La Repubblica: “L’Italicum è legge, cresce la fronda pd. Renzi: mai più inciuci per governare”, “Le opposizioni fuori dall’aula, riforma approvata con 334 sì e 61 no. Boschi: Mattarella firmerà”.
In prima la foto dell’attacco a Garland, nel Texas: “L’assalto dei jihadisti del Texas”, “raid contro le vignette su Maometto, uccisi i terroristi. Uno era americano”.
A centro pagina le manifestazioni contro la riforma della scuola: “La protesta di prof e studenti: ‘Questa riforma è per i ricchi’”.
Nella colonna a destra: “Cari elettori non lasciate che Londra esca dalla Ue”, di Timothy Garton Ash.
A fondo pagina una lettera di Elena Cattaneo: “Perché la scienza non può rinunciare a sperimentare sugli animali”.
In prima anche il richiamo alle pagine della cultura, con un intervento di Umberto Eco: “Da Buddha a Hegel i filosofi catturati dal dolore”. Si tratta del libro che Eco presenterà questa sera al Centro San Domenico di Bologna, nell’ambito di un incontro sulle cure palliative.
Il Corriere della sera: “Renzi vince la sfida, l’Italicum è legge”. “L’opposizione resta fuori dall’Aula. Il risultato è 334 sì e 61 no. Bersani: il dissenso è ampio”. “L’appello del M5S: il presidente Mattarella non firmi. Brunetta: è una vittoria di Pirro. Così cambia il sistema di voto”.
“Un vero spartiacque politico” è il titolo dell’editoriale di Massimo Franco.
In alto: “Le pensioni dopo la Consulta. Tre scaglioni per i rimborsi. Un decreto anti-ricorsi”.
Di spalla: “Roma sceglierà l’arbitrato: basta diplomazia sul caso marò”.
A centro pagina la fotonotizia dell’attacco di Garland: “Uccisi due terroristi, uno era cittadino americano”.
Accanto, lo sciopero della scuola: “Scuola in piazza, il governo apre alla riforma”.
A fondo pagina: “Il marinaio che ha salvato centro profughi”. “Era sul Norman Atlantic quando è scoppiato l’incendio. ‘Li ho aiutati con una rete'”.
La Stampa: “L’Italicum è legge, Mattarella firma”, “La riforma elettorale passa con 334 voti. Renzi: giornata storica. Il Pd si spacca. E oggi la scuola si fermerà per protestare contro il ddl della ministra Giannini”, “L’approvazione in una Camera semivuota: 61 i contrari, le opposizioni abbandonano l’Aula. Bersani. Ampio dissenso”.
A centro pagina, la foto della secondogenita di Kate e William, messa accanto a quella di una piccola partorita da una profuga sulla nave della Marina militare italiana Bettica.
Nella colonna a destra, lo sciopero dei ferrovieri tedeschi: “Lo sciopero che sconvolge la Germania”, di Francesca Sforza.
Poi, sulla politica francese, la sospensione decretata dal Front National per il suo fondatore Jean-Marie Le Pen: “Il 25 luglio del camerata jean-Marie”, di Cesare Martinetti.
Il Fatto: “Renzitalicum padrone d’Italia”, “10 anni fa il Porcellum passò con 323 voti (quelli dei berluscones). Ieri l’Italicum ne ha avuti 334 (renziani e centristi). Ma circa 50 del Pd dicono no e preparano la battaglia in Senato contro i nominati nelle Regioni”.
A centro pagina, le proteste contro la riforma della scuola: “In piazza contro il preside ‘dittatore della scuola’”, “Stamane manifestazioni e cortei in sette città”, “Il governo ha provato a evitare la contestazione promettendo cambiamenti della riforma sino all’ultima ora. Oggi però sfilano i docenti e gli studenti uniti nel rifiuto delle norme varate dal ministro Giannini. Le critiche più aspre riguardano i poteri concessi ai dirigenti d’istituto e l’esclusione dalla assunzioni di quasi 50 mila precari”.
