Corriere della Sera: “Napolitano: amnistia e indulto”, “I 5 Stelle attaccano. La replica: ve ne fregate del Paese”. Sotto la testata: “Previdenza, bloccati gli aumenti per gli assegni sopra i 3.000 euro”.
La Repubblica: “Napolitano invoca l’amnistia”, “’Vergognose le nostre carceri’. Scontro con i 5 Stelle: ve ne fregate del Paese”.
A centro pagina: “Moody’s su Telecom: ‘Il titolo è spazzatura’”. E “Il Nobel agli scienziati della ‘particella di Dio’”, “Il Cern brinda per il premio”.
La Stampa: “Il Colle: valutare amnistia e indulto”, “I grillini: così salva Berlusconi. Napolitano: chi lo dice se ne frega del Paese£
Il Giornale: “La giustizia è un cancro. Adesso è ufficiale”, “Se n’è accorto anche Napolitano e ora chiede al Parlamento di fare una riforma: amnisitia, indulto e non solo. Il Colle attacca i grillini: se ne fregano della gente”.
A centro pagina, con foto dell’interessato: “Ingroia il chiacchierone nei guai per fuga di notizie”.
Libero: “Liberi tutti, tranne Silvio”, “Re Giorgio vuole l’amnistia”, “Il Presidente scrive al Parlamento: riforma della giustizia e provvedimenti svuota-carceri. Subito il Pd avverte: non valga per Berlusconi. Grillini all’attacco, ira di Napolitano: se ne fregano della gente. La Pascale scatenata: ‘Sono una iena, ho tagliato le spese ad Arcore. Veronica? Troppi soldi’”.
A centro pagina: “Spiffera segreti al ‘Fatto’: Ingroia indagato”.
Il Fatto: “Ecco l’amnistia di Napolitano. Svuota le celle e salva B.”.
In taglio basso: “Gli oligarchi rossi si giocano in Borsa i soldi della Coop”.
L’Unità: “’Carceri inumane, ora basta’”, “primo messaggio di Napolitano alle Camere: situazione umiliante per l’Italia, ci vuole l’indulto o l’amnistia. Letta: il governo è pronto a intervenire. I Cinquestelle all’assalto del Quirinale: vuole salvare Berlusconi. Il Capo dello Stato: se ne fregano del Paese. Il Pd: il Cavaliere non c’entra nulla”.
Europa: “Napolitano dà voce all’Italia umiliata, Grillo lo aggredisce”.
Amnistia
La Stampa pubblica un “colloquio” con la ministra della Giustizia Annamaria Cancellieri: “E’ falsa l’idea che tutto sia fatto per Berlusconi”, dice. L’idea che la misura serva al Cavaliere è “una falsa idea. Quali dovranno essere i reati da inserire e quali togliere lo decide il Parlamento. Mi limito a osservare, però, che mai i reati finanziari e fiscali sono stati cancellati da una amnistia”. Poi, racconta il giornalista, prendendo sottobraccio Giovanna Melandri, ad un convegno della “Uman foundation”, dice: “Ma quand’è che diventeremo mai un Paesse normale…”. Sulla condizione delle carceri: “Nessuno si rende conto di che emergenza sia. Nelle celle ci sono cinque livelli di letti a castello. Siamo clamorosamente al di fuori delle misre previste dal nostro stesso regolamento carcerario. Ci sono realtà nelle quali i detenuti stanno in cella con il bagno accanto”. “E’ un momento di vera e propria emergenza e stiamo lavorando su molti fronti per una vera riforma carceraria. Stiamo facendo un discorso sul mutamento del tipo di carcere, ma questi interventi richiedono tempo. L’alleggerimento sarebbe fondamentale, è proprio quello che ci manca”.
Lo stesso quotidiano offre una intervista a Clemente Mastella, che è il ministro che varò l’ultimo indulto, nel 2006. “Per averci provato finii alla gogna”, il titolo.
Sulla opportunità di una misura di amnistia e indulto ieri il Movimento 5 Stelle ha criticato Napolitano. Scrive il quotidiano che ieri, dopo il messaggio, il profilo Twitter del gruppo parlamentare dei 5 Stelle alla Camera ha definito Napolitano “il padrino di un salvacondotto per Berlusconi”. Su La Stampa viene intervistato Manldio Di Stefano, deputato del Movimento: “Spiace constatare ancora una volta che Napolitano si dimostra incapace di avere un comportamento super partes”. All’obiezione che la Corte europea ci ha condannato per la condizione delle carceri, Di Stefano risponde: “La Corte europea la ascoltiamo quando ci va. Quando mantenevamo Rete4 con il denaro pubblico nessuno apriva bocca”. La situazione nei nostri penitenziari non è umiliante, come dice il Presidente? “Lo è, ma che c’entra. Abbiamo presentato una marea di proposte sulla questione”. Vogliono salvare Berlusconi? “Danno esattamente questa impressione”.
