I cieli affollati della Siria

Il Corriere della sera: “Merkel decide: soldati tedeschi inviati in Mali”. “Oggi Renzi da Hollande per l’aiuto dell’Italia”.

A centro pagina: “Il Papa in Africa e le apprensioni: temo più le zanzare che le persone”.

Di spalla: “Bonus da 500 euro per la cultura (ma serve davvero ai diciottenni?)”, di Maurizio Ferrera.

A fondo pagina: “Per il Giubileo Roma vieta i centurioni”. “Tronca: inopportuni e aggressivi con i turisti. Stop anche a risciò e guide abusive”.

La Repubblica: “Hollande-Merkel, asse contro l’Is. Caccia a dieci jihadisti in Europa”, “Berlino invia truppe in Mali: ‘Il Califfo non si batte a parole’. Putin schiera i missili. Usa, allerta Fbi”.

In prima, con foto, il viaggio di Papa Francesco in Africa: “Il Papa in Kenya senza auto blindate, ‘Il terrorismo cresce nella povertà’”.

A centro pagina: “Alla Rai arriva Verdelli, guiderà il sistema new”, “Un direttore editoriale alla tv di Stato”.

Sulla colonna a destra, “lo speciale” sulla conferenza sul clima: “Il mondo a Parigi per salvare se stesso”, “La battaglia dei due gradi alla conferenza sul clima che si apre domenica”, con un’intervista a Jeremy Rifkin.

A fondo pagina: “Repubblica, cambia il direttore”, “Il 14 gennaio, dopo 20 anni, Ezio Mauro lascia. Arriva Calabresi”.

La Stampa: “Missili e sanzioni contro Ankara”, “Linea dura di Mosca: bombe sui ribelli filo-turchi. La rappresaglia anche economica”, “L’Europa non si schiera tra le due potenze. Bruxelles, caccia a dieci kamikaze. In Mali 650 soldati tedeschi”.

Più in basso: “Il piano anti-terrorismo nella legge di Stabilità”, “Fondi per la sicurezza, Padoan: carte in regola per ottenere il sì dell’Ue”.

E ancora sulla legge di stabilità un commento di Federico Taddia: “Bonus ai diciottenni, la paghetta non basta”.

A centro pagina, con foto: “L’Italia verso Marte per cercare vita”, “Ultimi test per la missione Exomars dell’Esa, per un terzo tricolore”.

Oggi è in edicola anche il settimanale de La Stampa, “Origami”, con un numero dedicato alla cancelliera tedesca Angela Merkel.

Il Fatto: “Consulta, Supernazareno ko. Sconfitti Mattarella, Renzi e B.”, “Fine inciucio. Volevano mandare alla Corte gli avvocati di Berlusconi e Schifani.

Sotto la testata: “Scontrini, premier archiviato: ora può renderli pubblici”, “Lo strano caso de Le Iene e dello scoop bloccato”.

E di fianco: “Accertamenti fiscali: la Finanza a casa di Vespa”, “Fiamme Gialle nell’appartamento di Piazza di Spagna”.

Più in basso: “Cl scarica il vescovo Negri: ‘Frasi inaccettabili sul Papa”.

Poi, sul mondo dell’informazione: “La Terza ‘Repubblica’: via Mauro (e Sofri), arriva Mario Calabresi”.

Sulla politica internazionale: “La guerra nascosta fra turchi e russi: quella del gasdotto”, “Lo zar minaccia di tagliare i rifornimenti all’Ucraina e Erdogan. Merkel fa concessioni a Hollande. Oggi tocca a Renzi”.

Il Giornale: “Putin attacca Erdogan, Hollande attacca Merkel. La guerra è tutti contro tutti. L’alleanza anti terrore è nel caos.

Il titolo più grande: “Il salvataggio delle banche lo pagano i clienti. Fregatura del governo”. “Il valore dei bond degli istituti salvati è stato azzerato. Panico tra gli obbligazionisti”.

In evidenza a centro pagina, con foto: “Via Ezio Mauro, arriva Calabresi jr. E Sofri lascia Repubblica. Il collaboratore ex Lotta Continua è stato condannato per l’omicidio del padre del nuovo direttore. E il caso editoriale diventa politico”.

