Il premier caterpillar e l’addio al bicameralismo

Il Corriere della Sera: “Così può cambiare il Senato. Napolitano: bisogna superare il bicameralismo paritario”. “Il governo vara la riforma: non sarà più elettivo. Ma la tensione è alta nella maggioranza”.

La Repubblica: “Senato, riforma al via, ma la sfida di Renzi è appesa a 40 voti”, “Il premier attacca:chi ci vuole bloccare è in minoranza”, “Napolitano corregge Grasso: superare il bicameralismo”.
La foto a centro pagina è per il nuovo premier francese: “Francia, svolta di Hollande, al governo arriva Valls”.
Ancora a centro pagina: “I soldi dei privati ai partiti, 1,5 miliardi in vent’anni”.

La Stampa: “Senato, Renzi si gioca tutto”, “’Riforme o me ne vado’. Napolitano: sono per superare il bicameralismo”.
Sotto la testata: “Fiat-Chrysler produrrà 6 milioni di auto per il 2018. Elkann: ora la partita vera”.
E la vicenda Porto Tolle: “Scaroni condannato, a rischio la conferma al vertice dell’Eni”.
A centro pagina: “”In Africa torna l’incubo del virus Ebola”.

Il Fatto: “Renzi fa ciò che vuole e il Colle benedice”.
A centro pagina: “I veleni dell’Enel, condannati Scaroni e Tatò”.
Ma anche le vicende del sindaco di Salerno ed ora viceministro: “Oplà, la metro di De Luca non c’è più”, “Fine corsa dopo soli 5 mesi”.
In taglio basso, le ripercussioni delle elezioni francesi: “Per fermare l’onda ‘Bleu-Marine’ Hollande si affida al poliziotto”.

Il Giornale: “Fuori i tromboni”, con foto di Rodotà, Zagrebelsky, Grasso e Monti. “Renzi conferma l’asse con Berlusconi e vara l’abolizione del Senato”. Licenziati Grasso, Monti, gli intellettuali radical chic e pure mezzo Pd”.
A centro pagina: “Fassino non ha una banca e neppure i soldi del Cav”. “Reato prescritto per Bnl Unipol”. Il quotidiano spiega che l’attuale sindaco di Torino, all’epoca dei fatti segretario dei Ds, “voleva un milione”, ma “i giudici gli hanno accordato solo 80 mila euro”.

L’Unità: “C’era una volta il Senato. Sì unanime del governo alla riforma: i senatori non saranno più eletti e non voteranno la fiducia. Renzi: ‘Svolta storica per la politica’. Napolitano: ‘Urgente superare il bicameralismo paritario'”. A centro pagina il richiamo ad una intervista al candidato socialista alla presidenza della Commissione europea: “Schulz: più lavoro per un’altra Europa”.

Il Sole 24 Ore: “Piazza Affari al top in Europa. Inflazione ai minimi dal 2009”. “Eurozona a rischio deflazione: + 0,5 i prezzi in marzo, + 0,4 in Italia”. Di spalla: “Via libera del governo su Titolo V e nuovo senato”. “Il Colle: bene la fine del bicameralismo perfetto”. “Approvato il ddl costituzionale. Renzi: risparmi per un miliardo”. A centro pagina l’ultima assemblea Fiat a Torino: “Le tre sfide di una Fiat globale”. E poi: “Debiti Pa, le banche danno l’ok”. “Lettera dell’Abi al Tesoro, pieno sostgno al piano di smobilizzo dei crediti delle imprese”.

Renzi, riforme, populismi

In prima su La Repubblica l’editoriale del direttore Ezio Mauro dal titolo: “Cambiare per fermare i populismi”. Prende spunto dalla “lezione” che viene dalla Francia dopo l’avanzata del Front National di Marine Le Pen. Il populismo come risposta radicale alla crisi: la Francia “segnala al continente (e all’Italia in particolare) questa sfida e anche un altro pericolo, nuovissimo e di grande portata: l’impotenza del riformismo”. Scrive Mauro che “governare oggi significa cambiare, radicalmente”, “il cambiamento – cioè la riforma del sistema – è lo strumento più radicale che la sinistra ha a disposizione per fronteggiare la vera sfida politica che ha davanti a sé con il nuovo populismo antipolitico”.
Il quotidiano si occupa di quella che definisce “la difficile corsa in aula” della riforma del Senato per abolire il bicameralismo perfetto: “Renzi alla ricerca di 40 voti per il sì di Palazzo Madama”. Il numero magico è 160, “l’asticella da scavalcare” per cui il presidente del Consiglio deve conquistare una quarantina di voti a rischio: “un rompicapo”. I voti certi sono 120, “al netto della propaganda”: in larga parte sono democratici (almeno una novantina dei 107 senatori Pd). E poi gli 8 di Scelta civica, i 12 delle Autonomie e una decina di senatori a vita (quattro, oltre a Monti) e gruppo misto, “per il resto è caccia all’indeciso”. E nel caos “spicca lui, il Cavaliere”, che a Palazzo Madama resta centrale, “determinante forse”.