In prima anche una foto di Silvia Sardone: “La Berluschina del nuovo che indietreggia”, di Selvaggia Lucarelli.
Il Giornale: “Renzi: la legge sono io”. “Il Pd si fa la riforma elettorale da solo in un’Aula deserta, ma perde pezzi e crescono i dissidenti”. “Senato, Mattarella e Consulta: le incognite sulla vittoria del governo”.
L’editoriale, firmato da Vittorio Feltri su Renzi: “Gli danno retta anche quando dice bischerate”.
A centro pagina: “E adesso i black bloc piangono come agnellini”. “Tutte le scuse dei violenti”.
A fondo pagina, sullo sciopero della scuola: “Lettera di una mamma-giornalista, oggi sciopero contro la riforma”. “Mio figlio, alunno e vittima di questa scuola pubblica”.
Il Sole 24 ore: “La nuova Milano motore della ripresa”. Il quotidiano offre una inchiesta sul capoluogo lombardo. “Produzione industriale cresce dell’1,4 per cento, nuove imprese aumentate del 2,1, 8 università e 180 mila studenti: tutti gli indicatori sono migliori rispetto al resto d’Italia”. “Ricerca, cultura, vecchia e nuova manifattura, il primato di real estate e finanza: la sfida di guidare la ricostruzione italiana”.
In evidenza: “L’Italicum è legge, ecco come si voterà. Ballottaggio per il governo. Renzi: impegno mantenuto”. Due commenti: “Perché funzionerà” di Roberto D’Alimonte (“La strada lunga del maggioritario”) e “perché non funzionerà” di Gianfranco Pasquino (“Quel premier debordante”).
A fondo pagina: “Pensioni, ipotesi rateizzazione”.
Italicum
La Stampa, pagina 2: “Sì all’Italicum, senza le opposizioni”. E, alla pagina seguente: “Nessun dubbio al Colle. Mattarella firmerà già oggi”, “Il Presidente non vuole alimentare attese. E non vede margini problematici”. A scriverlo è Ugo Magri, che ricorda come il Presidente conosca a fondo la materia, se non altro per aver scritto nel 1994 la legge che porta il suo nome. E poi per esser stato tra i giudici costituzionali che un anno e mezzo fa cassarono il Porcellum. Due aspetti venivano contestati a quelle norme: mancava una soglia per il premio di maggioranza e le liste bloccate erano talmente lunghe da impedire un voto consapevole. Tanto il primo che il secondo ostacolo sembrano superati con l’Italicum, dunque sul Colle – scrive Magri – non si vede a cosa un rinvio alle Camere potrebbe appigliarsi. Suonerebbe pretestuoso, “questo almeno si percepisce fa quelle parti. Poi, certo, eventualmente un domani valuterà la Consulta. Però Mattarella non vuole rubarle il mestiere”.
E ancora su La Stampa, pagina 2: “La prossima frontiera del premier. Disinnescare la mina-Consulta”, “Renzi teme che la Corte diventi una ‘terza Camera’”. Scrive Fabio Martini che il tema riproposto dalla recente sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni rischia di imporsi di nuovo e clamorosamente con l’Italicum: tra le prerogative del futuro Senato, infatti, c’è anche, su richiesta dei senatori, la possibilità di investire la Corte costituzionale per un esame retroattivo delle leggi elettorali. Ecco quindi che a Palazzo Chigi si comincia a valutare con attenzione il problema dell’elezione di ben tre giudici, in programma tra due mesi.
La Repubblica, pagina 2: “L’Italicum è legge con 334 sì, cresce il dissenso nel Pd. Renzi: impegno mantenuto”, “Alla maggioranza sono mancati una sessantina di voti. Opposizioni fuori dall’aula. Fi e M5S: il Quirinale dica no”.
