Il ‘fattore Monti’ e le riforme da continuare

La Repubblica: “Monti: non vado oltre il 2013. ‘Salveremo l’euro. Aiuti per l’Italia? Spero di no ma non posso escluderlo'”. “Ma Napolitano: l’austerità continui. L’FMI promuove il governo: recessione finita tra un anno. L’Ocse: emergenza disoccupazione, giovani senza speranze”.
A centro pagina: “Pensioni a rischio per il buco Inpdad”.

La Stampa: “Non rimarrò oltre il 2013”

Libero: “C’è già la lista Monti. Depositato il marchio. Il premier giura: nel 2013 mollo. Ma è stato rergistrato il nome del partito e scatta il toto-ministri. Napolitanmo gli fa una campagna elettorale sfacciata: ‘Avanti con questo programma pure dopo il voto”. A centro pagina, con foto, “l’intervista scandalo di Schettino a Canale 5”.

Il Giornale: “Monti stanco di governare. Supermario non raddoppia. Il Prof ‘esclude’ di rimanere a Palazzo Chigi oltre il 2013. Legge elettorale, il Pdl ritrova gli alleati Lega e Udc. E le pensioni degli statali rischiano di affossare l’Inps: c’è un buco di 5 miliardi”.

Il Sole 24 Ore: “Monti: c’è volontà di salvare l’euro. Dall’Eurogruppo prima tranche di aiuti da 30 miliardi per le banche spagnole. Per il premier è ‘ardito’ dire che l’Italia non avrà mai bisogno del fondo anti spread. Schauble ai giudici tedeschi: sì all’Esm senza ritardi”. Di spalla: “Il premier esclude di restare al governo dopo il voto del 2013”.

Il Corriere della Sera dedica il titolo di apertura al vertice europeo: “A Madrid 30 miliardi, i mercati respirano. L’Alta Corte tedesca deciderà sul salva Stati”.

Euro

Ieri dal vertice Ecofin a Bruxelles ha parlato il Presidente del Consiglio Monti: “Sarebbe ardito dire che l’Italia non avrà mai bisogno di questo o di quel fondo – ha detto. Il principio della prudenza induce a non dirlo”. Ma il presidente del Consiglio lo ha sottolineato confidando – secondo quanto riferisce Il Sole che “l’Italia, essendosi messa sulla dura strada dei conti in ordine, non si appresti ad avere bisogno di interventi del primo tipo (denaro per finanziare il disavanzo ndr), ma potrebbe avere bisogno di interven ti del secondo tipo (stabilizzazione dello spread, ndr). Il quotidiano sottolinea che Monti ha voluto precisare che c’è una grande differenza tra gli aiuti alla Grecia, che usa i prestiti Efsf per sanare gli squilibri dei conti e pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici, e un intervento “a breve termine” che potrebbe esser richiesto dall’Italia come Paese adempiente per stabilizzare lo spread. Sulla stessa pagina si dà conto delle valutazioni del Fondo Monetario Internazionale contenute nel rapporto sul nostro Paese: “Bene le riforme, resta il rischio contagio”, sintetizza Il Sole, poiché gli esperti del Fondo hanno confermato la flessione del Pil per il 2012 pari a circa il 2 per cento, con previsione di uscita dalla recessione per il 2013 grazie ad una ripresina dell’export e degli investimenti; il rapporto sottolinea che l’azione per le riforme strutturali “va nella giusta direzione” anche se “resta molto da fare” e l’azione non deve limitarsi a durare “qualche settimana o qualche mese”. E ricorda che “l’alto debito pubblico italiano amplifica l’impatto di choc comuni” all’eurozona.
La Stampa intervista Arrigo Sadun, direttore esecutivo per l’Italia del Fondo Monetario Internazionale: “con le riforme recupererete 5 punti di Pil”, dice al corrispondente a New York, dando un giudizio positivo della spending rewiew ed invitando il governo a portare avanti le misure su lavoro e produttività.

