Il Corriere della Sera: “Monti apre il caso sanità. ‘Nuove forme per finanziarla’. La Cgil: no alla privatizzazione. Bloccata in Senato la delega fiscale. Il Tesoro: una mossa da campagna elettorale”.
A centro pagina: “Gli operai occupano l’Ilva. Vertice al Quirinale. Il governo studia un decreto”.
La Repubblica: “Monti: sanità pubblica a rischio. ‘Servono finanziamenti integrativi’. Bersani-Renzi, lite sulle regole”. “Questa sera su Raiuno il faccia a faccia tra i duellanti del centrosinistra”., E poi, ancora sulla sanità: “La Cgil attacca il premier: vuole privatizzare la salute”.
A centro pagina, con foto: “Ancora sangue in Egitto, la piazza sfida Morsi”. “Troppi poteri al presidente. Un morto e decine di feriti al Cairo”.
La Stampa: “’Servizio sanitario a rischio’. Bufera sull’allarme di Monti: in futuro serviranno nuovi finanziamenti. IL premier: non garantita la sostenibilità. Poi precisa: ragionare su ipotesi di finanziamento integrativo. Pd e Cgil all’attacco”. In alto: “Ilva, arriva il decreto. Così gli impianti potranno riaprire”. A centro pagina un titolo sul voto dell’Assemblea generale Onu, domani, sullo status della Palestina. “Onu, la Francia apre alla Palestina”.
L’Unità: “Gli operai difendono l’Ilva”. E sulle primarie “Renzi all’attacco delle regole. Bersani: non si cambia in corsa”.
Europa: “L’Ilva spaventa la politica, corsa per spegnere la miccia”.
Il Sole 24 Ore, che dedica ad Ilva un grande titolo (“Un decreto per far ripartire l’Ilva”, “Confindustria: situazione grave, in gioco il futuro dell’industria pesante”), si occupa in apertura dello stop in Parlamento alla delega fiscale: “Sulla delega fiscale il Senato dà forfait. Il testo riparte dalla commissione grazie all’asse Idv-Lega. Tempi ormai ristretti per l’ok finale”:
Il Foglio dedica il titolo di apertura agli Stati Uniti: “Conservatori divisi, arriva una fronda che fa il gioco di Obama. La tensione fra i conservatori sociali e quelli del capitale arriva fino all’isolamento del paladino antitasse”. “Populismo contro capitalismo”.
Il Giornale: “Che ridere, botte tra i Pm. Siamo al delirio: i magistrati di Milano si ribellano al loro capo perché il direttore non è in galera. ‘Ora diamo i domiciliari a tutti i detenuti nella stessa situazione’. E gli avvocati stanno con loro”.
Il Fatto quotidiano dedica a questa notizia un titolo di centro pagina: “I Pm contro il capo: ‘Sallusti fuori, poveracci in galera”.
Il titolo di apertura è però dedicato all’Ilva: “Decreto sul disastro Ilva. Bersani tiene i soldi di Riva”.
Ilva
Intervistato da La Stampa il presidente della Regione Puglia Vendola dice di essere contrario al decreto legge annunciato dal governo sulla vicenda Ilva, perché “si rischia di inasprire un conflitto tra poteri dello Stato. C’è il pericolo di una deflagrazione spaventosa”. Sull’accusa di essere il “regista” di accordi con l’Ilva: “Rivendico di essere il regista dei tavoli più importanti per la Puglia. Come quello dell’ambientalizzazione dell’Ilva. In questo ruolo ho lavorato con Arpa per vincere le resistenze dell’azienda e, al tempo stesso, convincerla. I giudizi sulla mia persona contenuti nell’ordinanza, ingenerosi, non modificano la mia convinzione che vada evitato qualsiasi conflitto tra poteri dello Stato”. Se non va bene un decreto, come evitare la chiusura degli stabilimenti? “Procedere subito con l’introduzione del criterio della valutazione del danno sanitario, che lo stesso ministro Clini si è impegnato a introdurre in una successiva integrazione nella Autorizzazione integrata ambientale”. Sui suoi rapporti con l’Ilva: “Ho il dovere di interloquire con le espressioni manageriali del sistema produttivo locale”.