Il testo integrale del messaggio alle Camere di Napolitano viene pubblicato da Il Foglio. Dove i lettori troveranno anche un intervento di Danilo Leva, responsabile giustizia del Pd: “Pensare che la risposta al problema del sovraffollamento sia la costruzione di nuove carceri significa imboccare la strada sbagliata”. “Allo stesso tempo però non possiamo limitarci a svuotare le carceri. L’amnistia e l’indulto da soli non bastano. Devono essere il punto di arrivo di un percorso strutturale”. Si tratta pertanto, per Leva, di rimuovere le cause che sono a monte delle attuali condizioni di sovraffollamento. E tra queste cita: il decretoMaroni, la Fini Giovanardi, la ex Cirielli, le norme in materia di custodia cautelare. Per questo – scrive Leva- ritengo che l’amnistia e l’indulto siano provvedimenti giusti alla fine di un riassetto normativo. Si tratta di provvedimenti giusti, a patto che non coinvolgano reati di particolare allarme sociale o odiosi, come i reati di natura economica o fiscale”.
Anche Felice Casson, senatore Pd, intervistato da La Stampa, dice: “Non c’è nessuna preclusione ideologica su amnistia e indulto, ma ci si può arrivare alla fine di un percorso: al primo punto ci sono la depenalizzazione, le misure alternative al carcere, la limitazione della carcerazione preventiva”.
La Repubblica intervista il presidente della Commissione diritti umani Luigi Manconi, senatore Pd: “Ora non ci sono più alibi per nascondere la codardia. Speriamo che il Parlamento dia ascolto alle parole del capo dello Stato e alle ragioni del diritto”, dice Manconi. E’ sorpreso dal messaggio del Presidente? Manconi: “No, mi ricordo una marcia dei radicali nel 2005 per l’indulto e l’amnistia, e Napolitano, già ottantenne ma non ancora presidente, camminava convinto nonostante la pioggia”. Per Manconi “è un buon momento per cercare di approvare queste misure, che richiedono una maggioranza dei due terzi, perché sono lontane le scadenze elettorali, presumibilmente non prima del 2015, e quindi lontani gli effetti negativi sull’opinione pubblica che potrebbero ricadere sul voto”. Cosa direbbe a chi teme indulto e amnistia? “Che la recidiva, cioè chi è tornato in carcere, tra quelli che hanno beneficiato dell’indulto nel 2006, è stata di molto inferiore rispetto a chi ha scontato tutta la pena in cella: praticamente la metà, il 34 per cento contro il 68, e tra gli stranieri meno del 29 per cento”. Ma il Movimento 5 Stelle dice che così si salva Berlusconi. Manconi: “a me interessano le migliaia di persone comuni che ne potrebbero godere, non i pochissimi colletti bianchi beneficiati”. Sullo stesso quotidiano, nella pagina di fianco, un retroscena racconta: “L’ira del Presidente: ‘Io pro Berlusconi? Non sanno quali tragedie nelle celle’. L’angoscia e i colloqui con Pannella e il capo del Dap dietro il messaggio”.
Anche Adriano Sofri, su La Repubblica, in un commento dal titolo “L’abisso delle prigioni”, ricorda le volte in cui Napolitano, in passato, aveva parlato della drammatica situazione delle carceri definendole come una “realtà che ci umilia in Europa”. E considerando tutte queste sue prese di posizione, scrive Sofri, “Napolitano ha confidato che non si potesse lealmente fraintenderlo”. Poi, “lui non c’entra più, è sovrano il Parlamento”, e “in Parlamento ci sarà chi è favorevole alla amnistia perché spera che ne venga una via di uscita per Berlusconi, ci sarà chi è contrario perché teme ne venga una via d’uscita per Berlusconi. Napolitano avrà fatto la tara, si sarà augurato che ci sia chi rifletta perché è in pena per l’inferno in cui stanno i carcerati e le loro famiglie e per il vicolo cieco in cui si trova la giustizia”.
