possano che crescere su questo fronte, con le politiche di Mario Draghi. I timori sono relativi alle difficoltà di avere un tasso di interesse centrale unico per economie che vanno in direzioni diverse: la Germania ha infatti completamente recuperato i livelli precedenti alla crisi del 2008, visto che il tasso di disoccupazione è ai minimi da 30 anni, il Pil reale tedesco è del 2,5 per cento sopra i massimi raggiunti prima della crisi (mentre nel resto dell’eurozona è sotto del 5 per cento) il tasso di disoccupazione tedesco è vicino al 5 per cento, la dove quello del resto dell’area euro è sul 15. Per la prima volta in Germania crescono i prezzi delle case, la Borsa di Francoforte è circa il 20 per cento più alta del picco pre-crisi. In Germania i tassi di interesse sono già più bassi che negli altri Paesi, perché i mercati continuano a mantenere masse di denaro in titoli tedeschi. Per un privato o una impresa in Germania è meno costoso accedere a prestiti bancari. L’unica cosa che accomuna la Germania al resto dell’eurozona è il tasso di inflazione che non sale.
La Repubblica intervista il Commissario Europeo alla fiscalità Algirdas Semeta. La prima domanda riguarda la trattativa tra Italia e Svizzera per il rientro dei capitali. Semeta dice che la Commissione Ue non conosce i dettagli dell’operazione, ma spiega che esistono regole generali: “Il rispetto del principio di non discriminazione e il rispetto della destinazione della parte relativa all’Iva contenuta nei capitali in rientro e destinata alla Unione Europea”. Sull’ipotesi di cancellazione della seconda rata Imu in Italia: “Ogni misura che adotta in campo fiscale deve essere presa ed analizzata nell’ambito della strategia di raggiungimento dell’obiettivo di bilancio. Dal punto di vista della Commissione, ma anche per il mondo degli economisti e degli studiosi, le tasse sulla proprietà non sono un danno sulla crescita, mentre lo sono quelle sul lavoro e sulle società”.
Sul Corriere della Sera si legge che per la cancellazione della seconda rata Imu, per cui servirebbero in teoria 2,4 miliardi di euro, ma ne basterebbero due se dall’esenzione venissero esclusi terreni e fabbricati agricoli, nel corso della discussione sulla legge di Stabilità sarebbe emersa una ipotesi sul recupero di queste somme: i due miliardi potrebbero arrivare in gran parte innalzando la percentuale dell’acconto Ires che le imprese pagheranno a novembre. In sostanza si tratterebbe di anticipare le imposte al 2014. Il minor gettito che si avrebbe nel 2014 sarebbe compensato da misure che possano dispiegare il loro effetto nell’arco dell’intero anno: per esempio l’aumento dell’aliquota fiscale sulle rendite finanziarie, dall’attuale 20 al 22 per cento.
Pd
Sul Corriere della Sera Paolo Franchi ricorda che in passato nella politica italiana ci sono state polemiche furibonde sui numeri congressuali, sui tesseramenti gonfiati, sui pacchetti di deleghe. Storie che hanno coinvolto tanto la Dc che il Pci o il Psi. Ma “nemmeno nelle loro stagioni più oscure, a nessuno di questi partiti del passato (così come a nessun partito socialista o conservatore europeo del presente) sarebbe mai passato per l’anticamera di cervello di ridurre il congresso ad una pura e semplice conta interna dei voti, saltano a piè pari persino il simulacro di un confronto politico”. Forse – scrive Franchi – “era un ingenuo chi, all’indomani della sconfitta elettorale, invocava per il Pd (se non ora quando) un congresso finalmente ‘vero’. Ma la possibilità di un congresso in cui la discussione politica fosse retrocessa al rango di una eventualità, più o meno come un buffet o l’esibizione di un cantante, non l’aveva messo in conto nemmeno il più caustico degli osservatori”.
