La Stampa: “Europa, pressing su Monti”, “Il Ppe con il premier. Berlusconi: è il mio candidato. Lui: non escludo un futuro politico”.
La Repubblica: “L’Europa vota Monti: ‘Si candidi’”, “Il Professore al vertice Ppe. Isolato Berlusconi. Banche, via alla vigilanza Ue”.
Libero: “Ci tocca un Montoni”.
Il Giornale: “Italia, rischio colonia”, “Nuove intrusioni dall’Europa”, “Al vertice Ppe pressioni per la conferma di Monti. Merkel: tifo per lui. Prove di dialogo tra Berlusconi e il Prof”, “Il Cavaliere: ‘Qui mi coccolano tutti. Ma, così com’è, l’euro ha tre anni di vita’”.
Il Corriere della Sera riassume nel titolo l’orientamento dei leder europei: “’Ora Monti scenda in campo’”, “Il Ppe ‘processa Berlusconi e spinge per il premier”.
Il Fatto: “Dell’Utri: ‘Deve candidarmi. Con Silvio storie intrecciate’”. Si tratta di un’intervista del quotidiano al senatore siciliano.
A centro pagina: “L’Europa decide per noi, ‘Vogliamo Monti premier’”.
Il Sole 24 Ore, sul vertice Ue: “Banche, vigilanza alla Bce”. Di spalla: “Cresce il pressing europeo su Monti: ‘Si candidi’. Berlusconi: lo appoggio”.
Monti in Europa
“Il Ppe italiano ha un leader”: questo il titolo dell’analisi che Stefano Folli dedica, sul Sole 24 Ore, alla partecipazione di Mario Monti al vertice del Partito popolare europeo a Bruxelles. Secondo Folli “è uno di quei dettagli suscettibili di cambiare la storia politica di una nazione. Infondo Monti non è titolare (non ancora) di un partito o di un raggruppamento aderente alla famiglia dei popolari. In passato ha manifestato simpatia verso il Ppe, ma fino a ieri il suo profilo è stato quel che sappiamo: un ‘tecnico’ autorevole”, “non una figura politica” in senso classico. Ma ora il quadro è mutato: dopo l’annuncio delle dimissioni, ha preso forma il “’nuovo’ Monti come soggetto politico definito: un leader moderato, ancorché senza partito, che si qualifica lungo un alinea di rottura con il berlusconismo morente”. Il secondo momento che ha scandito questo mutamento della figura di Monti è stato l’invito del Ppe a partecipare al vertice. Un invito “con uno scopo preciso: dimostrare a tutti che in Italia i popolari europei hanno un punto di riferimento che ovviamente non è Berlusconi, personaggio ormai messo ai margini. Il riferimento che colma il vuoto si chiama Monti ed è a lui che il più grande partito trasversale” presente nell’Europarlamento si rivolge perché faccia “del suo meglio per governare l’Italia in futuro”. “Con il consenso degli elettori, è ovvio”, chiosa Folli. Aggiungendo che tutto questo non sarebbe stato possibile senza “il beneplacito, o meglio la spinta propulsiva della Germania di Angela Merkel”.
Antonio Polito, sul Corriere della Sera: “Il congresso di Buxelles”. Monti “il ‘tecnico’ ha ricevuto un’investitura politica senza precedenti”, “l’ingerenza è evidente”, ma il guaio è che “il rischio Italia fa letteralmente paura all’Europa e forse ancor di più all’America di Obama”. La prossima campagna elettorale sarà “la prima alla quale parteciperanno politici e media stranieri”. D’altra parte, se le “convulsioni” del centrodestra italiano non avessero “inutilmente fatto cadere il governo Monti, rilanciando dubbi sulla tenuta dell’Italia, ieri non se ne sarebbe discusso a Bruxelles”, se il Pdl avesse capito da solo che l’Europa ha bisogno di garanzie di governo che Berlusconi è l’ultimo a poter dare, non saremmo all’esame del candidato-premier”. Ma vale anche per il Pd, visto che ancora non sappiamo se Monti parteciperà alla campagna elettorale e con quale schieramento di forze: “ma è evidente che trovarsi un Monti avversario nelle urne sarebbe un colpo duro per un partito che ancora lo sostiene in Parlamento”. Polito cita l’esperienza Occhetto: nel 1994, senza antagonisti, si trovò un fronte moderato “nuovo di zecca” che lo sconfisse. Anche al Pd vengono chieste “garanzie” sul rigore che sia Vendola, sia l’ala sinistra del partito, ogni giorno respingono.
