La Repubblica: “Vincono i sindaci in rivolta, manovra cambiata per decreto”, “Blitz del leader Pd impone al governo la modifica della legge di Stabilità che sarà votata oggi”.
Di spalla a destra: “Evade un altro killer in permesso premio”.
In taglio basso “Ecco il piano dell’Alitalia araba”.
Corriere della Sera: “Telecom, l’accusa dei pm”, “’Ostacolo alla Vigilanza su Telefonica e cessione argentina’”, “La trattativa con gli spagnoli, interrogato come testimone l’ex presidente Bernabé”.
In evidenza a centro pagina: “Grazia a Khodorkovskij. E’ stato 10 anni in carcere”, con foto del “magnate russo diventato oppositore”
A centro pagina l’accordo Ue sull’Unione bancaria: “Un paracadute per le banche. Draghi: un passo avanti”.
Il Fatto: “Telecom 1: ‘Così Letta la consegna agli spagnoli’”. Si tratta di un’intervista al deputato Pd Massimo Mucchetti.
In taglio basso: “Telecom 2, Cancellieri. Un braccialetto è per sempre”.
La Stampa: “In fuga dopo il permesso. Adesso gli evasi sono due”.
Sotto la testata: “Scontro Squinzi-Letta sulla legge di stabilità: ‘Occasione mancata’, “Il premier a Confindustria: non sfascio i conti”.
A centro pagina, con foto: “Londra: crollo al teatro, si temono morti”.
Il Sole 24 Ore: “Squinzi: così il Paese non riparte”, “Letta: crescita senza sfasciare i conti. La replica: mai chiesto di farlo. Napolitano: riduzione della spesa non differibile, troppo tecnicismo”.
In taglio basso: “Via libera all’Unione bancaria”.
Legge di stabilità
“La legge di stabilità non è quello che ci aspettavamo e pensiamo che non sia sufficiente a far ripartire il Paese”. Lo ha detto ieri il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, e il Sole 24 Ore dedica l’apertura alle sue parole. “La manovra ha ricalcato un metodo del passato con poche risorse distribuite a tutti. E’ presto per parlare di ripresa”. Il presidente di Confindustria parla dopo aver ascoltato i dati del Centro studi confindustria, il cui rapporto descrive una situazione in cui la legge di Stabilità “impatta sul Pil di 01-0,2 per cento”. “Paolazzi: danni come quelli di una guerra”, scrive il quotidiano, citando il presidente del Centro studi. “Per far ripartire il Paese si deve agire riallocando risorse a favore della competitività e della domanda interna”, ha detto Paolazzi.
Sul Corriere della Sera il commento del Presidente del Consiglio Letta da Bruxelles, appena arrivato al vertice Ue: “Io ho la responsabilità di tenere in equilibrio la barca dell’Italia, voglio che ci siano gli strumenti per la crescita senza sfasciare i conti pubblici, Confindustria dovrebbe essere la prima a sapere che tenere i conti a posto vuol dire far calare lo spread che oggi è arrivato a 219 punti, il più basso negli ultimi due anni e mezzo”. E la controreplica di Squinzi: “Noi non abbiamo chiesto certo di sfasciare i conti. Il nostro obiettivo è di allocare le poche risorse che ci sono in questo momento, non sfasciare il Paese”. Insomma, scrive il Corriere, lo scontro e la differenza di visione tra Confindustria e Palazzo Chigi e ormai netta.
Ancora sul Corriere anche le parole del Presidente Napolitano: “La riduzione della spesa pubblica, affidata piuttosto che ad automatismi ad una accurata revisione e selezione, è una necessità oggi non contestabile né differibile”.
Dario di Vico, sulla prima pagina del Corriere, scrive che “il testo approvato prevede l’istituzione di un fondo che dovrà finanziare l’abbassamento del cuneo, ma la platea dei beneficiari è stata così allargata che gli eventuali effetti di spesa si disperderanno come i coriandoli”, “per tenersi buono un piccolo esercito di microlobby” il governo ha finito per dare “a tutti un po’”. Secondo Di Vico gran parte delle obiezioni di Confindustria sono condivisibili, ma si ha l’impressione che la più grande associazione di rappresentanza non sia riuscita ad entrare in sintonia con i profondi mutamenti in questi terribili anni: “Basta con l’elencare le colpe degli altri senza dire cosa si è disposti a mettere sul tavolo”.