“Pd a un passo dal caos totale. In gioco l’essenza del partito” è il titolo di una analisi di Federico Geremicca su La Stampa. Ad un mese dalle primarie, sono esplose le polemiche sui tesseramenti e sul ruolo dei circoli locali: questo “doppio binario” è la chiave di lettura di quel che accade, poiché c’è “quello alto” (l’elezione del segretario da parte dei cittadini) e “quello basso” (l’elezione dei gruppi dirigenti locali). Scrive Geremicca: “Immaginare che l’impegno e l’interesse dei militanti, degli iscritti e dei dirigenti periferici sia catalizzato esclusivamente o soprattutto dalla elezione del leader significa non conoscere i meccanismi di funzionamento di un partito ancora ben strutturato sul territorio. Infatti, sono i livelli di direzione locale, cioè i segretari di circolo – e quelli provinciali e regionali – a gestire importanti ‘posizioni di potere’ in assoluta autonomia da Roma” (dai candidati locali alle elezioni nazionali, passando ai consigli di amministrazione ed enti vari sul territorio). E’ per questo che in casa Pd si attribuiscono a “ras locali” le responsabilità di quanto sta accadendo. Non si tratta di un alibi per scaricare altrove le colpe del Grande Pasticcio, quanto di accendere i riflettori sul fatto che sia in corso uno scontro tra “il partito strutturato” (il partito-ditta, avrebbe detto Bersani) e il partito-liquido (il partito-comunità, direbbe Renzi).
Su La Repubblica troviamo anche una intervista al candidato alla segreteria Pd Cuperlo, che in qualche modo risponde alle dichiarazioni di Renzi ieri allo stesso quotidiano: “Contano gli iscritti, non solo le primarie, così i renziani fanno morire il partito”, “va bloccato tutto per dimostrare che siamo sani”. “Un partito senza iscritti è come una democrazia senza elezioni”, “quando sento liquidare il voto di 330 mila iscritti come l’espressione degli apparati, penso che chi lo dice non sappia di cosa sta parlando”.
E un altro elemento di tensione è giunto ieri dalle dichiarazioni di Matteo Renzi sulla vicenda Cancellieri: “doveva dimettersi. Epifani ha sbagliato a difenderla”, ha detto, come spiega La Repubblica intervenendo alla trasmissione Servizio Pubblico: “Renzi spara sulla Cancellieri per colpire Letta”.
Su Il Giornale sono in evidenza i dati di un sondaggio pubblicato sul sito de L’Espresso i cui contenuti il quotidiano sintetizza così: “Addio Pd, otto elettori su dieci se ne fregano delle primarie”, “secondo un sondaggio de L’Espresso gli elettori democratici disinteressati al futuro leader del partito: il 73 per cento non voterà e l’11 per cento non ha ancora deciso”.
Pdl
Su Europa Francesco Lo Sardo scrive che il Cavaliere non ha ancora deciso se chiudere un accordo con i governativi di Alfano, se rompere o trovare un compromesso: in quest’ultimo caso si tratterebbe di una separazione consensuale che consenta all’ala delle colombe, con il marchio “Pdl” di garantire la maggioranza parlamentare al governo Letta e di sganciare dall’esperienza delle larghe intese la riesumata Forza Italia”. In questo schema Berlusconi resterebbe il leader di riferimento, ma fuori dagli organigrammi delle due formazioni, che potrebbero stabilire tra loro un rapporto federativo. Un altro elemento di incertezza sono i numeri del Consiglio nazionale: lealisti e falchi sostengono di aver raggiunto quota 650 voti nel consiglio nazionale, le colombe se ne attribuiscono 310, per un totale di 960 voti. Peccato che secondo fonti ufficiali il totale dei componenti del consiglio nazionale sia di 800 membri. Secondo i falchi, invece, Berlusconi vorrebbe tirar dritto e schiacciare l’ala di Alfano, innanzitutto per ragioni economiche: Cavaliere, lealisti e falchi vogliono infatti assumere il pieno controllo del Pdl per trasformarlo nella cassaforte della rinascente Forza Italia, che ha un debito di 88 milioni di euro. Il Pdl è in rosso solo di un milione, e vanta crediti di rimborso elettorali per 50 milioni.