La Stampa descrive l’atteggiamento del presidente del Consiglio ieri nel presentare il progetto di riforma: “Il premier ‘Caterpillar’ prova a spianare le obiezioni”, “Stile guascone e tono di sfida: ‘Ne vedremo delle belle’”.
Il quotidiano intervista Stefano Esposito, che è uno dei 25 senatori Pd autori di una lettera a Renzi sulla riforma del Senato: “Matteo fa come all’oratorio ma il pallone non è il suo”, sintetizza il quotidiano. Dice Esposito che non si tratta di volere il Senato elettivo e nessuno pensa alle indennità: “il problema sono la composizione e le competenze”. Cita l’esempio del Bundesrat tedesco: “metterci dentro i sindaci non credo sia una buona idea. E credo che tutto quello che riguarda l’Europa debba essere tra le sue competenze”. Non ci saranno i numeri? “Questo dipenderà da cosa succede negli altri partiti. Noi siamo i migliori alleati di Renzi, perché discutiamo in campo aperto. Ma non ci può dire ‘o è così o me ne vado’: come quando all’oratorio c’era il ragazzino che diceva ‘o si fa così o porto via il pallone’”.

In un’intervista su La Repubblica il leader dei Popolari per l’Italia Mario Mauro dice: “Grasso ha ragione, servono gli eletti”. E Giovanni Toti, consigliere politico di Forza Italia ribadisce: “Il patto resta ma ci vuole il premierato”, “chiediamo che venga approvato prima l’Italicum, anche perché quel testo è già pronto e può essere votato in una settimana”.

Il Fatto intervista Stefano Rodotà, tra i firmatari dell’appello di Libertà e Giustizia dal titolo “Verso una svolta autoritaria”. “Matteo Renzi -dice il professore- usa toni ultimativi, non gli piace la critica perché disturba il manovratore”, ma “i tempi della democrazia sono anche quelli della discussione”.

L’Unità intervista Luciano Violante, che definisce “preoccupazioni autorevoli ma non fondate” quelle espresse da Rodotà e Zagrebelsky. “Non vedo nessun tentativo di golpe o di stravolgimento della Costituzione. Lo stesso gruppo di studiosi contestò l’anno scorso la riforma del 138 che in realtà dava più garanzie ai cittadini prevedendo un referendum anche con il voto favorevole di due terzi delle Camere. Ora questo non avverrà: se l’attuale maggioranza, con l’aggiunta di Forza Italia, voterà la riforma del Senato, i cittadini non potranno esprimersi”. Violante segnala, tra gli “aspetti problematici” del Disegno di legge, “uno scarto di rappresentanza molto forte” tra i due rami del Parlamento, nel senso che con la legge elettorale denominata Italicum e con la Camera composta da 630 membri rispetto ai 148 senatori, “c’è il rischio che un partito con il 30 per cento o anche meno dei voti diventi il dominus non solo del governo ma anche dell’elezione” di organismi costituzionali, come i membri del Csm o il Capo dello Stato. Sui tempi, Violante dice che condivide l’urgenza di Renzi “ma questo non significa fare le cose in modo affrettato”. “Il governo non ha alzato muri e questo è un fatto positivo”.

Su Il Giornale Alessandro Sallusti scrive che “sentire il premier Renzi in conferenza stampa rivendicare il patto con Berlusconi (precursore di questa riforma) e mandare a quel paese i tromboni che da anni infestano e paralizzano la Repubblica è fatto davvero nuovo e musica per le nostre orecchie”. E più avanti: “Abolire il Senato elettivo, il bicameralismo e le province è un colpo duro per chi ha fatto dello Stato controllore e invadente la stella polare”.

Secondo il Corriere: “Berlusconi assicura il rispetto dei patti. Ma vuole un altro vertice con Renzi”.

Secondo Il Giornale: “Berlusconi non si fida del Pd. ‘Noi rispetteremo gli accordi’”. “L’avvertimento al premier: ‘Già nel 2006 la sinistra bloccò la rivoluzione istituzionale’. E Forza Italia chiede un nuovo faccia a faccia tra i due leader”.