La Repubblica si occupa in particolare della rivolta dei sindaci per via della legge di Stabilità: “Sindaci in rivolta, Renzi sfida il governo e Letta promette un decreto anti-tagli”. In prima pagina una analisi di Claudio Tito porta questo titolo: “Renzi nel ruolo del correttore”. Secondo Tito è iniziata “la fase due” dell’esecutivo, dopo che Renzi ha conquistato la segreteria Pd: “Basti pensare a quel che è accaduto: ieri il segretario ha imposto la retromarcia sui tagli dei fondi da destinare ai Comuni. Nei giorni scorsi ha chiesto e ottenuto di occuparsi in prima persona delle riforme, quella elettorale e quella costituzionale. Palazzo Chigi e il ministro competente hanno dovuto rinunciare a presentare due disegni di legge ad hoc su questa materia. Anche l’inversione ad U che il tesoro e il ministero per le infrastrutture hanno fatto sulla vicenda Alitalia sembrano, almeno in apparenza, frutto del pressing di Renzi: scegliere per la compagnia di bandiera un partner asiatico anziché Air France”. Ai tempi della prima Repubblica, sottolinea ancora Tito, sarebbe nata una nuova compagine governativa o ci sarebbe stato un rimpasto, “quando cambiava il segretario della Dc o del Psi la liturgia di quei tempi lo esigeva”. Ma ora manca una legge elettorale degna di questo nome e il sistema politico si trova in una “fluttuante transizione dalla seconda alla terza Repubblica”. Ma l’agenda del governo è cambiata, a gennaio verrà firmato un altro contratto di coalizione, e a quel punto la legislatura avrà davanti a sé un bivio: o verrà assecondata l’istanza di cambiamento del Pd, o si imboccherà la strada delle elezioni a maggio”.
Il quotidiano dà conto anche del putiferio scoppiato sul decreto Salva Roma: una norma blitz presentata dalla senatrice dell’NCD Chiavaroli su indicazione del governo ha predisposto un ulteriore taglio alle casse dei Comuni, che mettono in atto piani per la lotta contro il gioco di azzardo elettronico. L’emendamento, votato dal Pd e Scelta Civica (contro leghisti, grillini e Forza Italia) taglia le gambe a chi pensa di aver fatto una azione di buona amministrazione. E un altro emendamento della Ncd estende i termini della vigente sanatoria sulle slot di tre mesi, fino al 15 gennaio del prossimo anno. Renzi, scrive La Repubblica, scatena il caos: “E’ pazzesco, allucinante”.
Anche su La Stampa: “Il Pd ora ci ripensa. Niente punizione ai comuni anti-slot”. “Renzi: ‘questa norma è una porcata, va eliminata’”.
Su Il Giornale: “Letta e Alfano biscazzieri: meno soldi ai comuni anti-slot”, “emendamento choc Ncd-Pd: penalizzati gli enti locali contrari ai videopoker. Renzi: porcata”. Scrive il quoidiano che Renzi “ci ha messo la faccia”, ma allo stesso tempo ha aumentato la possibilità di una implosione del governo Letta-Alfano, che sui cadeaux alle varie lobby (vedi il caso Sorgenia) si regge.
Ancora su La Repubblica una intervista al sindaco di Roma Marino: “I comuni sono allo stremo, portiamo lo Stato in tribunale”, “non posso più garantire i servizi”.
La Stampa scrive anche che dalla Unione Europea sono arrivate critiche sulla cosiddetta web tax: il portavoce del Commissario europeo per la fiscalità e l’unione doganale Semeta ha detto che “così come è formulata appare ‘contraria alle libertà fondamentali e ai principi di non discriminazione dei trattati’”. Il quotidiano sottolinea che comunque non esiste ancora una versione definitiva dell’emendamento per l’introduzione della web tax: il testo finale continua a prevedere due formulazioni, di cui una più restrittiva (che impone alle web companies che vendono pubblicità online, come Google, l’apertura di una partita Iva italiana) e una meno stringente (in cui non si precisa se la partita Iva può essere aperta anche in un altro Paese europeo). E sarebbe quest’ultima formulazione quella voluta dal segretario Pd Renzi per rendere digeribile in sede europea la norma e per alleggerirne l’impatto.
In entrambi i casi, la norma che vorrebbe legare le imposte pagate al fatturato prodotto in Italia violerebbe le regole del mercato unico europeo: sin dai tempi del Trattato di Roma una impresa situata in un Paese della Unione (nel caso di Google in Irlanda) può operare su tutto il territorio europeo e pagare le tasse in Irlanda, dove sono più basse.
La replica di Francesco Boccia, esponente Pd e presidente della Commissione Bilancio, che si è battuto per l’introduzione della tassa, è particolarmente duro: la dichiarazione del Portavoce del Commissario “sembra quella del portavoce delle multinazionali del web”, “anziché richiamare inopportunamente le libertà fondamentali” Traynor – il portavoce – “studi bene il discorso di Nelie Kroes, commissario Ue alla agenda digitale, il quale lo scorso giugno ha denunciato alla American Chamber of commerce di Bruxelles che ‘le compagnie multimiliardarie non possono continuare a versare al fisco solo briciole’”. Ma nel suo partito c’è chi la pensa diversamente, come Giampaolo Galli, ex direttore di Confindustria e oggi deputato Pd, che considera questa norma una violazione palese dei principi del mercato unico: “Se passasse l’Italia perderebbe ogni autorevolezza in Europa”, dice. E insieme ad altri sta raccogliendo firme in calce a una mozione che chiede al governo di cancellare la webtax.