Su Il Giornale: “Nonostante l’accelerazione di fatto imposta con la convocazione degli 850 delegati del Consiglio Nazionale, l’ex premier cercherà di convincere Alfano a ritirare il documento dei governativi, invitandoli a sottoscrivere quello approvato dall’ufficio di presidenza, magari ritoccato in qualche punto”. Quello che ha incontrato ieri Alfano è stato secondo il quotidiano un Berlusconi “interlocutorio” che ha tentato di tenere tutto insieme, chiedendo tanto ai governativi che ai lealisti di “contenere gli estremismi”.
Anche secondo La Repubblica Berlusconi frena sulla rottura. Tanto questo quotidiano che Il Foglio danno conto dei numeri che avrebbe consegnato il falco Verdini a Berlusconi sulle firme in Consiglio nazionale sul documento che lancia Forza Italia: “Abbiamo 205 firme, ma ne raccoglieremo alla fine 608”, avrebbe detto Verdini al Cavaliere, aggiungendo che Alfano al massimo sarebbe arrivato a 115 voti, “i restanti 116 sugli ottocento componenti del Consiglio nazionale o non firmano o non si presentano”. Il senatore Augello, ironicamente, interpellato dal Foglio, diceva: “qualcuno dovrebbe informare Berlusconi sul fatto che potrebbe essere stato un antenato di Verdini a fornire la cartina geografica del Tigrè al generale Baratieri prima del disastro di Adua”. E lo stesso Alfano, secondo La Repubblica, avrebbe avvertito Berlusconi: “Presidente, Verdini ti dà numeri sbagliati. Molti dei nostri hanno firmato anche il documento dei falchi, ma stanno con noi”. La Repubblica intervista il ministro Pdl e colomba Gaetano Quagliariello: “Una crisi al buio nella situazione politica e istituzionale attuale potrebbe causare quel collasso definitivo del sistema che abbiamo sfiorato più volte nei mesi scorsi”. La spaccatura del Pdl potrebbe arrivare subito dopo il Consiglio nazionale? “Sì, a meno che in quella sede non si dica una parola definitiva su questi temi sconfiggendo il partito della crisi ad ogni costo”, “o il CN dice una parola decisiva, oppure la divisione non sarà più eludibile”.
Il Corriere intervista un altro ministro esponente del fronte delle cosiddette colombe del Pdl: “Ma che vili e disertori. Sono i presunti lealisti a danneggiare l’ex premier”. Lupi dice che sul documento del loro fronte (che riconferma la leadership a Berlusconi ma anche il sostegno al governo) sono già state raccolte 300 firme.
Il quotidiano sottolinea anche che nel Pdl c’è lite sul voto segreto in Consiglio nazionale sui documenti contrapposti.
Su La Stampa: “Verdini al fianco del capo raduna le truppe fedeli per la battaglia finale”, “al Consiglio Nazionale 650 delegati con il Cavaliere, 130 con Alfano”.
Internazionale
Spiega il Corriere della Sera che Fazlullah è il mandante dell’attacco nel 2012 all’ormai celebre attivista-ragazzina Malala, dopo esser stato, secondo alcuni, l’ispiratore dell’omicidio di Benazir Bhutto nel 2008. E l’uomo che ha terrorizzato tra il 2007 e il 2009 la valle dello Swat decapitando e frustando sulle pubbliche piazze i peccatori e bruciando i negozi di musica e le scuole. L’esercito quattro anni fa si ritirò dalla valle, sconfitto. Il paradosso sta nel fatto che in qualche modo Washington gli ha aperto la via, come effetto dell’uccisione con un drone, venerdì scorso, del suo predecessore, “relativamente moderato”, Hakimullah Mehsud. Ufficialmente il “processo di pace” con i talebani era partito giovedì scorso, e sabato Mehsud, che pur con molte condizioni pareva disposto a trattare, avrebbe dovuto incontrare esponenti del governo.
Anche su La Repubblica: “Pakistan, il carnefice di Malala diventa il nuovo leader dei taleban”.
La Stampa scrive che il Senato di Washington ha approvato una legge anti-discriminazione sui diritti gay Employee non-discrimination bill, con 64 voti a favore e 32 contrari. Dichiara illegale ogni tipo di discriminazione sul posto di lavoro nei confronti di gay, bisessuali e transgender. Una approvazione in qualche modo bipartisan, perché 10 Rep hanno votato con 54 Dem. Ma la legge affronta ora il passaggio più difficile della Camera dei Rappresentanti, dove i Rep hanno la maggioranza, e dove il presidente Bohner si è già dichiarato contrario. “Avrà il risultato di aumentare cause di lavoro con motivazioni frivole, a scapito soprattutto delle piccole aziende”, ha detto parlando della legge.
E poi
Sulla prima pagina del Corriere una lettera dell’ex sindaco di Firenze Leonardo Domenici, per ricocrdare una vicenda che ha coinvolto la città. Compare sotto il titolo “quei Pm che stritolano anche chi non è indagato”. Ricorda Domenici le perquisizioni e i sequestri a fine 2008. Si sospettava che il Comune avesse favorito gli interessi dei proprietari dell’area Castello, i Ligresti. Da sindaco, Domenici non era indagato. Oggi un collegio di giudici ha smontato l’accusa: tutti assolti, Comune corretto. Ma, dice Domenici, potevamo finire stritolati.
Su La Stampa una pagina dedicata alla indagine della Procura della Repubblica di Ivrea relativa all’azienda Olivetti. Controlli e sicurezza sarebbero stati insufficienti. Gli operai lo chiamavano “talco”, ma era in realtà “tremolite di amianto”, ovvero roccia macinata, pericolosissima se respirata, letale se una microfibra si attaccava ai polmoni. Alla Olivetti l’hanno usata – dicono gli impiegati – per tutte le lavorazioni con la gomma. Quanto sapevano gli operai della pericolosità di quel materiale? 11 indagati, da Carlo a Franco De Benedetti fino a Corrado Passera. Un reportage del quotidiano: “Dovevamo scuotere i grembiuli, ma ci pareva borotalco. I parenti degli operai morti nel canavese: credevamo fosse un lavoro pulito”.
Se ne occupa anche Il Fatto: “Ivrea, indagati eccellenti per le responsabilità dell’azienda tra gli anni 70 ai primi anni 90. Tra gli altri, De Benedetti e Corrado Passera”.
Su Il Giornale: “Morirono per l’amianto. De Benedetti indagato trova sempre difensori. L’ingegnere sotto accusa con Passera nella vicenda Olivetti. Scatta la solidarietà. Ivrea si schiera con l’imprenditore, invece le famiglie delle vittime chiedono giustizia”. A Ivrea, a differenza di quanto accade con la famiglia Riva all’Ilva di Taranto, sono tutti con l’Ingegnere, scrive Il Giornale, a cominciare dal sindaco Carlo Della Pepa, che dice: “Sull’onestà delle persone che hanno fatto la storia dello stabilimento non ho nessun dubbio. Purtroppo l’amianto, ai tempi, veniva utilizzato in ogni produzione industriale”.
Sul Corriere della Sera si dà conto della “storica audizione in diretta tv” i capi dei servizi segreti inglesi: tre superspie che hanno rivendicato la necessità di monitorare le comunicazioni per difendere la società, ma sempre nei limiti imposti dal legislatore. Sulla vicenda Snowden hanno detto che l’ex contractor della Nsa “fa il gioco dei nemici”. Le tre superspie parlavano in diretta ai 9 parlamentari dell’Intelligence and Security comittee, la commissione di Westminster che controlla le attività degli 007.