Il presidente dell’Ilva Ferrante, intervistato dal Corriere della Sera, ricorda che l’azienda ha deciso di sospendere la produzione perché “ci è stata sequestrata la merce”. Spiega anche che sono stati sospesi i badge “solo per motivi di sicurezza”, “i lavoratori stiano tranquilli, non perderanno nessuna giornata lavorativa, non è stata attivata nessuna procedura di mobilità né di cassa integrazione. Domani presenteremo il ricorso al Riesame contro il sequestro della merce. Se accolto, potranno tornare al lavoro”. Spiega poi: “Non ci hanno chiesto di risanare, ma di chiudere gli impianti”, “il risanamento “non ci è stato chiesto. Noi abbiamo attuato fedelmente tutte le indicazioni dei custodi giudiziari, compreso lo spegnimento dell’altoforno 1 quasi concluso. Quindi la responsabilità non è dell’Ilva ma dei custodi giudiziari”. Obietta il cronista che i soldi avrebbe dovuto metterli l’azienda. E Ferrante risponde: i custodi hanno avuto anche potere di spesa. Secondo il quotidiano, le norme sul decreto potrebbero essere varate venerdì e si prevede un commissario per il risanamento.
Secondo Il Sole 24 Ore il decreto potrebbe dare cogenza di legge alla Autorizzazione integrata ambientale per un periodo limitato di tempo e con alcune garanzie, in modo da consentire la ripresa della produzione.
La Repubblica offre una corrispondenza da Taranto firmata da Adriano Sofri, tra i “ragazzi della fabbrica” il cui slogan ieri era “i padroni dell’azienda siamo noi!”. Intanto, gli ultimi due nomi iscritti nel registro degli indagati sono quelli di Ippazio Stefano e don Marco Gerardo, sindaco e parroco della città. Il primo cittadino, con tessera Sel, ricorda Il Fatto, è indagato per omissione d’atti d’ufficio, in merito alle prescrizioni previste a tutela dell’ambiente. Si tratterebbe di un atto dovuto, dopo la denuncia di un consigliere comunale. Quanto a don Gerardo, il segretario particolare del vescovo monsignor Luigi Benigno Papa, è accusato di aver mentito ai pm: quando la guardia di finanza ha cercato di risalire al percorso dei 10 mila euro che il responsabile Ilva delle relazioni istituzionali Archinà avrebbe dato al consulente della Procura Liberti, lo stesso Archinà avrebbe detto che quei soldi erano una donazione per l’ex vescovo di Taranto. Don Marco Gerardo ha confermato la ricostruzione agli inquirenti, spiegando di averlo saputo dall’ex vescovo che, a sua volta, però, lo ha smentito. La Procura sta indagando sulla Autorizzazione integrata ambientale del 2011, firmata dall’ex ministro Prestigiacomo, quando direttore generale del ministero era l’attuale ministro Clini. Ieri la Guardia di finanza ha sequestrato gli atti al ministero. Secondo l’accusa gli emissari del gruppo Riva, proprietaria dell’Ilva, premevano sul ministero, minacciando di “far saltare la Prestigiacomo”, e affermando al telefono “l’abbiamo scritta noi”. Di questo via libera del ministero nel 2011 si occupa estesamente il Corriere della Sera, citando passi dell’ordinanza del Gip Todisco.
Il Fatto insiste, anche con un commento in prima di Marco Travaglio, sul finanziamento del gruppo Ilva a vari partiti e a Bersani in particolare. Il quotidiano ha consultato gli elenchi pubblici depositati presso la Camera dei Deputati, dove sono riportati i contributi elargiti dai finanziatori di Bersani nelle campagne elettorali più recenti, del 2006 e del 2008. “Si scopre così – scrive Il Fatto – che l’associazione di categoria di cui fa parte il gruppo Riva, FederAcciai, ha donato 110 mila euro in 4 anni a Bersani. Oltre a puntare l’attenzione su Bersani, Marco Travaglio scrive che se i ministri dell’ambiente cambiano, i dirigenti restano, e “uno dei più longevi è Corrado Clini, oggi inopinatamente ministro, ovviamente sdraiato sulle posizioni dell’Ilva, come pure il collega dello sviluppo Economico Passera. I due seguitano ad attaccare i giudici come se i disastri dell’Ilva siano colpa loro. Non è il caso che il Pd chieda le immediate dimissioni di questi due signori?”.