Sulla stessa pagina, il “retroscena” di Francesco Bei: “E Mattarella rassicura il premier: ci sono le condizioni per la firma”, “Il Presidente del Consiglio: ‘Mai più inciuci. La minoranza? Di certo io non la caccerò. Era Bersani però a teorizzare i doveri della Ditta’”. Scrive Bei che “se Renzi si mostra tranquillo sul giudizio di Mattarella, resta per intero il ‘problema politico’ (per dirla con la ministra Boschi) di quella cinquantina di dissidenti dem che hanno votato no alla legge. Sarà il tema su cui da domani si inizierà a ragionare, anche in vista del passaggio stretto al Senato della riforma costituzionale”.
E a pagina 3 de La Repubblica, un’intervista al politologo Roberto D’Alimonte, ispiratore della riforma, che dice: “Questa riforma funziona ma va abolito il Senato”, “Accanto al simbolo del partito si troverà chi sarà eletto per primo, come nei collegi del Mattarellum”. Secondo i critici, il combinato disposto di Italicum e nuovo Senato dà vita a un presidenzialismo di fatto senza contrappesi. Cosa ne pensa? D’Alimonte: “Che il presidenzialismo è un’altra cosa. Poi le faccio un elenco dei contrappesi: l’Europa; le elezioni; un presidente della Repubblica con poteri non simbolici, eletto, secondo la riforma, con il 60 per cento dell’Assemblea; una Corte costituzionale molto autonoma; un referendum propositivo e un referendum abrogativo che abbassa drasticamente il quorum; la magistratura più indipendente del pianeta”.
Secondo Gianfranco Pasquino, sul Sole, “L’Italicum è una cattiva riforma che ha un solo merito: il ballottaggio che dà potere reale agli elettori. Quanto al resto è sbagliato il premio alla lista, sbagliate le candidature multiple, sbagliata la bassa soglia per l’accesso al Parlamento”.
Sullo stesso quotidiano ancora Roberto D’Alimonte difende quella che è anche una sua creatura, scrive che “l’Italicum è un buon strumento che rappresenta un punto di equilibrio soddisfacente tra governabilità e rappresentanza” e spiega che la chiave è nel ballottaggio, “il meccanismo con cui la minoranza più grande nel paese diventerà legittimamente maggioranza di governo. Sarà così perché è molto improbabile che ci sarà nel prossimo futuro un partito capace di arrivare al 40% dei voti e vincere così al primo turno. Il 55% di seggi promesso dall’Italicum i partiti se lo dovranno conquistare al ballottaggio. Tra l’altro la soglia del 40% valeva inizialmente anche per le coalizioni. La decisione di assegnare il premio solo alla lista, senza abbassare la soglia per ottenerlo, ha reso ancora più difficile che un partito vinca al primo turno”.
Ancora su La Stampa, nell’esame dei punti-chiave del testo dell’Italicum, si scrive che “Senza l’abolizione del Senato l’Italicum resta una legge a metà”, “Se si torna al voto prima della riforma costituzionale avremo due sistemi diversi. I dubbi dei costituzionalisti su pluricandidature, sbarramento e secondo turno”.
Su La Repubblica, pagina 9, il “dossier” sul testo dell’Italicum: “Capilista bloccati ma anche preferenze e l’Italicum premia il partito più votato”.
Sulla stessa pagina, intervista al costituzionalista Gaetano Azzariti: “Non sarà facile chiedere il referendum”, perché “non è facile individuare le parti da sottoporre a questa procedura. La giurisprudenza costituzionale impone che l’abrogazione di una legge elettorale non comporti la ‘paralisi del funzionamento’. Ciò significa che si possa votare con una legge in vigore”.
Su Il Fatto, in prima l’editoriale del direttore Marco Travaglio: “Diamoci da fare con il referendum”. “Non resta che sperare nel presidente Mattarella”, scrive Travaglio, sottolineando che “non ha che da leggere la sentenza n.1/2014 della ‘sua’ Consulta sul Porcellum per rispedire alle Camere l’Italicum, che platealmente tradisce e disattende”.