Il Fatto: “il consesso conta: il Ppe ha la maggioranza dei capi di Stato o di governo dell’Ue. Ovvio che i capi del partito si preoccupino di evitare che la sinistra vinca le prossime elezioni in Italia: è il loro minimo comune denominatore”. In un altro articolo del quotidiano: “Monti ha trovato casa nel centrodestra”, “archiviata l’ipotesi terzista Casini-Montezemolo, proverà a guidare un polo ispirato al PPE”. Perché la scelta di partecipare alla riunione del PPE “segna la fine del profilo ‘tecnico’ del professore”. Nel documento approvato ieri, prima firmataria la Merkel, si auspica che “i leader di centro e di centrodestra trovino il modo di proseguire sulla traccia” del governo tecnico. “Tradotto: Mario Monti a Palazzo Chigi con una coalizione di centrodestra nel 2013”. Visti i sondaggi su Udc e Movimento di Montezemolo, la base elettorale strettamente di centro non è sufficiente a dar certezze a Monti. Si tratta di costruire una destra alternativa al Pdl, cosa che richiede tempi lunghi”. L’ipotesi più percorribile sembra il distacco di un pezzo Pdl, ovvero “l’ala dei montiani”, che sarebbe ispirata dall’ex ministro Frattini, indicato come il regista dell’abbraccio del PPE e Monti. Questi ex pidiellini aggregherebbero Casini, Montezemolo, altre liste, indicando Monti come candidato premier.
Il Giornale, Salvatore Tramontano in prima: “Tutti vogliono Monti, tranne gli italiani”. Monti fa capire che è pronto a mettersi in gioco per tornare a Palazzo Chigi, ma questo significa che in chiave italiana non pouò che essere alternativo a Bersani: “E’ una rinuncia alla poltrona di ministro dell’economia in un governo targato Pd”. Ma deve risolvere una questione non marginale: “Per vincere le elezioni servono i voti”, e gli italiani “non sbavano per i tecnici come fanno i potenti di mezzo mondo”. Anche alle pagine interne: “Il blitz del professore per avere l’investitura dei potenti d’Europa”, ma così l’Italia rischia di perdere autonomia. Il quotidiano scrive che l’invito del Partito Popolare europeo è stato costruito e gestito nel più piccolo dettaglio, e solo preso atto che Monti avrebbe gradito, dopo più di un contatto e sondaggio, è arrivata la richiesta ufficiale del Presidente Martens.
Libero: “Mario Monti stravince le primarie del Partito Popolare europeo”. Ma per il quotidiano la “mossa del Cav” è quella di unirsi a Mario, spiazzando i nemici.
Il Foglio, parlando del vertice PPE “a trazione tedesca” che ha offerto l’investitura a Monti: “Lo sapeva Angela Merkel, lo sapeva Vilfred Martens, ovvero il Presidente PPE che lo ha scortato nella stanza tra gli sguardi sorpresi di taluni, e lo sapeva anche Frattini, che ci lavorava da una settimana. Silvio Berlusconi invece ieri ha appreso solo a pochi minuti dal pranzo che Monti si sarebbe seduto a tavola, con i vertici del PPE a Bruxelles, una riunione di partito, e non un vertice istituzionale (“qui mi sento a casa”, ha detto il Professore). “Ma il Cavaliere non ha fatto una piega, il suo intervento di fronte agli altri leader era già preparato, concordato, e doveva essere – come è stato – una dichiarazione di fede europeista dal sapore esplicitamente montiano: ‘Se si candida lui, io mi ritiro’”.
La Repubblica, nel suo retroscena, riassume invece così lo stato d’animo del Cavaliere di rientro da Bruxelles: “’Se avessi saputo cosa mi attendeva, se avessi saputo che sarebbe venuto anche lui, non sarei venuto’”, “una ‘trappola’ di cui ha saputo solo quando non poteva più dare forfait”.
Pd
Ancora da La Repubblica: “Bersani: ‘ora serve chiarezza, anche da Mario’”. Il quotidiano parla di nervosismo sotto traccia che, parallelamente, deve tentare di rassicurare cancellerie e mercati esteri sulla “forza tranquilla” del Pd, garantendo che il centrosinistra a Palazzo Chigi non manderà al macero l’agenda Monti, ma la “migliorerà” perché “ci vogliono più riforme di quelle che sono state fatte nell’ultimo anno” (parole di Bersani). Il Corriere della Sera intervista Massimo D’Alema: “L’ho detto a Monti personalmente, ora glielo dico pubblicamente: sta logorando la sua immagine. Preservi se stesso, sia utile al Paese, non si faccia coinvolgere negli spasmi di una crisi politica sempre più convulsa e sconcertante per i cittadini”. Il quotidiano descrive D’Alema come categorico: “Monti non si deve candidare”. Spiega D’Alema che la personalità di Monti è “utile al Paese” e precisa: “Non gli chiediamo di tornare all’Università Bocconi”. Poi spiega: “Trovo solo che sarebbe illogico e in qualche modo moralmente discutibile che il Professore scenda in campo contro la principale forza politica che lo ha voluto e lo ha sostenuto nell’opera di risanamento”. Ribadisce che il Pd vuole andare oltre l’esperienza del governo Monti, puntando su giustizia sociale e crescita. Parla poi delle primarie, su cui ammette di esser stato perplesso, e riconosce “ha avuto ragione Bersani”. Su Renzi: “Non vedrei nulla di male se entrasse in un futuro governo”. Sulle primarie Pd per la scelta di candidati al Parlamento: “E’ giusto che i candidati vengano scelti dal basso, visto che purtroppo non si è potuta fare una legge elettorale”. Conferma che non si candiderà? “Ci mancherebbe, ho dato la mia parola”. E dopo? “Dopo si vedrà”, risponde D’Alema, ricordando di non essere “disoccupato”, essendo presidente della Fondazione ItalianiEuropei e a capo della Foundation of european progressive studies.
Sullo stesso quotidiano si scrive che la mossa delle primarie Pd “blocca renziani e notabili”. Nel senso che non si potrà autocandidare chi vorrà, e le liste dei papabili al Parlamento verranno stilate dalle segreterie provinciali e regionali, “al 90 per cento e oltre di provata fede bersaniana”. Inoltre, “non potranno scendere nell’agone sindaci, presidenti di provincia, consiglieri regionali, cioè tutti quelli che detengono un loro pacchetto di voti e che non vivono all’ombra del leader”.
Internazionale
Sulla prima pagina del Corriere, la notizia che l’ambasciatore Usa all’Onu, Susan Rice, si è ritirata dalla corsa per l’incarico di Segretario di Stato dopo la Clinton. “E’ la prima grande sconfitta dell’Amministrazione Obama”, scrive il quotidiano. Spiegando che la Rice era finita al centro degli attacchi dei Repubblicani, che avevano posto il veto alla sua nomina, per il modo in cui aveva gestito la vicenda dell’assalto al Consolato americano a Bengasi dell’11 settembre, che costò la vita a 4 americani, incluso l’ambasciatore Usa in Libia Stevens.
Anche su La Repubblica: “Susan Rice lascia la corsa per il Dipartimento di Stato”. Lei stessa ha parlato di “attacchi scorretti e fuorvianti” verificatisi nelle scorse settimane. I Repubblicani continuavano ad accusarla di aver coperto la verità su Bengasi, tacendo sotto elezioni il ruolo di Al Qaeda, e dando la colpa al film americano anti-islam per l’assalto all’Ambasciata Usa.
Si rilanciano le quotazioni di John Kerry. La Casa Bianca ha peraltro fatto trapelare che la scelta del prossimo capo della Difesa potrebbe cadere su un senatore Repubblicano, Chuck Hagel. Il quotidiano ipotizza uno “scambio” della testa di Rice con la non opposizione dei Repubblicani sul Fiscal Cliff, visto che in quelle ore lo speaker della Camera aveva fatto sapere di esser pronto a riprendere i difficilissimi colloqui sulla materia.
Restiamo alla Repubblica, per segnalare un reportage dalla Siria: “Nella fabbrica di armi dei ribelli, ‘mercato nero e mitragliatrici, così stiamo vincendo la guerra’”. Poi si dà conto della posizione della Russia: “Siria, anche la Russia si smarca, ‘Assad destinato a crollare’”.
Su La Stampa: “Mosca ammette, ‘Assad sta perdendo’”. Ci si riferirebbe alle parole del viceministro russo degli esteri Bogdanov, che però non sono state ribadite dal titolare della Diplomazia russa Lavrov.
Il Foglio: “L’intelligence francese dice no all’America che vuole intervenire in Siria”. Secondo il quotidiano gli Usa stanno tentando di convincere la Francia e altri alleati Nato che in Siria la minaccia delle armi chimiche del Presidente El Assad giustifica la preparazione di un intervento militare. L’Amministrazione Obama sarebbe pronta ad una azione di “guerra preventiva” per prendere il controllo dei 31 depositi siriani dove sarebbero custoditi i precursori chimici che, miscelati assieme, compongono il gas nervino Sarin. Ma i servizi francesi, cui è arrivato un memo di quelli americani, si oppongono con forza, sostenendo che si tratta di intelligence insufficiente. La richiesta Usa sarà affrontata nella riunione dei tredici Paesi che seguono la crisi siriana, prevista per la prossima settimana in Canada. Perché gli Usa esercitano pressione soprattutto su Parigi? Perché dalla Francia si aspettano un aiuto decisivo: “I servizi francesi sembrano i più connessi in Siria rispetto a tutti gli altri”.
E poi
La Repubblica intervista Valentino Parlato, per spiegarne l’addio al Manifesto, e sintetizza così le sue parole: “Rossanda ha ragione, non è più un giornale partito”. Dice che c’è una “crisi di linea” ma aggiunge: “Continuerò la battaglia”.