Sul terrorismo: “Invece dell’Isis indagano i poliziotti. Procedimento contro gli agenti che denunciavano in tv la carenza di armi e mezzi”.

Il Sole 24 ore: “Russia-Turchia: a rischio scambi per 44 miliardi. Mosca insiste con i raid in Siria e schiera i sistemi antimissile. Mattarella a Strasburgo: Europa ferita, più unità contro il terrorismo”. “Con Mattarella si rivede in Europa l’Italia migliore” è il titolo dell’editoriale di Adriana Cerretelli.

A centro pagina: “Euro ai minimi da sette mesi, Borse in rialzo, Milano +1,9 per cento. Valuta unica sotto 1,06 dollari.

A fondo pagina il richiamo ad una intervista ad Urbano Cairo, editore de La7. “La 7 crescerà con gli spot e gli affitti della banda”.

Jet russo

La Repubblica, pagina 9: “Jet abbattuto, Putin schiera i missili”, “Mentre la diplomazia prova a mediare tra Mosca e Ankara, il Cremlino rinforza la sua base di Latakia. Il pilota sopravvissuto: ‘Nessun avvertimento’”. A scriverne, da Istanbul, è Vincenzo Nigro, che dà conto dell’operazione con cui le teste di cuoio russe decollate in elicottero dalla base di Latakia, avrebbero liberato il co-pilota del jet abbattuto: parla con i giornalisti, ripreso di spalle dalle tv di Russia.

La Stampa, pagina 2: “Bombe sui ribelli e accuse a Erdogan. Offensiva di Putin per il caccia distrutto”, “Lo zar schiera l’incrociatore antimissile nel Mediterraneo e martella i turcomanni. Blitz dei soldati di Assad, libero il pilota. Lavrov accusa: la Turchia aiuta i terroristi”. La Russia di Putin, scrive Maurizio Molinari, è andata all’offensiva su più fronti contro la Turchia nell’intento di trasformare l’abbattimento del proprio Sukhoi-24 in un momento di svolta nel conflitto in Siria, capace di far venire alla luce le “complicità turche con i terroristi”. Le prime mosse sono militari: il Cremlino ha posizionato l’incrociatore antimissile “Moskvà” davanti alla costa alawita e ha schierato a Latakia gli S-400, ovvero il suo sistema antiaereo più efficiente. Significa creare un ombrello di protezione per i propri jet. Se gli F-16 di Ankara dovessero portare nuove minacce, sarebbero bersagliati da un’antiaerea studiata per evadere i sistemi di difesa Nato. C’è stato un diluvio di fuoco sul Jabel Turkman, dove si trovano le basi dei ribelli turcomanni alleati di Ankara. E’ la stessa area in cui è caduto il Sukhoi-24. L’attacco dal cielo è coinciso con il blitz dei commando siriani che in 12 ore ha portato alla liberazione del capitano Konstantin Murakhtin, il pilota sopravvissuto all’abbattimento, che una volta in salvo nella base di Latakia ha incontrato i reporter russi per dare la propria ricostruzione su quanto accaduto. Ha detto: “Stavamo volando in territorio siriano, non abbiamo ricevuto alcun avvertimento, ci hanno sparato addosso”. Smentendo così la versione turca, poiché Ankara aveva parlato di “dieci avvertimenti audio in cinque minuti”.

Su La Repubblica, “lo scenario” tracciato da Fabio Scuto: “Un solo cielo, aerei di 12 Paesi, il Risiko dei voli sopra la Siria”, “Il rischio incidente più o meno voluto è altissimo e con potenzialità altamente pericolose”.

Su La Stampa, a pagina 3 un’analisi di Maurizio Molinari: “Quel groviglio di interessi e jet che affolla i cieli di Siria”, “In volo apparecchi di 14 nazioni con missioni spesso contrapposte”. Ci sono l’aviazione di Damasco, I Sukhoi russi, il ponte aereo iraniano tra Teheran, Damasco e Latakia, le operazioni Usa, i droni che decollano da Turchia, Giordania, Qatar, aerei di Arabia saudita, Giordani, Qatar e Bahrein, gli F-16 turchi che colpiscono la guerriglia curda e l’Isis, gli aerei israeliani operanti sulle alture del Golan, lungo i confini libanesi-siriani, i droni di Gerusalemme che cercano obiettivi Hezbollah o iraniani.