Secondo Marzio Breda, sul Corriere, a proposito di Mattarella, è “probabile che uno con la sua formazione e il suo stile abbia sofferto il metodo usato da Renzi per imporre la legge elettorale, con continui scontri in Aula e strappi con lo stesso partito di maggioranza. Ma da oggi il problema del presidente della Repubblica è quello di entrare nel merito della legge, per decidere se approvarla o no”. Si legge che la “palese incostituzionalità” nel caso dell’Italicum “è molto difficile” da considerare, nel senso che il nuovo sistema “rispetta” i “requisiti” definiti dalla Corte Costituzionale. Breda scrive anche che ci sono tuttavia punti critici che potrebbero portare Mattarella a “un approfondimento in più e magari ad alcune osservazioni, che potrebbe rendere pubbliche o in coda alla legge stessa (sulla scia della prassi inaugurata da Napolitano e ormai accettata) o attraverso un’esternazione ad hoc”. Si tratta della “cosiddetta clausola di salvaguardia, che subordina e rende efficace la norma a partire dalla riforma delle Camere” e del “bipartitismo perfetto cui di fatto si ambisce e che cadrebbe in un quadro politico nel quale uno dei due contendenti (il centrodestra) è in condizioni di grande debolezza”.
Italicum e sinistra
La Repubblica: “La minoranza dem prepara il contrattacco: ‘Il Senato sarà un Vietnam’”, “I dissidenti escludono la scissione, solo Civati pensa a un gruppo autonomo. L’idea di appoggiare il referendum”.
E il quotidiano intervista Rosy Bindi, ex presidente del Pd. Dice che non promuoverà il referendum, anche se è convinta che questa riforma ammazzi il bipolarismo, poiché è “la legge del partito unico”. E sull’approvazione dell’Italicum dice: “Una vittoria di Pirro, la nuova legge nasce con i vizi del Porcellum”, “Non farò scissioni, meglio aprire un confronto dentro il partito su scuola, lavoro e welfare”.
Il Fatto, pagina 2: “In 61 minacciano Renzi. Festa amara per l’Italicum”. Il quotidiano sottolinea che “il dissenso del Pd è più grande del previsto. E al Senato peserà”.
A pagina 3: “Il terrore corre sul trolley: ora è guerra per il seggio”, “Tra capilista nominati e signori delle preferenze, la legge somma i difetti di quelle del passato. E nel Pd sono decine gli eletti che rischiano il posto”.
Su Il Fatto, intervista a Pippo Civati che dice: “Per me addio a un passo. Ora il referendum”. Dice Civati: “Ora si aprono due strade: o ci sarà un atteggiamento determinato e compatto della minoranza del Pd, oppure questo governo non potrà più essere sostenuto. E quindi non si potrà più fare parte della maggioranza. Per essere più chiari, non sono mai stato così vicino a lasciare il Pd”. Farà un gruppo autonomo? “È possibile, vedremo. Intanto abbiamo già pronti i quesiti sull’Italicum”.
Sul Sole 24 Ore, si cita Gianni Cuperlo che ha detto ieri che in Aula “l’applauso non è stato di quelli felici, liberatori… È un po’ il sentimento di chi si sente dire ‘tranquillo, è benigno'”. Né lui né Bersani o Speranza pensano di lasciare il partito. Cuperlo conferma di aver parlato de L’Unità con Renzi ma “smentisce di voler fare lui il direttore. Insomma, dentro il Pd; ma come ancora non è del tutto chiaro”.
La Stampa: “La sinistra Pd pronta alla scissione”, “Civati lascerà il partito: ‘Nei prossimi giorni potrei costituire un gruppo autonomo’. Fassina, molto vicino alla Cgil, è ancora incerto. Bersani e Cuperlo contrari”.
Sul Corriere, una intervista a Enzo Lattuca, il più giovane deputato Pd, 27 anni, che ha votato contro la riforma elettorale. Aveva detto sì alla fiducia. “È sbagliata la logica del prendere o lasciare”, “l’autosufficienza del primo partito non c’è in nessuna parte del mondo”, di Renzi gli piace “l’energia e la forza”, non lascia il partito, “piuttosto mi dimetterei dal Parlamento”.