Monti
Scrive La Stampa che Mario Monti ieri ha toccato un tabù, quando ha fatto capire che il sistema sanitario, così come quello pensionistico prima della riforma Fornero, rischia il default: “L’ha detto da fine economista, ma la sostanza è quella”. Ha voluto precisare Monti: “Le garanzie di sostenibilità del sistema sanitario nazionale non vengono meno. Per il futuro è però necessario individuare e rendere operativi modelli innovativi di finanziamento e organizzazione dei servizi e delle prestazioni sanitarie”. Riferendosi alla sostenibilità dei conti, Monti si è interrogato su quella che ha definito “l’opportunità di affiancare al finanziamento a carico della fiscalità generale forme di finanziamento integrativo”. Il Presidente del Consiglio aveva così esordito: “le proiezioni di crescita economica e quelle di invecchiamento della popolazione mostrano che la sostenibilità dei sistemi sanitari, incluso il nostro di cui andiamo fieri, potrebbe non essere garantita se non ci saranno nuove modalità di finanziamento e di organizzazione dei servizi e delle prestazioni”. Per questo serve una “riorganizzazione” della sanità e insieme la ricerca di “modelli innovativi di finanziamento”. Il ministro della Salute Balduzzi ha subito precisato: “Nessuno pensa alla privatizzazione del servizio sanitario nazionale”, “Monti ha parlato di nuove forme di finanziamento, non di forme diverse”. Il dossier de La Stampa spiega che “nei prossimi 40 anni la spesa salirà del 150 per cento”. Vivremo più a lungo, ma con più malattie. Serviranno 261 miliardi all’anno. Spiega in questo dossier l’economista sanitario Federico Spandonaro: “La nostra spesa sanitaria pubblica e privata oggi è interno al 9 per cento del Pil, e nei Paesi più sviluppati è tra l’8 e il 12 per cento. Da queste percentuali non ci si schioda. Il problema è che il nostro Pil è del 6-7 per cento inferiore a quello dei principali Paesi europei, e questo, sommato all’evasione fiscale e alla maggiore spesa per il debito pubblico, si traduce già oggi in termini assoluti nella minore spesa sanitaria tra i primi dodici Paesi dell’Ue.
Anche su Il Corriere, uno “scenario” sui costi del Paese che invecchia: “16 miliardi in più entro il 2060”. Il Corriere intervista invece Francesco Longo, ricercatore del Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale alla Bocconi. Dice che il sistema sanitario italiano riesce a offrire cure gratuite ai cittadini per il 75 per cento della richiesta di salute, e che invece in Europa la media delle prestazioni ottenute dalla popolazione senza pagare è dell’85 per cento.
Delega fiscale
Allarmato è l’editoriale in prima de Il Sole 24 Ore sul ritorno in commissione del decreto fiscale: “uno schiaffo al Paese”. “Proprio la delega fiscale -si legge-, forse il provvedimento più importante -con la legge di stabilità- di quelli all’esame delle Camere, è stata riportata in commissione, mettendo seriamente a rischio la sua approvazione”. Il quotidiano sottolinea che si tratta di “una riforma che, a costo zero, può aiutare a rendere il fisco meno oppressivo (e recessivo), a semplificare i rapporti tra cittadini e amministrazione tributaria, a dare certezze alle imprese, favorendo investimenti e quindi crescita”, “certamente non c’è accordo tra governo e senatori sull’accorpamento delle agenzie fiscali, così come sul catasto prevalgono ancora divergenze, ma il possibile affossamento della delega è in realtà l’effetto di un generico sentimento contro il governo”.Alle pagine interne del quotidiano, spiegando come si è arrivati al rinvio, si scrive: “Il Pdl si divide, arriva il passo falso temuto dal Colle”. Solo 24 ore prima Napolitano aveva esortato il Parlamento a non commettere “passi falsi”, ad evitare “passi indietro” che mettessero a rischio una “costruttiva” conclusione della legislatura. Il Pdl si muoveva ieri in ordine sparso, votando in parte con Lega Nord e Idv e in parte con il resto della maggioranza di Pd e centristi sulle pregiudiziali di costituzionalità presentate dal Carroccio sulla delega fiscale. E il risultato è stata la paralisi.