Su Il Fatto, un commento di Giampiero Gramaglia: “Mosca: altro che alleata, la Turchia è più amica dell’Is”, “Il ministro degli Esteri Lavrov sull’abbattimento del jet: ‘Azione premeditata’. E Putin: ‘Terroristi protetti da forze armate di altri Stati’”

Sul Sole: “Il pilota del jet: dai turchi nessun avvertimento”. Nell’articolo si legge anche che “un pilota civile libanese, in volo in quel momento, dice di aver registrato l’avvertimento dei turchi”.

Anche su Il Giornale il “retroscena”: “Pilota libanese: ‘Ho sentito l’avvertimento al jet russo’”. Il quotidiano milanese dedica molto spazio alla tensione Mosca-Ankara: “Petrolio e mani sulla Siria: il gioco sporco della Turchia” che “punta a diventare il Paese guida dell’Islam sunnita” “a costo di trascinare la Nato”. Un altro articolo: “Un errore non sostenere l’utile alleato Putin”, di Gian Micalessin.

Russia-Turchia

Su La Stampa, pagina 2: “E ora Mosca avverte Ankara: ‘A rischio gas e quote di mercato’”, “Il Paese è il quinto partner commerciale russo. Il premier Medvedev: minate le relazioni di buon vicinato”. In questo “retroscena” Anna Zafesova racconta che il capo della diplomazia russa Lavrov ha in qualche modo “frenato” la rabbia dei russi per quella che Putin aveva definito “una coltellata alla schiena” da parte della Turchia. “Non faremo la guerra alla Turchia”, ha detto Lavrov. E neanche l’embargo commerciale: “Non abbiamo cambiato atteggiamento verso il popolo turco”, ha detto, aggiungendo che Moasca “ha problemi solo con la leadership” di Ankara, colpevole di una “provocazione premeditata, un ‘imboscata”. Ieri una folla di moscoviti ja lanciato uova e pietre contro le finestre dell’ambasciata turca. Obama però, in qualche modo ha “declassato” il problema a uno scontro bilaterale, rifiutando al presidente turco Erdogan il sostegno della Nato. Sottolinea Zafesova: “Lo zar e il sultano -per tanti versi speculari, entrambi leader con tendenze autoritarie che fondano la loro popolarità su orgoglio nazionalista e sogni di espansione -devono vedersela tra loro, cercando un equilibrio tra le offese e le interdipendenze”. Con il 4,6% la Turchia è il quinto partner commerciale della Russia, con un interscambio di 31 miliardi di dollari nel 2014 (44 miliardi inclusi i servizi). Antalya è la prima destinazione del turismo russo, con 4 milioni di turisti all’anno. Ma soprattutto c’è il gas: la Turchia è il più dipendente dal metano russo dopo la Germania, con più della metà del fabbisogno.

Su Il Fatto Roberta Zunini ricorda che lo scorso anno Gazprom e la società turca Botas avevano stretto un accordo per la costruzione del Turkish Stream, dopo la morte di fatto del progetto South Stream. Il progetto ora è a rischio, così come la costruzione di una centrale nucleare con tecnologia russa.

Ancora su La Repubblica un’analisi di Jens Stoltenberg. Segretario generale della Nato (pubblicato da LENA, Leading European Newspaper Alliance): “La sicurezza dell’Ue e gli errori della Russia” (“Il ritmo delle manovre militari e delle esercitazioni da parte della Russia sta raggiungendo livelli che non si vedevano dalla fine della Guerra fredda”, scrive Stoltenberg in riferimento alle tensioni sull’Ucraina; anche la Nato esercita le sue truppe ma, “a differenza della Russia, noi rendiamo pubblico il programma delle nostre esercitazioni e invitiamo osservatori, anche russi, a parteciparvi”; “difendere con fermezza i membri della Nato e ricercare trasparenza reciproca sulle attività militari sono due obiettivi che devono andare di pari passo”).