Secondo Stefano Folli, nel suo “punto” sul Sole 24 Ore, si può essere contrari all’amnistia, anche di fronte ai drammi provocati dall’affollamento. “Quello che non si può fare è accusare Napolitano di voler salvare per questa via Berlusconi”. Si tratta di una “accusa insensata, che la dice lunga sullo stato del dibattito pubblico e forse anche delle difficoltà dei ‘grillini’ alla ricerca di nuovi argomenti e di nuovi nemici dopo il tramonto di Berlusconi”.
Su Il Fatto Marco Travaglio scrive che il Presidente della Repubblica “ha firmato senza batter ciglio una miriade di leggi affolla-carceri. E ora viene a spiegarci (a noi!) che le prigioni sono strapiene e bisogna spalacarne le porte con una bella legge libera tutti (o quasi). Indulto e, già che ci siamo, pure amnistia. Per entrambi i provvedimenti occorrono i due terzi del Parlamento, dunque sappiamo già come andrà a finire. Dando per scontato che, salvo improvvisi istinti suicidi, 5 Stelle e Lega voteranno contro, in Parlamento occorreranno i voti di Pd-Pdl-Scelta Civica (che superano di poco il 66 per cento) e il Pdl farà pagare la propria indispensabilità cara e salata, con l’ennesino ricatto, quando si dovranno decidere il tetto massimo di pena per i reati da amnistiare e la lista dei delitti da indultare”. E quindi “o vi rientreranno i reati di Berlusconi”, oppure non ci sarà la maggioranza e il supermonito di Napolitano cadrà nel vuoto. Risultato: nella migliore delle ipotesi i processi in corso di B saranno falcidiati dall’ennesimo sconto di tre anni di pena (come già accaduto per tre anni su quattro nel processo Mediaset) e nella peggiore non si celebreranno proprio per l’amnistia (che estingue direttamente il reato)”.
Su L’Unità l’intervento di Patrizio Gonnella, presidente della Associazione Antigone, che ricorda come circa 28 mila persone vivano in spazi ritenuti degradanti dalla Corte di Strasburgo. Valentina Calderone ricorda invece che è in attesa di sentenza quasi la metà dei detenuti.
Sul Sole 24 Ore Donatella Stasio scrive che un eventuale provvedimento di indulto gioverebbe a Berlusconi se chiederà l’affidamento in prova al servizio sociale per scontare l’anno di pena che gli resta per la condanna Mediaset-diritti tv. Un nuovo indulto, analogo a quello del 2006, gli consentirebbe infatti di evitare i servizi sociali in tutto o in parte perché estinguerebbe questa quota di pena “sopravvissuta” all’indulto del 2006 grazie al quale gli sono stati condonati tre anni, ma a condizione che la legge sia approvata rapidamente, nell’arco di sei-otto mesi, quanti ne occorrono, in media, al Tribunale di sorveglianza di Milano per decidere sulle richieste di affidamento in prova.
Su Il Giornale si legge, relativamente alla eventuale domanda da parte di Berlusconi dei servizi sociali, che l’accoglimento di questa istanza – peraltro non ancora depositata – non è affatto scontato. L’affidamento ai servizi sociali può essere infatti rifiutato se il condannato non dimostra di poter essere recuperato alla società e di voler risarcire il danno compiuto violando la legge. Il problema è che Berlusconi non ritiene di aver bisogno di essere rieducato, perché sostiene di non aver commesso alcun reato, e il suo dialogo con gli assistenti sociali, che andranno a parlare con lui, rischia di diventare un surreale dialogo tra sordi.
Ad esaminare la pratica Berlusconi sarà l’Ufficio esecuzione penale esterna di Milano, che è la città dove la domanda verrà presentata. Il quotidiano non sembra quindi ottimista su questo, avendo ascoltato le parole pronunciate ieri in una trasmissione dal capo dell’ufficio esecuzione penale di Roma, Antonella di Spena, che ha spiegato come sia necessario che il soggetto faccia prevedere che c’è una voglia di reinserirsi nel migliore dei modi nella società.
Il Corriere della Sera, ricordando che tra pochi giorni il Cavaliere dovrà chiedere formalmente un eventuale affidamento in prova ai servizi sociali, e che probabilmente tenterà di ottenerli in un luogo che non sia troppo lontano dalla residenza di Palazzo Grazioli, scrive che pare abbia ripreso forza l’idea di una richiesta di grazia.