La Repubblica sottolinea che “il premier-segretario controlla il partito, ma non controlla i gruppi parlamentari” e descrive “la ragnatela trasversale dei democratici per bloccare la riforma”. E raccoglie lo sfogo del senatore Francesco Russo, che guida la pattuglia dei 25 che hanno scritto al presidente del Consiglio: “lui afferma che va a casa se non fa la riforma, io sono pronto ad andare a casa subito piuttosto che fare male le riforme”, dice. I quotidiano scrive anche che “il primo banco di prova con il suo Pd” il presidente del Consiglio lo troverà nelle prossime ore sul decreto lavoro: il ministro Poletti domani andrà all’assemblea dei deputati e dovrà affrontarli difendendo il provvedimento.

Sul Corriere il quirinalista Marzio Breda scrive che il Presidente Napolitano, “a quanti gli hanno attribuito di essere il ‘mandante’ della fragorosa esternazione di Pietro Grasso o, al contrario, di aver avallato a scatola chiusa il progetto per un nuovo Senato messo in cantiere da Renzi, fa sapere che no, non si è mai pronunciato, in alcun modo, mai, e chiunque lo recluti nell’uno o nell’altro campo lo fa abusivamente. Puntualizzazione obbligata: oggi qualsiasi suo intervento sarebbe infatti una interferenza. Ma una cosa il capo dello Stato non la nega, nella nota del suo ufficio stampa: quella riforma per lui è importante, anzi ‘improrogabile’, dunque è positivo che ci si lavori subito per mettere fine al bicameralismo paritario. L’ha detto in infinite occasioni, per dare una scossa contro la ‘persistente inazione del Parlamento’. Spiegando che la ‘stabilità’ non è un valore se non si traduce in un’azione di governo adeguata”.

Sul Sole 24 Ore, Stefano Folli cita un passaggio di una intervista televisiva di Renzi soddisfatto perché a fronte delle sue annunciate riforme, Grillo “‘rosica’”. E, spiega Folli, “la grande riforma è anche un manifesto elettorale per togliere l’acqua a Grillo”, indossando il “mantello di nemico della ‘castas'”. “Se Renzi riesce a tenere lontani i Cinque Stelle, poniamo fra i dieci e i dodici punti, avrà vinto la battaglia”. E il suo partito, fino ad allora, “dovrà mordere l freno”, “nonostante i malumori di cui si è fatto portatore” il presidente del Senato.

Sul Corriere, il deputato 5Stelle e vicepresidente della Camera Luigi Di Maio spiega “perché noi 5Stelle siamo per la parità tra le Camere”. E scrive tra l’altro: “Trovo semplicistico trattare la questione delle riforme con la calcolatric anche perché – in questo caso – i risparmi sarebbero davvero trascurabili”.

L’Unità offre una intervista a Martin Schulz, il candidato alla presidenza della Commissione europea del Pse. “Per l’Europa le priorità: dignità e lavoro”. Schulz, del voto francese, ricorda che il Front National esiste dal 1972, che il fenomeno non è nuovo, e che quello che lo “preoccupa di più” è la “sfiducia dei cittadini nella politica e nelle istituzioni”. Sul Movimento 5 Stelle, “non credo che il movimento di Beppe Grillo e il Front National abbiano molto in comune. I cinque stelle non hanno caratteristiche razziste o xenofobe, né totalmente anti-europee. Io non condivido l’idea di un referendum sull’euro ma alcune delle critiche che rivolgono all’Europa hanno senso, soprattutto sul fatto che in questi anni in Europa è mancata la solidarietà: non sono posizioni anti-europee”. “Non credo che finiranno in Europa nella stessa famiglia politica di Le Pen, Wilders e gli altri euroscettici”. “Le forze progressiste hanno il dovere di ascoltare le voci di protesta, di critica, di rancore che si esprimono le voto a partito come il Movimento 5 Stelle. A volte ho l’impressione che non sono gli elettori ad essersi allontanati da noi, ma noi da loro”.