Primarie
L’Unità scrive che sulle regole per il voto al ballottaggio “Renzi riapre lo scontro”. Il sindaco e il suo comitato chiedono di permettere il voto anche a chi non si è registrato, senza dover portare “alcuna giustificazione”. Il suo spin doctor Giorgio Gori dice che c’è tanta gente che vuol dare il proprio consenso a Bersani o a Renzi domenica prossima, non ha senso tenerli fuori dai seggi. Il presidente del comitato dei garanti Berlinguer risponde: “Una volta iniziata la partita le regole non si possono cambiare tra il primo e il secondo tempo”. Analoga la risposta di Bersani: “Le primarie sono aperte ma non sono un porto di mare dove ognuno viene quando vuole”. Il quotidiano interpella anche una serie di giuristi, fra i quali Enzo Cheli, Valerio Onida, Stefano Rodotà e Massimo Luciani. L’Unità riassume così il loro orientamento: la platea elettorale non cambia in corso d’opera. Di orientamento diverso è il costituzionalista Ceccanti, sostenitore di Renzi, che contesta il ruolo di “filtro” dei coordinamenti provinciali rispetto alle autodichiarazioni degli elettori: la delibera del 26 novembre sulle regole, secondo Ceccanti, ha cambiato in modo sostanziale quanto era previsto dal regolamento, che parlava di una autocertificazione. I quotidiani poi ospitano le opinioni di vari intellettuali, opinionisti, politici, sulle ragioni che li portano a sostenere l’uno o l’altro dei candidati al ballottaggio. Su Il Corriere della Sera Salvatore Bragantini si schiera con il segretario: “Bersani, leader inclusivo contro diseguaglianze e speculazioni”, perché alla vera prova dopo le primarie, ovvero le elezioni, Bersani gli appare, più di Renzi, capace di affrontare il dopo (magari meno avvincente, egli è più unificante di Renzi). Di fianco, Michele Salvati, che ha scelto il sindaco di Firenze: “Renzi è una sinistra allargata, tornano ideali e valori del primo Pd” (Bersani, decidendo l’alleanza con Vendola prima di convocare le primarie, ha impresso un forte marchio di sinistra tradizionale alla sua candidatura, mentre Renzi “ha raccolto la fiaccola di un partito democratico diverso dai partiti di sinistra che gli hanno dato origine, che aspira a rappresentare anche gli elettori che non si sentono eredi della tradizione di sinistra del nostro Paese”, la componente renziana è “più vicina” a quel disegno di partito democratico “per il quale mi ero speso quando facevo attività politica, mentre il grosso della sinistra era contrario. Un partito di sinistra liberale, altrettanto attento ai valori del merito individuale che a quelli della giustizia sociale”).
Si schiera con Renzi Biagio de Giovanni, su L’Unità: “Il sindaco deve insistere sulle idee di rottura”, Renzi ha avuto il merito di aprire i confini del Pd e di farlo uscire da vecchie logiche di schieramento. L’intervento a favore di Bersani è quello invece di Michele Prospero (Bersani deve mostrare di essere proprio lui “la profonda alternativa” che il Paese cerca rispetto a politiche sconfitte dalla crisi, la distanza tra lui e Renzi non è certo inferiore a quella che ovunque in Europa “separa le forze liberali-moderate e i partiti della sinistra. Le proposte di Ichino e Giavazzi non solo spezzano la coalizione sociale della sinistra ma rivelano la loro debolezza nel risolvere la crisi”).
Internazionale
In prima su La Stampa si ricorda che domani ci sarà il voto all’Assemblea Onu sulla richiesta che il presidente Anp Abu Mazen avanzerà di riconoscere la Palestina come “Stato osservatore” dell’Onu. Il titolo punta sulla decisione della Francia di votare sì a una risoluzione: lo ha detto il ministro degli esteri Laurent Fabius all’Assemblea Nazionale; Parigi voterà sì per coerenza. Il quotidiano ricorda che la Francia è sempre stata favorevole al riconoscimento, e già nel 1982 il presidente Mitterand andò a dirlo alla sede che meno l’avrebbe apprezzato, ovvero la Knesset israeliana. La posizione francese è in qualche modo bipartisan, dato che è stata dibadita dalla presidenza Sarkozy l’anno scorso, in occasione dell’ammissione della Palestina all’Unesco. Secondo il quotidiano, peraltro, la Gran Bretagna potrebbe orientarsi anch’essa a votare sì, ma a due condizioni che difficilmente i palestinesi accetteranno: Abu Mazen dovrebbe impegnarsi a riprendere subito e senza condizioni i negoziati con Israele, e la Palestina dovrebbe impegnarsi a rinunciare a far parte della Corte Penale Internazionale e della Corte Internazionale di giustizia, in modo da impedire che possa tentare di processare Israele.
Sulla prima de Il Foglio una analisi è dedicata alla spaccatura di Hamas sull’Iran: il premier Haniyeh rimprovera al leader del movimento Meshaal di intervenire da fuori. Da quando Hamas ha dovuto sloggiare da Damasco perché sta con i ribelli contro il presidente Assad la fratura nel movimento si è allargata, e il leader Meshaal rinfaccia ai capi dentro la striscia di essere troppo vicina all’Iran, che è alleato con Assad e che in Siria massacra i sunniti (come Hamas) e anche i profughi palestinesi.
La Stampa racconta che Obama ha deciso ora di passare alla riforma dell’immigrazione: l’aveva già promesso nel 2009, ma la battaglia sulla sanità l’aveva convinto a cambiare direzione. Ora, dopo una rielezione dovuta in primo luogo al record del 71 per cento di ispanici che l’aveva votato, si dice determinato a centrare l’obiettivo. Il portavoce della Casa Bianca Jay Carney ha spiegato che “ci sono le condizioni per siglare una riforma dell’immigrazione di ampie dimensioni perché c’è un consenso bipartisan, anche in ragione delle positive conseguenze che si avrebbero sull’economia. Bipartisan perché tra i Rep vi sono nomi di spicco, tra cui McCain, Graham e Rubio, sostenitori di una riforma “nel rispetto della legalità” secondo una formula spesso utilizzata dall’ex governatore della Florida Jeb Bush.
Su La Repubblica l’inviato al Cairo Fabio Scuto scrive che piazza Tahrir è di nuovo stralcoma di folla e di tende piantate sul prato, contro il Presidente Morsi e la Fratellanza Musulmana: centristi, liberali, socialisti, nasseriani nostalgici, giovani del “movimento 6 aprile”, giudici e avvocati, egiziani di tutti gli strati sociali e di tutte le religioni, donne con il velo e senza: tutti in piazza a difendere la loro “primavera araba”. Nella piazza da venerdì c’è un “presidio a oltranza”, fin a che il Presidente non ritierà il decreto con cui si è dotato id poteri straordinari. A guidare questo “fronte laico” c’erano Mohamed El Baradei, Hamdeen Sabbahi e Amr Moussa. La protesta sta però dilagando anche in altre città, con sit in ad Alessandria, Ismaylia, Luxor, Suez, con assalti alle sedi della Fratellanza musulmana. Morsi ha fatto un tentativo in extremis, con una soluzione di compromesso che limita l’inappellabilità delle sue decisioni solo sulle questioni di sovranità.