Internazionale
Sul Corriere della Sera un articolo di Francesco Battistini da Gerusalemme racconta le conseguenze della morte del rabbino Ovadia Yosef. Era il capo spirituale dei sefarditi, gli ebrei orientali. Era nato a Baghdad. Si apre lo scontro per la successione. Lo Shas, il partito da lui fondato trenta anni fa, è ora spaccato sulla eredità politica. Ricorda Battistini che questo partito è stato un mix di razzismo anti-arabo e di realismo politico, capace di detestare Obama e di corteggiare Mubarak, di ostentare il ritiro da Gaza e di sconsigliare la guerra all’Iran. Ha governato sia con la destra del Likud che con il laburista Rabin. Ed è un punto di svolta anche per il Paese, perché il partito è uscito nettamente ridimensionato dalle ultime elezioni, mentre ha rappresentato per anni l’ago della bilancia: ora i partiti askenaziti sono più forti che mai.
La Repubblica racconta che ieri Barack Obama ha alzato il tono, lanciando l’allarme sulle conseguenze possibili dello shutdown: “Il Default, se il governo non alza il tetto del debito, sarà drammaticamente peggiore dell’attuale serrata di servizi federali. Sarà una bomba atomica, lo dice un investitore come Warren Buffet”. All’ottavo giorno dello shutdown, la serrata che paralizza gli uffici federali per lo stallo del bilancio, il Presidente ha avvertito che è poca cosa rispetto a quello che sta per accadere. Il 17 ottobre si passa ad un altro scenario, ovvero dallo shutdown al default: “Quel giorno, se il Congresso non avrà autorizzato il Tesoro a emettere nuovi titoli alzando il tetto del debito, io non avrò bacchetta magica per uscirne. Resteremo senza soldi per pagare i conti, chi deve acquistare i nostri bond si sta spaventando”. Il corrispondente Federico Rampini spiega che sui mercati è già in corso non solo un calo di tutti gli indici di Borsa, ma il più pericoloso fenomeno della ritirata dai buoni del Tesoro Usa. Le grandi banche di Wall Street hanno lanciato l’allarme, preoccupazioni sono state espresse dai maggiori acquirenti di bond Usa, come Giappone e Cina. Il segretario Jack Lew dovrà tentare di placarli domani in una audizione al Senato, spiegando quali creditori avranno la priorità.
Su L’Unità Umberto De Giovannangeli si occupa della “emergenza Libia”, all’indomani della cattura di uno dei leader di Al Qaeda, Abu Anas Al Libi: i rapporti tra il governo americano e Tripoli sono sempre più tesi. L’ambasciatrice Usa in Libia, Deborah Jones, è stata convocata dal ministro della giustizia libico per chiarimenti sulla operazione effettuata dalle forze americane. La caccia ad Al Libi è durata circa 15 anni: è accusato per gli attentati del ’98 alle ambasciate Usa di Tanzania e Kenya, che provocarono la morte di 224 persone., Al Libi sarebbe detenuto su una nave della marina Usa e non gli sarebbe stato letto il cosiddetto “Miranda warning”, ovvero il diritto di rimanere in silenzio e chiamare un avvocato. Il Parlamento libico ha chiesto agli Usa l’immediata riconsegna di Al Libi. Il primo ministro Ali Zeidan ha detto che la Libia “non abbandonerà io suoi figli”. La vicenda ha ripercussioni anche sull’Italia, perché – secondo De Giovannangeli – il nostro Paese sta diventando sempre più “base di lancio” per le operazioni antiterrorismo degli Usa nel sud del mediterraneo. 200 marines, secondo la CNN, sono stati spostati due giorni fa da una base militare Usa in Spagna a quella di Sigonella.
Anche la rivista americana Mother Jones dedica una lunga analisi al ruolo chiave delle basi italiane. Se ne occupa anche La Repubblica: “Allarme Al Qaeda, 200 marines a Sigonella”, “Washington in allerta dopo il blitz in Libia: ‘jihadisti pronti a vendicarsi’”. Il quotidiano descrive come una sorta di sceneggiata la protesta contro gli Usa dei libici: sanno benissimo che non riavranno indietro dagli americani Al Libi, e che dovranno anzi affidarsi al loro aiuto militare per difendersi da nuove azioni dei jihadisti. Al Qaeda e la galassia johadista in Libia hanno annunciato vendette contro gli Usa (“bloccate, rapite cittadini americani in Libia per scambiarli con nostri combattenti”) e hanno anche aggiunto che proveranno sabotare oleodotti. Anche sul Corriere: “200 marines Usa spostati a Sigonella. E’ l’avamposto della guerra al terrorismo. Libia, Somalia, Nigeria, in Africa i nuovi focolai della destabilizzazione”.