Scaroni

“Scaroni condannato per Porto Tolle”, titola La Stampa spiegando che l’amministratore delegato Eni ha subito una condanna a tre anni di carcere e a cinque di interdizione dai pubblici uffici per reati ambientali connessi alla centrale termoelettrica. L’Eni, ricorda il quotidiano, non c’entra, perché la vicenda riguarda l’Enel, di cui pure Scaroni è stato a.d. La condanna ha colpito anche un ex amministratore delegato come Franco Tatò. Assolto l’attuale a.d. Enel, Fulvio Conti. “La centrale dei veleni che non doveva esistere” è la storia che Roberto Giovannini racconta sul quotidiano ricordando i tredici anni di deroghe per sforare i limiti di emissione: l’impianto eccedeva da 2,5 a 12 volte i parametri delle sostanze nocive. Il Fatto sottolinea che alla vigilia delle nomine di Stato è arrivata la sentenza del Tribunale di Rovigo: “il verdetto è un macigno da molti punti di vista”, scrive il quotidiano ricordando che la condanna di Scaroni inciderà sull’imminente giro di nomine nelle società pubbliche. Scaroni puntava al quarto mandato all’Eni.

Secondo Il Sole 24 Ore tuttavia , a giudicare dai “requisti di onorabilità fissati dal ministero dell’Economia per gli amministratori di società controllate dallo Stato nella direttiva Saccomani del 24 giugno 2013”, una “condanna per un reato di questo tipo non impedisce automaticamente la nomina o la permanenza in carica di un manager”. La direttiva stabilisce infatti quattro categorie di cause di ineleggibilità o decadenza degli amministratori, per delitti previsti dale norme sull’attività bancaria o finanziaria, dalle disposizioni del codice civili su società e consorzi (per esempio le false comunicazioni sociali, l’infedeltà patrimoniale, l’ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità di vigilanza), i delitti contro la pubblica amministrazione o l’ordine pubblico o l’economia pubblica, e quelli di associazione a delinquere, riduzione in schiavitù, prostituzione minorile. Il quotidiano ricorda che l’a.d. Scaroni è anche indagato per l’accusa, “che respinge”, di corruzione internazionale per presunte tangenti pagate in Algeria dalla controllata Saipem.

Francia

Con un discorso alla Nazione in tv di 7 minuti, il presidente francese Hollande – scrive La Repubblica – ha dato il benservito al primo ministro Ayrault, annunciando le priorità del nuovo esecutivo che sarà guidato da Manuel Valls, già ministro dell’Interno: ripristinare “la forza dell’economia francese”, garantire “la giustizia sociale”, assicurare “la serenità” al Paese. Hollande ha parlato di una “diminuzione delle tasse e dei contributi” mantenendo però fermo il “patto di responsabilità” con le imprese per rilanciare l’occupazione. Poi ha evocato un nuovo patto, questa volta di “solidarietà”: sgravi fiscali alle famiglie fino a 3 miliardi finanziati da tagli alla spesa pubblica e da una riduzione delle promesse fatte agli imprenditori. Commenta il quotidiano: “un cammino impervio, considerando anche il deficit della Francia, ampiamente superiore al 3%”. Poi si ricorda che Valls era il politico più popolare del governo: considerato alla destra del Ps, liberal riformista, la sua nomina segna una svolta rispetto al socialdemocratico Ayrault. Ma il quotidiano sottolinea che Hollande ha avuto rapporti tempestosi con l’ambizioso Valls, tanto che alcuni parlano di una “coabitazione” tra i due. La nomina di Valls rompe l’alleanza con i Verdi, che non entreranno nella nuova compagine governativa. Scrive Bernardo Valli che “la scelta di Manuel Valls era inevitabile” e tutto lascia pensare che sia stata anche sofferta: “affiancarsi il ‘primo poliziotto’ di Francia, cioè il ministro degli Interni, dopo due anni con il gentile, remissivo Jean-Marc Ayrault, è stato un po’ come sostituire un gatto soriano con un falco”. Valls “non è un personaggio aggressivo”, è “un uomo pieno di energie”, scrive Valli ricordando che il cinquantaduenne nuovo premier ha origini catalane, ha acquisito la nazionalità francese a vent’anni ed è “un perfetto esempio di integrazione”, come prova la sua passione per la storia della nuova Patria, nella quale si è laureato. È stato sindaco di Evry, nella banlieue parigina. La sinistra del partito non lo ama: Valls è un social liberale, un liberista ed un tempo chiedeva di togliere l’aggettivo socialista al nome del partito: “alcuni osano chiamarlo il Sarkozy socialista. Perché, come Sarkozy, l’ex presidente di destra, era ministro degli Interni e interpretava il ruolo con lo stesso zelo. Faceva demolire gli accampamenti dei rom; espelleva facilmente gli immigrati irregolari: e se la prendeva spesso con il ministro della giustizia, Christiane Taubira, che alleggeriva le detenzioni”.