La Repubblica parla di un “pressing di Bruxelles” su Mario Monti: i leader Ue chiedono garanzie per il futuro di Palazzo Chigi, ovvero chi assicurerà le riforme poiché, come racconta l’inviato, quasi tutti gli interventi dei leader europei ruotavano sulla incertezza politica del prossimo anno: sulla continuità dell’attuale esecutivo, sulla maggioranza con cui potrebbe rimanere l’ex rettore della Bocconi a Palazzo Chigi. Anche perché, secondo il quotidiano, “la strada verso la riconferma a Palazzo Chigi è tutt’altro che esclusa dalla coalizione che sostiene il professore, ma per ora non è confermata dal diretto interessato”.

Franco Bruni, sulla prima pagina de La Stampa, commenta le parole del premier sullo scudo anti-spread (sarebbe ardito escludere che anche l’Italia possa averne bisogno). “La sostanza della richista italiana è stata che il fondo possa intervenire per contenere i tassi sui titoli di Stato di Paesi in regola con i programmi di riforma e aggiustamento del deficit concordati con la Commissione. Per questi Paesi, fra i quali è l’Italia, occorrono difese speciali per frenare attacchi speculativi che non sono giustificati dalla loro indisciplina o dai loro squilibri ma sono il riflesso di disordini finanziari che investono l’eurozona come sistema”. Si tratta insomma di un aiuto “divero da quello richiesto da un Paese che ha bisogno di prestiti e di tempo per ridurre il proprio deficit o avviare le riforme”. E’ un aiuto che, per essere efficace, non dovrebbe nemmeno essere richiesto dal Paese ma “deciso autonomanente dal fondo responsabile della stabilità sistemica dell’eurozona”, e non essere “condizionato all’adozione di programmi speciali di aggiustamento, visto che si tratta di Paesi che rispettano i piani di stabilità convenuti con la Commissione”. Secondo Bruni è quindi ora di “smettere di domandarsi se l’Italia chiederà o no l’intervento del fondo anti spread. Dipenderà da come vanno le cose attorno al nostro Paese, dai pericoli di contagio, dagli atteggiamenti più o meno lungimiranti degli speculatori, e se lo chiederà sarà solo perché, per ora, ogni intervento va formalmente richiesto: ma la richiesta sarà nell’interesse di tutta l’eurozona”.

Ieri l’attenzione dei mercati internazionali si è puntata anche sulla Corte Costituzionale tedesca che – come riferisce Il Sole – è chiamata a pronunciarsi sul patto fiscale europeo e sul fondo Salva Stati Esm: “La Corte tedesca frena la ratifica dell’Esm”, titola il quotidiano, riferendo anche che all’interno dell’edificio della Corte il ministro delle finanze Schauble ha illustrato la posizione del governo, sottolineando che un rinvio dell’entrata in vigore del Patto, e del fondo, approvati in Parlamento il 29 giugno con una maggioranza dei due terzi potrebbe avere conseguenze gravissime sui mercati finanziari. Il presidente della Corte ha riconosciuto che il voto del Parlamento va rispettato, ma ha anche annunciato che le due leggi saranno sottoposte a una verifica molto accurata che, secondo alcuni esperti, potrebbe richiedere anche due o tre mesi. Il fatto che ci sia stata una udienza pubblica denota l’importanza attribuita alla questione ma anche – secondo alcuni osservatori – la ricerca di visibilità e rilevanza da parte dei giudici, che peraltro godono di una alta considerazione presso l’opinione pubblica.

Anche sulla seconda pagina del Corriere: “L’Europa appesa a quei giudici vestiti di rosso”, “nonostante la fretta dei politici i togati di Karlsruhe ascoltano una sola legge: la Costituzione”. Sono sedici i magistrati della Corte, otto eletti dal Parlamento federale e gli altri dalla Camera che rappresenta i Laender.