E’ Guido Olimpio ad occuparsene, spiegando che il terrorista Al Libi si troverebbe sulla nave da sbarco statunitense San Antonio: una detenzione in alto mare durante la quale l’estremista sarà interrogato da uno speciale team formato da agenti FBI e CIA. Un “lavoro preventivo” e senza l’assistenza di un legale prima del successivo trasferimento (almeno questo è il programma) in un tribunale di New York. Il caso ha sollevato critiche da quanti considerano l’operazione condotta dalla Delta Force un atto extragiudiziario condotto dal presidente Bush, perché la cattura di Al Libi è di fatto una rendition, un sequestro simile a quello di Abu Omar a Milano nel 2003.
La detenzione su una nave è peraltro un sistema impiegato fino al 2008: il metodo sembra esser stato abbandonato, ma nel 2011 è stato riattivato, e un militante somalo catturato nel golfo di Aden è stato tenuto due mesi su una nave Usa. Una alternativa discreta a Guantanamo.
Sulla stessa pagina del Corriere, il corrispondente da New York Massimo Gaggi ricorda che domani verrà presentato il primo rapporto sulla libertà di stampa dell’era Obama, redatto da Comittee protect journalist. Il rapporto conterrebbe una accusa molto severa nei confronti del Presidente Obama che, mosso dall’esigenza di proteggere il Paese dalle infiltrazioni terroristiche, avrebbe meso nelle mani dei capi dei diversi rami dell’Amministrazione federale strumenti di censura che vanno molto al di là delle legittime esigenze di sicurezza nazionale.
Su La Stampa si parla delle manifestazioni di protesta in corso in Brasile: nei cortei che esprimevano solidarietà ai professori che chiedevano salari più degni, e che avevano raccolto circa 15mila manifestanti pacifici, si sono infiltrati almeno 200 black bloc. Il risultato è che ci sono state decine di feriti dopo un assalto al Parlamento. Su La Repubblica: “Tibet, i soldati sparano sulla folla dopo lo ‘sciopero delle bandiere’”. Giampaolo Visetti spiega come sia il risultato della ira di Pechino per il rifiuto di esporre i vessilli cinesi. Pechino nei giorni scorsi aveva ordinato che il 1 ottobre, per onorare l’anniversario della vittoria della rivoluzione di Mao, tutti i tibetani alzassero il vessillo rosso con le cinque stelle gialle. Ma un contadino del villaggio di Nagchu non ha obbedito ed è stato arrestato. In sua difesa si sarebbero riunite centinaia di persone, e un gruppo di pastori nomadi avrebbe minacciato di assaltare una caserma cinese se il recluso non fosse stato liberato.
Lo sciopero delle bandiere è dilagato, e centinaia di tibetani avrebbero ritirato le effigii cinesi, per rialzare le tradizionali stoffe colorate note come preghiere lamaiste.
E poi
Sulla prima de Il Foglio Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro firmano una lunga analisi dai titoli in rosso: “Questo Papa non ci piace”, “Le sue interviste e i suoi gesti sono un campionario di relativismo morale e religioso, l’attenzione del circuito mediatico-ecclesiale va alla persona di Bergoglio, non a Pietro. Il passato è rovesciato”.
Per spiegare i titoli in prima pagina su Libero e Il Giornale relativi ad Antonio Ingroia, diciamo che l’ex pm è stato denunciato dall’avvocato del boss Provenzano perché – come scrive Libero – avrebbe “passato carte segrete al giornale di Travaglio”. L’avvocato Rosalba di Gregorio, legale dei figli di Bernardo Provenzano, ha presentato un esposto per le notizie pubblicate il 5 giugno 2012 sul Fatto sull’interrogatorio del Boss, avvenuto in seguito ad un suo presunto tentativo di suicidio. I pm presenti erano 2, ovvero Ingroia e Ignazio De Francisci, ma, secondo i pm di Caltanissetta, che lo hanno iscritto nel registro degli indagati per violazione di segreto istruttorio, la fuga di notizie sarebbe da addebitare solo all’ex magistrato. Del resto, hanno fatto notare le parti lese, il colloquio era stato pubblicato prima ancora di essere trascritto.