Merkel-Hollande-Renzi

Sul Corriere Stefano Montefiori dà conto del viaggio a Parigi della cancelliera tedesca Merkel. Per testimoniare la vicinanza di Berlino a Parigi ha annunciato che 650 soldati tedeschi si aggiungeranno ai 200 già presenti in Mali accanto ai francesi, da due anni presenti nel Paese africano. Parteciperanno alla missione Onu Minusma. Quanto alla Siria, i tedeschi potrebbero portare a 150 il numero di soldati impegnati nella formazione delle truppe peshmerga curdi. Ma “l’opinione pubblica tedesca così come il Bundestag è contraria alla partecipazione alla guerra”.

Su La Repubblica Anais Ginori, da Parigi, scrive dell’incontro tra la cancelliera tedesca Merkel e il presidente francese Hollande: “Dieci miliardi per battere il Califfato. Merkel: ‘Non si vince con le parole’”. La Germania, ha promesso la Merkel, sarà implicata in modo più netto nelle operazioni internazionali, in particolare nel Mali, per permettere alla Francia di dispiegare le sue forze su altri teatri di operazione. Berlino dovrebbe inviare 650 soldati in Mali. Sul tavolo dell’incontro tra Merkel e Hollande c’era anche la proposta di un piano franco-tedesco preparato da Sigmar Gabriel ed Emmanuel Macron, ovvero la creazione di un fondo da 10 miliardi di euro per combattere il terrorismo e affrontare la crisi dei rifugiati.

Sulla stessa pagina, si ricorda poi che oggi il presidente del Consiglio italiano sarà ricevuto da Hollande: “’Libano, più soldati’. Palazzo Chigi valuta. Ma niente raid in Siria e in Iraq”, “La Francia chiede all’Italia di sostituire 100-150 uomini impegnati nelle basi di Shama e Tiro”, in Libano.

Su La Stampa: “Renzi pensa a un aiuto in Libano per ‘liberare’ i soldati francesi”, “Oggi il premier da Hollande offrirà il contributo alla lotta anti-Isis, ‘Ma niente raid in Siria e Iraq’. La Merkel invia 650 militari in Mali”.

Sul Sole una intervista al ministro della difesa italiano Roberta Pinotti: “Serve una cabina di regia tra gli alleati”. “L’Italia non bombarda con i Tornado ma ha il contingente europeo più numeroso in campo”. Sulle ragioni della difficoltà nella guerra all’Isis, che può contare in fondo solo su 50-70 mila uomini al massimo, dice che “per molti mesi alcuni dicevano solo a parole di combattere l’Isis” mentre in realtà pensavano di “poterlo utilizzare per ridimensionare i nemici storici della regione”. Alla coalizione anti Isis di 60 Paesi “occorre più coordinamento”, “una cabina di regia vera” che potrebbe consentire di evitare episodi come quello del jet russo abbattuto dai turchi. Sicuramente “l’affollamento su quei cieli di aerei di varie nazioni non favorisce la chiarezza delle operazioni”. “E poi manca una vera condivisione di intelligence almeno tra i Paesi europei”. Pinotti dice che gli itlaiani sul terreno sono 600 e diventeranno 750. I francesi ne hanno 80, i tedeschi 90.

Idee

Su La Stampa un’intervista al filosofo francese Michel Onfray, ateista convinto, annoverato tra i “neo-reazionari”, contestato spesso dalla sinistra, autore di un appello alla Francia a semettere di “bombardare i musulmani”, citato di recente in un video di propaganda dell’Isis : “La politica islamofoba della Francia -dice- ha nutrito la rabbia delle banlieue”, Il Paese risponde alla violenza con la violenza”, “In un mondo dove i soldi fanno la legge, non averne ti rende un paria. Alcuni paria sono diventati vettori di una rabbia canalizzata dall’Islam radicale”, “Il prossimo attentato -e non vedo nulla che possa impedirne di nuovi. Dimostrerà che Hollande aveva torto a scegliere questa strategia”.