“E ora il premier dovrà essere meno brusco con gli alleati”, scrive Marcello Sorgi su La Stampa, secondo cui l’approvazione dell’Italicum sancisce la nascita del “Partito della Nazione”, ieri per la prima volta all’opera in un passaggio decisivo. I dissidenti Pd sono passati da 38 a 46: “non è un gran risultato. Ma resta il fatto che il Pd da solo, senza l’appoggio degli alleati di governo, non ce l’avrebbe fatta” e il numero degli oppositori interni, trascurabile alla Camera, potrebbe rivelarsi “più insidioso al Senato”. E se davvero Bersani, Bindi e Cuperlo e tutti gli altri dovessero decidere di tener duro, evitando scissioni ma continuando la loro battaglia interna, “cambierebbero di fatto anche i contorni del Pd, in fermento alla sua sinistra e necessitato a considerare strategici gli alleati centristi o di centrodestra”.
Stefano Folli su La Repubblica scrive che “nel Pd la fronda dei dissidenti ha ‘mostrato bandiera’, come si diceva un tempo, ed è riuscita a rendere meno squillante la vittoria renziana. Troppo poco per vantare una vittoria morale, abbastanza per segnalare un’area di malessere e sinistra che Renzi tende a sottovalutare”. Renzi, scrive ancora Folli, “rischia di avere contro uno strano conglomerato di leghisti e grillini, un populismo senza proposta di governo ma con un seguito popolare effettivo e difficile da valutare”; sul piano politico “non potrà sottrarsi alla necessità di curare l’identità di una sinistra sospesa tra passato e futuro. Sul piano istituzionale non può ignorare che l’Italicum è più idoneo a sconfiggere un appannato partito tardo-berlusconiano che non un’arrembante alleanza populista alimentata dalla mancata ripresa economica”.
Secondo Massimo Franco sul Corriere, il voto di ieri segna “un vero spartiacque, destinato a segnare il futuro della legislatura” per le caratteristiche del voto. La legge “verosimilmente” non sarà ritenuta incostituzionale, “non è certo peggiore del Porcellum di cui prende il posto” ed è “comprensibile il trionfalismo col quale il premier elenca le doti, vere o presunte, della sua creatura: è uno strumento vincente”. Franco scrive anche che “i rischi di una dittatura allo stato nascente” vanno “presi per quello che sono: frutti di una polemica velenosa, e di argomentazioni tardive”.
Internazionale
“Il terrorismo islamico torna a spaventare gli Stati Uniti anche se la polizia ha ucciso i due assalitori prima che potessero compiere un attentato a Garland, in Texas, nei pressi di Dallas, dove era in corso un evento con una mostra di vignette su Maometto”, scrive Massimo Gaggi, sul Corriere. Uno dei terroristi, Elton Simpson, era cittadino americano, 30 anni, dell’Arizona. Gaggi si sofferma in un altro articolo sull’organizzatrice dell’evento, organizzato e “blindato”, che vedeva anche la presenza dell’olandese Geert Wilders. Si chiama Pamela Geller, 57 anni, erede di una famiglia di industriali tessili ebrei, leader delle organizzazioni Freedom Defense Initiative e Stop Islamization of America, autrice anche di un libro su Obama “musulmano mascherato che non tutela il free speech”, la Cpac, “lobby della destra radicale usa”, le ha “vietato di parlare alla convention del 2013 dopo averla invitata negli anni precedenti.
Sul Giornale, Fiamma Nirenstein: “L’America sceglie l’ipocrisia per non irritare i musulmani”. “Troppa paura di essere sospettati di islamofobia”. Si ricorda che le vignette di Charlie Hebdo non si sono praticamente viste negli Usa. E che la Geller aveva dovuto “pagare di tasca sua” la sicurezza nel centro che ospitava la mostra e la premiazione.