Inchieste

Il Fatto torna ad occuparsi delle intercettazioni che avrebbero riguardato il Quirinale nell’ambito della inchiesta Stato-mafia. Il titolo in prima è: “Nastri di Napolitano, il Quirinale manda l’Avvocatura contro i pm”. E l’articolo: “Ma esistono davvero quelle registrazioni che hanno ‘pizzicato’ la voce di Napolitano al telefono con Mancino? Quante sono? E cosa dice il capo dello Stato in quei colloqui? Ora, “dagli uffici giudiziari romani arriva a Palermo una richiesta ufficiale di informazioni sulle misteriose intercettazioni telefoniche, tuttora top secret, che avrebbero registrato la voce del capo dello Stato al telefono con Nicola Mancino” che Il Fatto descrive come “coinvolto nell’inchiesta sulla trattativa mafia-Stato e impegnato in una azione di pressing sul Quirinale per evitare di finire nel registro degli indagati”. Si spiega quindi che una lettera dell’avvocatura dello Stato è stata recapitata nei giorni scorsi al Procuratore di Palermo Messineo, con richiesta di chiarimenti sulla presenza, nei brogliacci della indagine non ancora depositati, di alcune conversazioni con la voce di Giorgio Napolitano. Lo stesso Messineo, interpellato dal Fatto, risponde: “Una lettere dall’Avvocatura dello Stato? Si tratta di cose riservate, e sulle cose riservate non rispondo”.
Su La Repubblica la questione ritorna, poiché lo stesso Messineo scrive al quotidiano, in risposta ad un articolo del fondatore Eugenio Scalfari, comparso nella edizione di ieri (“Il procuratore e le intercettazioni di Napolitano”, era il titolo). Messineo rimproverà a Scalfari di aver citato norme relative alle “intercettazioni dirette”: ovvero quelle relative a una o più utenze telefoniche intestate ad un soggetto che, se protetto da immunità a qualsivoglia titolo, non può essere intercettato se non dopo aver ottenuto la necessaria autorizzazione. “Cosa del tutto diversa”, scrive Messineo, è il caso in cui venga “occasionalmente ascoltata una conversazione tra un soggetto legittimamente intercettato e un altro soggetto protetto da immunità”. Scalfari, in risposta, sottolinea che non esiste alcuna norma di legge che contempli questa distinsione tra intercettazioni dirette ed indirette. Esiste però lo spirito dell’ordinamento che fa comunque divieto di violare le prerogative costituzionali del Capo dello Stato”. Ma soprattutto, Scalfari sottolinea che Messineo “non risponde alla domanda da me posta, e cioè se e quando è stato distrutto il nastro della intercettazione, visto che gli stessi sostituti procuratori hanno affermato che in quel testo non c’è nulla di rilevante ai fini processuali”.
Polemico il magistrato Bruno Tinti su Il Fatto: “Napolitano non è stato intercettato”, le prerogative del Capo dello Stato non c’entrano niente, ma perché Scalfari chiede se sono state distrutte le intercettazioni, visto che tale procedura non deve essere avviata dal Procuratore Messineo, ma deve essere Napolitano a chiederla. Secondo Tinti le trascrizioni irrilevanti vanno stralciate e non distrutte, devono essere conservate fino alla sentenza.

Internazionale

Il Parlamento egiziano “a maggioranza islamica”, come lo definisce il Corriere della Sera, si è riunito ieri per 12 minuti, dopo il decreto del presidente Morsi, “primo civile e primo islamico” ad assumere tale carica. Una seduta simbolica, non contrastata dai soldati che dal 15 giugno impedivano invece ai deputati di entrare nell’edificio: quel giorno la Giunta militare aveva infatti sciolto l’assemblea, in esecuzione del verdetto dell’Alta Corte costituzionale che l’aveva dichiarata illegittima perché eletta con vizi giuridici (un terzo dei seggi destinati agli indipendenti era stato occupato in gran parte dai candidati dei partiti, spiega il quotidiano). Il presidente Morsi in questo modo ha celebrato un a”doppia affermazione di autorità” emettendo un decreto e convocando l’assemblea: fatto questo, si è mostrato ‘più arrendevole’ e ieri ha affermato di riconoscere l’autorità della Corte, precisano però che lo scioglimento effettivo del Parlamento è stato deciso dai generali che, in assenza di un presidente, ne avevano assunto i poteri. Ma ora che il presidente c’è, è la sua legge che va rispettata.
Anche su La Repubblica, una lunga analisi della situazione in Egitto parla di “schiaffo di Morsi ai militari”: “il Parlamento sciolto torna a riunirsi”, mentre la Corte suprema invalida la sessione. I deputati hanno deciso di ricorrere alla Cassazione per dirimere lo scontro con la giunta.
In prima su La Repubblica un intervento dello scrittore Tahar Ben Jelloun dedicato all’opera di distruzione in corso in Mali, ad opera di integralisti islamici, di mausolei e moschee: “L’Islam protegga Timbuctù dalla violenza dei barbari”.

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