Su La Repubblica, alle pagine delle “Idee”, anche oggi tre interventi. Jérome Ferrari (“Non lasciamo che le emozioni ci impediscano di comprendere”, “Il cordoglio via social non basta: dobbiamo fare luce sul perché un’ideologia ripugnante come quella salafita sia diventata un oggetto del desiderio. Senza per questo essere accusati di ‘giustificare’ in qualsiasi modo l’orrore”), Piero Cipriano (“Cosa c’è nella mente del terrorista chimico”, “Da solo il fondamentalismo non basta a spiegare. I jihadisti, contravvenendo al Corano, trasformano l’uso delle anfetamine in rito”) e Marc Lazar (“La Francia a rischio tra lepenismo e guerra civile nelle banlieue”, “Gli attacchi di Parigi hanno cambiato anche l’agenda della politica. Alla vigilia delle regionali, le reazioni all’Is hanno costretto Hollande e il Front National ad avvicinarsi”, “da abile politico” il presidente Hollande “fa sue le proposte più dure avanzati da anni dall’opposizione di destra e dal Front National”. Di conseguenza, “quasi automaticamente, la sua popolarità, in qualche modo istituzionale, sta risalendo”).

Su La Repubblica, Renzo Guolo, pagina 4: “Lo Stato islamico a caccia di famiglie: ‘Via dalle scuole dei Paesi infedeli’”, “Nella rivista di propaganda di Daesh accuse al sistema educativo occidentale di cui vengono criticati l’approccio scientifico e l’esaltazione della tolleranza e dei valori nazionali”.

Sul Corriere Massimo Gaggi dà conto della proposta di John Bolton, che è stato ambasciatore Usa all’Onu e vicesegretario di Stato durante l’Amministrazione di Bush Jr, neocon considerato l’artefice della guerra in Iraq. La sua idea è quella di creare un “Sunnistan”, ovvero uno stato sunnita sulle ceneri di Siria e Iraq, che comprenda gran parte della Siria e l’Iraq occidentale. Il resto, compresa Bagdad, diventerebbe uno stato sciita satellite dell’Iran, a nord ci sarebbe il Kurdistan, per la minoranza siriana alawita ci sarebbe un piccolo stato sulla costa mediterranea dell’attuale Siria. Ovviamente il Sunnistan sarebbe governato da una dittatura militare o comunque da un governo autoritario o l’ex partito Baath, lo stesso che dodici anni fa fu cacciato dall’Iraq per volontà dell’amministrazione Usa.

Sul Corriere Paolo Valentino intervista Fareed Zakaria. Dice che “è evidente che i piloti russi hanno commesso un errore minimo, volutamente o meno”, ma “non c’è dubbio che la reazione turca è stata eccessiva”. Sulla questione siriana dice che Ankara ha assunto “una posizione assurda”: ha fortemente voluto la cacciata di Assad e “quando ha visto che non ci riusciva” ha consentito a “chiunque combattesse il regime siriano” di passare per la Turchia, fossero anche i jihadisti. E poi “l’unico gruppo che combatte Daesh”, ovvero i curdi, è stato contrastato dalla Turchia. “Spero che ora che è stato rieletto Erdogan cambi atteggiamento, ma non è detto. La sua politica era cominciata con lo slogan ‘zero problemi con i Paesi vicini’ e ora Ankara ne ha con tutti”. Sull’efficacia dell’azione militare: “In Vietnam gettammo più bombe che in tutta la Seconda guerra mondiale: fu quello a portare i norvietnamiti al tavolo negoziale? Ho qualche dubbio”. Ricorda comunque che gli Usa sono pienamente impegnati nei raid: “L’aviazione Usa ha condotto 9mila raid aerei contro l’Isis in Siria, la Francia alcune centinaia”. Sugli attacchi del 13 novembre dice: “Nessuna società può essere sicura al 100 per 100 quando gli attacchi avvengono in luoghi della vita quotidiana come caffè o ristoranti. In fondo il solo tentativo ambizioso del 13 novembre, quello dello stadio, è fallito. La sicurezza ha funzionato”. L’Europa dovrebbe condividere di più le informazioni e avere migliori controlli alle frontiere esterne e procedure comuni su immigrazione e asilo, ma “non chiudersi a riccio”. “Occorre più Europa”.