Ancora sul Corriere, Guido Olimpio descrive Elton Simpson, “alias Ibrahim”, tenuto d’occhio fin dal 2006 dall’FBI, comprese le sue conversazioni con un informatore. “Eppure tutto questo non è bastato a farlo restare in galera. Dopo l’arresto il giudice lo ha condannato a tre anni di libertà vigilata in quanto, a suo dire, non c’erano prove sufficienti. E l’Fbi – contrariamente alle prime informazioni – non l’ha potuto inserire neppure nella no fly list. Simpson, 30 anni, originario dell’Illinois e trasferitosi a Phoenix in Arizona, è rimasto così sul radar degli investigatori riuscendo a beffarli. Un convertito che ha imitato i ghazis, i combattenti del Profeta”. I due attentatori di Garland in apparenza non sono “due guerrieri”. Un militante dell”Isis ha scritto su twitter che i due non avevano “alcuna esperienza però hanno difeso l’onore di Maometto”.
Su La Repubblica: “Texas, attacco armato al convegno anti-Islam. L’America riscopre l’incubo del terrorismo”. A scriverne è Arturo Zampaglione: due uomini hanno sparato contro un centro congressi dove si teneva un concorso-provocazione per la migliore vignetta su Maometto. Sono stati subito uccisi dalla polizia: sui social media avevano promesso fedeltà ad Al Banghdadi. E si dà conto della “rabbia di Obama”: “Nessuna forma di espressione, anche se offensiva, giusitifica atti di violenza”. La Repubblica descrive poi il “personaggio” Pamela Geller: è l’organizzatrice dell’evento e Zampaglione la descrive come “la blogger estremista che guida la crociata contro i musulmani Usa”. Contrasta la “islamizzazione dell’America”, ha promosso una campagna contro la costruzione di una moschea all’ombra della Freedom Tower, il grattacielo sorto nella voragine delle Torri Gemelle (“Sarebbe un’offesa alle migliaia di vittime dell’11 settembre”, aveva detto).
Su La Repubblica un intervento dello scrittore di origine canadese Adam Gopnik, ancora sulla decisione del Pen Club di assegnare il premio alla rivista satirica francese Charlie Hebdo: “Difendere la risata anche se è offensiva, solo così scrivere ci rende liberi”, dice Gopnik. E in un’intervista sullo stesso tema, lo scrittore texano Joe Lansdale dice: “I fanatici possono colpire ovunque ma non dobbiamo aver paura”, “L’organizzatrice del concorso sulle vignette di Maometto è una fanatica estremista. Detto questo, la libertà d’espressione, di qualunque tipo, deve essere garantita”.
La Stampa: “Texas, assalto alla mostra delle vignette su Maometto”, “Due terroristi uccisi: uno è americano e aveva giurato fedeltà all’Isis”, scrive il corrispondente Paolo Mastrolilli.
Sulla stessa pagina un’intervista al disegnatore di Charlie Hebdo, Patrick Pelloux: “Noi di Charlie Hebdo ora ci sentiamo soli”, la sparatoria in Texas per le vignette su Maometto “è la prova che questa nuova forma di terrorismo, emanazione di integralisti islamico-fascisti, si sta generalizzando a livello mondiale”. Leonardo Martinelli, che lo intervista, fa notare che nel caso del Texas il contesto era diverso rispetto a quello di Charlie, visto che era presente il leader dell’estrema destra danese Geert Wilders. Pelloux risponde: “Non è che, perché tutti fanno dello sport, significa che lo fanno tutti nello stesso modo. Lì le caricature avevano come obiettivo la propaganda razzista. Niente a vedere con Charlie. Ma quegli spari indicano comunque che siamo in una guerra di religione”.
Negli Usa qualche giorno fa sei scrittori avevano deciso di boicottare l’assegnazione del premio Pen club a Charlie, che ne pensa? “La concezione della caricatura come l’abbiamo in Francia non fa parte della cultura degli americani, Non hanno lo stesso approccio laico. Perfino Obama chiude certi suoi discorsi dicendo ‘Dio benedica l’America’. Non capiscono che l’Islam va trattato, anche per la satira, allo stesso modo delle altre religioni”.