L’Unità scrive che Renzi è anche intervenuto sulla questione della disparità di trattamento sulle riduzioni fiscali tra partiti e no-profit: “Non è possibile che ci sia una corsia preferenziale per i partiti che penalizza il no profit”. Un’altra marcia indietro ieri al Senato è avvenuta poi, scrive il quotidiano, sull’emendamento di Linda Lanzillotta, che prevedeva la vendita di una quota di azioni Acea e la possibilità per le ex municipalizzate di licenziamento per ragioni economiche. Contro l’emendamento si è pronunciata l’assemblea capitolina e i movimenti che si richiamano al referendum sull’acqua pubblica. Su indicazione del capogruppo Pd in Senato l’emendamento non è passato. Qualunque ipotesi di privatizzazione non è ammissibile, come lo sarebbe la vendita di azioni Eni o Enel per ripagare i debiti dello Stato. Il testo approvato impegna Roma a una ricognizione in sessanta giorni delle cause del debito e l’elaborazione di un piano per il riequilibrio strutturale del bilancio. Tra le misure è prevista la possibilità che Acea possa dismettere quote senza cedere il controllo pubblico.
Se ne occupa ampiamente Il Sole 24 Ore spiegando lo stop al ridimensionamento del Comune di Roma nell’azionariato di Acea (dove attualmente controlla il 51 per cento). La versione originaria dell’emendamento Lanzillotta prevedeva infatti che il Comune dismettesse “ulteriori quote di società quotate, limitandosi a mantenere la quota di controllo”, ovvero il 30 per cento. Nella riformulazione si specifica invece che “resta fermo il controllo pubblico”. La stessa senatrice Lanzillotta spiega con una lettera al quotidiano quello che definisce un “passo indietro del Pd” e sottolinea che la “svolta di Renzi”, quella liberale, è ancora lontana: “Il comune di Roma ha maturato in questo quindicennio un enorme debito a causa, certo, di criticità strutturali della finanza della capitale ma anche di investimenti non compatibili nell’equilibrio di bilancio nel medio termine e di dissennate gestioni clientelari nelle municipalizzate”. “Lo Stato, dopo essersi accollato già 12 miliardi di debiti nel 2009, per salvare la giunta di Ignazio Marino ed evitare il commissariamento del Comune, interviene ancora una volta, accollandosi altri debiti di Roma e scaricandoli sui contribuenti italiani oltre che su quelli romani (i più tassati d’Italia)”. E ancora: “Il Pd ha ceduto alle pressioni locali e ha preteso che al Comune rimanesse la maggioranza assoluta della società”, “la verità è che nelle società comunali non si vuole mollare il controllo delle assunzioni, delle nomine interne, degli appalti”.
Se ne occupa estesamente anche una analisi di Alessandro Plateroti: “Il bene comune ‘ingrassa’ il Comune”.
Europa
Sul Sole 24 Ore: “Nasce l’Unione bancaria europea”. L’accordo raggiunto dai ministri delle Finanze con l’obiettivo di creare un meccanismo unico di gestione delle crisi bancarie rappresenta il nuovo tassello di una Unione bancaria che – scrive Il Sole – tenti di porre rimedio alle contraddizioni evidenziate nel 1999 da Tommaso Padoa Schioppa, che in un discorso a Londra mise il luce le contraddizioni di una moneta unica e di sistemi bancari nazionali. La sua proposta di creare una vigilanza centralizzata fu allora accolta con freddezza dai governi, preoccupati per una cessione di sovranità in ambito bancario che è nei fatti la delicata cinghia di trasmissione tra politica ed economia. Accanto alla supervisione, affidata alla Bce, per la gestione delle banche in difficoltà il nuovo meccanismo permette che prendano forma gli strumenti di un sistema in cui le banche saranno chiamate a rispondere delle loro perdite e dei loro rischi. Un utile grafico sul Sole illustra i passi fondamentali e gli organi che entreranno in funzione. Il consiglio di risoluzione: le decisioni sull’uso del fondo di risoluzione (pagato dalle banche) verranno prese da un board composto dalle autorità nazionali coinvolte. Si chiamerà consiglio di risoluzione e dovrà decidere anche del fallimento di una banca. In caso di parere contrario della Commissione Ue, l’ultima parola passerà all’Ecofin. La decisione sul destino di una banca verrà presa in 24 Ore. Il fondo unico salva banche verrà finanziato con denaro privato: gradualmente, nel giro di dieci anni, e a un ritmo del 10 per cento all’anno, le quote nazionali confluiranno in un fondo comune.
Il quotidiano intervista il commissario Ue al Mercato Interno, Michel Barnier: “Penso che con l’Unione bancaria il rischio di fallimento degli istituti di credito sarà innanzitutto limitato. E se si verificassero, tutto sarà condotto in modo ordinato. In questo contesto, noi vogliamo che le banche paghino per le banche: il fondo di risoluzione è pagato proprio dalle banche. Quindi penso che il rischio per il contribuente sarà alla fine molto limitato, i contribuenti saranno molto più protetti. Non posso però affermare che il denaro pubblico non sarà più utilizzato in futuro per salvare una banca. Ci potranno infatti ancora essere casi eccezionali”.
Internazionale
Dopo oltre 4 ore di conferenza, stampa, il presidente russo Putin ha aspettato di venire circondato dai giornalisti per fare un annuncio sul destino dell’oligarca Khodorkhovsky, da 10 anni in carcere: “Ha scontato più di 10 anni, una cosa seria, penso che bisogna graziarlo”. Ne parla ampiamente La Stampa, spiegando che per la liberazione mancava la richiesta di grazia formale, che l’ex petroliere si ostinava a non fare. Ma Putin ha rivelato: “L’ha scritta chiedendomela e verrà esaudita al più presto”. Il quotidiano sottolinea che l’improvvisa decisione resta ancora avvolta nel mistero. Negli ultimi giorni peraltro circolavano insistentemente voci secondo cui Khodorkovsky – che dovrebbe tornare libero nell’agosto 2014 – sarebbe stato raggiunto da una terza incriminazione per continuare a tenerlo alla larga dalla politica. Lui si è sempre rifiutato di chiedere la grazia e ieri i suoi avvocati hanno subito smentito l’esistenza di una lettera che contenesse la richiesta: “Impossibile”. Pochi minuti dopo l’ufficio stampa dell’oligarca detenuto ha revocato tutte le smentite, in attesa che i legali incontrino il loro assistito. Putin ha lasciato capire che a motivare la grazia sarebbero state le condizioni di salute della madre dell’oligarca (quasi ottanta anni, non riesce a fare venti ore di viaggio per arrivare al carcere in Carelia dove è detenuto il figlio).
Della intervista-fiume di Putin alla presenza di 1300 giornalisti, della figura di Khodorkovsky, delle dichiarazioni di Putin a proposito di Ucraina e gay si occupano ampiamente in una intera pagina de La Stampa Anna Zafesova e Lucia Sgueglia. Un corrispondente ucraino chiede: “Avete pagato 15 miliardi di dollari per non farci avvicinare all’Europa”, “quanto siete disposto a spendere ancora per tenercene lontani?”. Putin: “Abbiamo solo aiutato un Paese fratello in un momento di grande difficoltà”, “non ci sarà mai una Maidan a Mosca”. Dice di invidiare Obama perché “è riuscito a fare il Datagate e non gli succederà nulla”.
Due pagine anche sul Corriere della Sera. Sul personaggio Khodorkovsky, “da ‘ladrone’ negli anni 90 a prigioniero di coscienza”, “la parabola del tycoon che osò sfidare il potere”, “imprigionato per aver violato il patto implicito: arricchirsi senza occuparsi di politica”. Paolo Valentino ricorda che l’oligarca ha finanziato tutta l’opposizione, compresa quella comunista, ha scritto appelli ispirati e dotti sui diritti umani ed ha acquistato statura morale.
Una pagina su La Repubblica dà conto della lunga intervista di Putin e, per quel che riguarda Khodorkovsky, Pietro del Re sottolinea che si tratta di un detenuto troppo ingombrante in vista della ribalta dei giochi olimpici di Sochi.
E poi
Tanto La Stampa che il Corriere della Sera intervistano Giancarlo Caselli, che va in pensione dopo 46 anni. La Stampa: “Non perseguito le idee dei noTav, lassù c’è un laboratorio di violenza”. Il Corriere della Sera: “Si delegano ai giudici anche le proteste di piazza”.
Alle pagine R2 de La Repubblica una intervista all’intellettuale ‘neocon’ francese Alain Finkielkraut, in vetta alla classifica d’oltralpe ed accusato di essere “la bella copia” del Front National: “L’identité malheureuse”è il titolo del suo ultimo libro sulla identità francese minacciata. “Il multiculturalismo ha fallito”, torna a ribadire. Dice: “Quando si fa una legge contro il velo nelle scuole, non si esclude nessuna ragazza. Si esclude solo il velo”