Sul Corriere una intervista ad Oliver Roy: “Il nichilismo dei convertiti alla jihad”. Dice che attaccare militarmente l’Isis in Siria e Iraq “va bene, può essere utile”, ma ha dubbi sulla strategia del dopo (cosa faremo poi a Mosul o a Falluja) e sul fatto che comunque la radicalizzazione dei giovani resterà un problema, perché sono vent’anni che i giovani francesi ed europei si rivolgono al terrorismo islamista, e l’Isis esiste solo da un paio d’anni. Prima c’erano gli algerini del Gla, poi Al Qaeda, poi la guerra in Bosnia, e in futuro ci sarà qualcos’altro. Non c’entra nulla la questione palestinese, “la mobilitazione pro palestine se anti israeliana” come quella del movimento di boicottaggio o la flottiglia per Gaza “non ha niente a che vedere con gli ambienti jihadisti, sono due bacini completamente differenti”. Individua nel nichilismo la radice del terrorismo in Europa, elemento in comune con altre stragi di massa negli Usa, come a Columbine, o come quella perpetrata in Norvegia da Anders Breivik. “Non si tratta di radicalizzazione dell’Islam ma di islamizzazione del radicalismo”.

Mattarella

“Non pronuncia la parola ‘guerra’. E richiama ‘libertà e diritti’”. “Le ‘risposte apparentemente semplici non aiutano’, così come ‘le semplificazioni non sono persuasive’”, scrive Marzio Breda sul Corriere dando conto del discorso del presidente italiano Mattarella a Strasburgo. Dove si legge che il “sottinteso” del suo discorso è che non hanno senso “azioni di forza che nascano in modo scoordinato, magari senza una strategia su come gestirne i postumi” come dimostrano le recenti esperienze in Iraq e Libia nelle quali l’Occidente “si è intrappolato” e sulle quali “il presidente è sempre stato critico”.

Sul Sole Adriana Cerretelli scrive che “ci voleva un presidente della Repubblica italiana per sentire di nuovo nell’emiciclo accenti di europeismo sincero: non la retorica ma la sostanza dell’eredità dei Padri Fondatori, l’elenco di valori senza tempo come democrazia, tolleranza e accoglienza, unità, solidarietà e coesione, che sono stati e devono restare le fondamenta e il cemento armato della costruzione europea”. Mattarella – sulla questione immigrati e rifugiati – ha detto: “Io credo che dobbiamo affrontare queste sfide alla luce dei valori per i quali dichiariamo di combattere”. E più in generale occorre “uscire dalla logica emergenziale di questi anni per recuperare una visione di lungo periodo e regolare i problemi nel segno di un approccio unitario che ci eviti di ritrovarci da essi disordinatamente sommersi”.

Papa

Sul Corriere: “Il viaggio del Papa in Africa: la violenza nasce dalla povertà”. “Prima volta di Francesco nel Continente africano. ‘Se temo per la mia sicurezza? No, temo per le zanzare. A Bangui vado anche in paracadute”.

Sullo stesso quotidiano Massimo Franco scrive che la battuta sulle zanzare è per sdrammatizzare “i timori di un attacco terroristico durante la sua visita in Africa”e anche a Roma. In Africa il Papa girerà sulla sua decappottabile e senza giubbotto antiproiettile. A Bangui, circondata da un enorme campo profughi, aprirà la porta Santa e parlerà dalla cattedrale.

Sul Sole: “Un viaggio per dare all’Africa centralità geopolitica”, di Carlo Marroni. Si legge che durante il Sinodo si è parlato di una presunta diffidenza del Papa nei confronti delle gerarchie africane, anche per alcune posizioni conservatrici sulla famiglia. Ma su questo punto il Papa “non ha lasciato spazio a dubbi”, e poi le posizioni conservatrici arrivavano anche da gerarchie di Paesi più ricchi, come gli anglosassoni. Ora Francesco vuole “rimettere al centro l’Africa non solo nella sua dimensione religiosa ma geopolitica”.

Mauro-Calabresi

Su La Repubblica, in prima: “Repubblica, cambia il direttore”, “Il 14 gennaio, dopo 20 anni, Ezio Mauro lascia. Arriva Calabresi”. Al posto di Muaro, “con voto unanime, il Consiglio di amministrazione del Gruppo Editoriale L’Espresso, ha designato Mario Calabresi”. Scriveil quotidiano a pagina 29 che Mauro ha deciso di lasciare la guida de La Repubblica e che lo farà simbolicamente nel giorno del qurantennale del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari.
Su La Stampa, pagina 17: “Calabresi dal 15 gennaio direttore di Repubblica”, “Guiderà La Stampa fino al 17 dicembre”.