Due pagine de La Repubblica sono dedicate alle elezioni in Gran Bretagna: “Il piano di Cameron, un governo di minoranza per sabotare i laburisti”, “A due giorni dal voto, Tories in testa ma senza 326 seggi. Il premier studia le strategie per restare a Downing Street.
Da segnalare un intervento di Timothy Garton Ash: “Un’elezione ‘all’europea’ che rischia di far uscire la Gran Bretagna dalla Ue”, “L’esito sarà una soluzione molto ‘continentale’ che si discosterà dalla tradizione britannica”.
Su La Stampa: ‘Odio la Thatcher, viva la Ue’, la scozzese che sfida Londra”, “L’Snp di Sturgeon sarà decisivo. Miliband pensa all’alleanza, senza dirlo. Di Albero Simoni, che sottolinea come né laburisti né tories avranno probabilmente la maggioranza.
Su La Stampa, a proposito di Jean-Marie Le Pen: “Marine gli mette il bavaglio. Il triste tramonto di Le Pen”, “Il patriarca sospeso dal Front: non potrà più parlare a nome del partito. Pesa il passato, quando vietava alle figlie i programmo tv sull’Olocausto”. A raccontare questa “storia” è Cesare Martinetti.
Sul Corriere, Danilo Taino torna ad occuparsi della vicenda dei due marò. “È fallita la via diplomatica e il governo ha deciso di procedere con l’arbitrato internazionale sul caso di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i fucilieri di marina accusati di aver ucciso due pescatori indiani durante una missione anti-pirateria nel 2012”. Secondo le informazioni del Corriere – l’Italia, prima di giugno, “ritirerà la proposta che aveva fatto all’India per una soluzione diplomatica e negoziata e comunicherà al governo di Delhi l’intenzione di procedere con un contenzioso per stabilire dove risiede la giurisdizione della vicenda”. Si ricorda che il 15 luglio scade la licenza concessa a Latorre per continuare a curarsi in Italia dopo l’ictus che lo ha colpito nell’agosto 2014.
Scuola
Sul Sole, si legge che “un primo effetto lo sciopero unitario convocato oggi dai sindacati confederali della scuola sembra averlo ottenuto: il governo apre a modifiche al Ddl, in particolare sui poteri dei presidi, che vengono limitati”. Si cita un emendamento della Pd Coscia, approvato domenica, che “riscrive la norma sul piano dell’offerta formativa, che ora dovrà essere elaborato dal collegio dei docenti (e non più dal solo dirigente) e poi approvato dal consiglio d’istituto”. Altri correttivi sarebbero pronti: “Da un lato, sarà modificata la norma che stanzia 200 milioni per premiare i docenti migliori, affiancando al dirigente scolastico il nucleo interno di valutazione (composto da insegnanti) per individuare i prof da “valorizzare”; dall’altro, resterà la chiamata diretta dei professori ma verrà chiarito che i docenti dell’autonomia saranno inseriti in albi territoriali all’interno di reti di scuole (per limitarne gli spostamenti)”.
Sul Giornale si legge delle critiche di una parte dei manifestanti, i Cobas, che già accusano i “sindacati monopolisti” di essersi “già pronunciati a favore di un compromesso a predere con Renzi”. “Al momento le posizioni restano molto distanti, con i sindacati che annunciano migliaia di manifestanti ai cortei e prevedono adesioni massicce allo sciopero. Anche se, in realtà, non mancano i prof e i dirigenti scolastici che dichiarano di non aderire e su Twitter parlano di ‘ignoranza’ sui contenuti del ddl. Stesso concetto espresso dalla Giannini (‘Forse Camusso non ha letto il ddl’) e dal sottosegretario Davide Faraone, che parla di ‘fantasmi e bugie’, mentre il ministro Boschi si chiede ‘cosa avrebbero potuto organizzare se, invece di mettere 3 miliardi, avessimo fatto tagli come tutti gli altri governi'”. Il quotidiano informa anche che Agnese Renzi sarà “normalmente in cattedra”.