Su La Stampa: “Hollande sceglie Valls per un ‘governo di lotta’”, “L’energico ministro dell’Interno al posto di Ayrault: ‘Riforme e giù le tasse’”. Il quotidiano intervista il più celebre pubblicitario francese, colui che ha fatto e disfatto presidenti con i suoi slogan, Jacques Séguéla, che apprezza la scelta di Valls: “perché è un professionista della politica, perché ha autorità e perché è stato un ministro dell’Interno credibile. È apprezzato anche a destra e in questo momento Hollande ha bisogno di unire un’opinione pubblica divisa. Valls è detestato dagli estremisti, di sinistra e di destra, quindi è la scelta giusta”. E, sollecitato sul paragone possibile con Renzi, dice che “la vecchia gauche è morta” con le elezioni amministrative e che tanto l’uno che l’altro traggono la loro forza dal fatto di non averne fatto parte.

Anche Il Sole 24 Ore parla della Francia dopo la “disfatta socialista alle comunali”: “Hollande cambia il premier. All’ex ministro dell’Interno Manuel Valls il compito di rilanciare l’economia”. “L’Eliseo si affida a un socialista ‘di destra’ che ha come modelli Blair e Schroeder ed è critico nei confronti delle 35 Ore”.

Il Corriere della Sera offre un ritratto di Manuel Valls, il “socialista catalano che piace alla destra (e somiglia a Sarkozy)”. Valls è cittadino naturalizzato francese dal 1982, nato in Catalogna, a Barcellona, definito “Sarkozy di sinistra”, dal suo campo, perché “capace di espellere più rom di Sarkozy, ma destando meno scandalo”. Il suo motto: “Il populismo è ingannare il popolo. Combattere il populismo è rispondere alle attese del popolo”.

Turchia

Sul Sole 24 Ore, Alberto Negri scrive del giorno dopo “l’affermazione travolgente alle municipali del primo ministro Erdogan”. “Chi pensa che Erdogan possa fare dei passi indietro probabilmente si sbaglia”. Secondo Aldo Kaslowki, “nume tutelare della Tusiad, la Confindustria turca”, Erdogan “non farà concessioni agli sconfitti, lo conosco da 25 anni, da prima che diventasse sindaco di Istanbul e quando è salito al potere l’ho portato in Europa per introdurlo nel mondo del business”, ma ritiene difficile che corra per la carica di Presidente: “‘Senza modificare la Costituzione resta una carica priva di poteri reali: forse lascerà al suo posto Abdullah Gul'”.
“‘Solo una seria crisi economica può rovesciarlo, e per il momento non ci sono ancora le condizioni. Può crearle soltanto lui, aumentando la tensione sociale e sollevando diffidenza negli investitori internazionali'”, dice invece Bekir Agirdir, fondatore di Konda, società di sondaggi che ha “centrato più da vicino le intenzioni di voto, assegnando all’Akp il 45 per cento dei consensi”, scrive Negri.

Su La Repubblica, Marco Ansaldo riferisce così la reazione del primo ministro Erdogan dopo la vittoria alle amministrative: “La minaccia di Erdogan: ‘Staneremo i nemici, gliela faremo pagare’”, “Il premier festeggia la vittoria alle amministrative e va in trionfo con i figli protagonisti degli scandali”.

La Stampa offre ai lettori un reportage di Marta Ottaviani: “A Istanbul tra i filo-Erdogan, ‘Una benedizione, Allah è con lui’”, “Uskudar, quartiere sulla sponda asiatica, festeggia il trionfo elettorale dell’Akp”. E un’intervista a Ipek Calislar, nota scrittrice turca apprezzata per l’impegno sui diritti delle donne: “Scandali e meno libertà? La gente guarda i fatti”, “Il leader ha vinto perché ha cambiato il Paese e rilanciato l’economia”, dice.

E poi

Sul Corriere da segnalare una intervista a Ron Huldai, primo cittadino di Tel Aviv, sindaco in carica dal 1998, cresciuti in un kibbutz, critico nei confronti di Netanyahu: “‘Bici, Google, Gay Pride: Tel Aviv come Berlino. Il progetto (ventennale) del sindaco: ‘Una città liberale, pluralista, laica’”.

Da La Repubblica segnaliamo infine un reportage di Massimo Calandri da Doha: “Qatar, ‘Io schiavo del Mondiale per cinque euro al giorno’”. Storia di un lavoratore filippino che racconta la sua vita nei cantieri per gli stadi, con stipendio da fame e in condizioni disumane.

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