Su Il Fatto, pagina 9: “La terza Repubblica, firmata Calabresi”, “Dopo vent’anni lascia Mauro. Sofri se ne va. Molinari in pole per La Stampa” (il riferimento è a Maurizio Molinari, ora corrispondente e analista del quotidiano per il Medio Oriente). Scrive il quotidiano che in qualche modo per Calabresi è “un ritorno a casa”, visto che ha lavorato in passato per il quotidiano. Con Mauro ha avuto rapporti altalenanti: affettuosi e burrascosi dopo la decisione di andare a La Stampa nel 2009. E’ stimatissimo da John Elkann, è stato sul punto di diventare direttore del Corsera e si parlava di lui anche come possibile direttore del Tg1. Il quotidiano dà conto del “terremoto” che è arrivato in serata, ieri, sul sito de Il Foglio. Ne era autore Adriano Sofri, che scriveva: “leggo -dal Bangladesh, dove sto viaggiando- che Ezio Mauro lascerà la direzione”, “sono contento per lui”, “essendo la mia lunga collaborazione a Repubblica un riflesso della mia personale amicizia per Ezio Mauro, naturalmente finirà con la sua direzione”. Era difficile pensare -scrive il quotidiano- che Sofri, condannato per l’omicidio Calabresi, potesse firmare sul giornale diretto dal figlio.
E la notizia -scrive Silvia Truzzi- “avrà fatto contento anche Matteo Renzi: che Calabresi gli piaccia, lo dimostra il fatto che è stato candidato, oltre che alla guida del Corriere, anche del Tg1. “Si è chiusa un’epoca: è davvero l’alba della terza Repubblica. e in molti sensi”. Sulla stessa pagina, Vittorio Feltri, intervistato, dice di calabresi: “E’ un galleggiatore, Renzi sarà contento”, il prescelto “è perfetto, ma la stagione gloriosa del giornale è destinata a chiudersi”.

Pd, primarie

Ieri Antonio Bassolino era ospite di una diretta sul Corriere.it. Il titolo dell’articolo sul quotidiano milanese è: “’Io ho vinto più del segretario. Senza di me a Napoli il Pd non c’è’”. Sulle dichiarazioni di Serracchiani e Guerini, che hanno detto che gli ex sindaci non potranno competere alle primarie, dice: “Due vicesegretari non fanno un segretario”. “Mi sono candidato diverse volte, la seconda volta ho sempre preso più voti della prima. Ho vinto più di Renzi per cui credo di sapere cosa è giusto fare e cosa non va ripetuto”.

Il Giornale: “Milano, Pisapia fa lo sgambetto a Sala. Il sindaco boccia la candidatura dell’uomo di Renzi. A Napoli e Roma Bassolino e Marino non mollano. Pd nel caos”. “La settimana prossima il premier vede l’uscente nel capoluogo lombardo”.

Anche sul Sole: “Tensioni a Milano ma per Renzi Sala è in campo. Il commissario Expo: nessuna decisione fino al 31 dicembre. Marino: non escludo di ripresentarmi. Bassolino ancora all’attacco: se non mi candidano è un colpo di stato”.

E poi

Sul Corriere Dario Di Vico commenta una indagine resa nota da Federmeccanica e affidata alla supervisione del sociologo Daniele Marini. Riguarda gli operai e il lavoro e “ci dice che l’operaio ha preso a identificarsi con il proprio lavoro e anche con l’azienda di cui fa parte. Laddove anche l’imprenditore riesce a creare un clima comunitario e a innovare sul piano dei rapporti quotidiani il risultato è che il successo dell’impresa diventa un obiettivo comune. Il resto, ovvero la regolazione del conflitto di interessi che divide il proprietario dal dipendente, è affidata al negoziato contrattuale che più si svolge a ridosso dei problemi concreti e del confronto con il mercato più è veritiero, più si libera anch’essa dalle angustie dell’ideologia”.

Sullo stesso quotidiano un articolo di Lorenzo Salvia illustra i punti chiave del sondaggio, fatto su un campione relativamente ristretto (1123 lavoratori) ma molto significativo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *