Il Corriere della Sera: “Grillo: la colpa è degli italiani. L’ira dopo il tracollo delle Amministrative. Malumore anche nel Pdl, Cicchitto: bisogna riflettere”. A centro pagina: “Fermare l’aumento Iva? Saccomanni: la priorità va data agli investimenti”. “Sei condizioni dell’Europa con la promozione sul deficit”.
La Repubblica: “Grillo sconfitto: colpa degli italiani”. “’Hanno vinto i peggiori’”. “Il governo si divide, salta la riforma elettorale”. E poi: “Allarme Lega al Nord, rischia l’estinzione: Maroni convoca il consiglio federale. Bersani: ‘Renzi premier? C’è Letta e va sostenuto”. Di spalla “la guerra civile della Siria che spaventa l’Europa”. In prima anche un richiamo sulla notizia della calendarizzazione in Parlamento di “un altro salva Berlusconi del Pdl: ‘Pm politicizzati, stop ai processi’. Bufera su Palma”.
L’Unità: “Il voto sveglia la sinistra. Epifani: il Pd riparte dalle città. Bersani: M5S ha perso una occasione. Marino: liberiamo Roma”. A centro pagina, con foto, l’approvazione alla Camera all’unanimità della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne: “Una legge per le donne”.
Il Messaggero: “Renzi ai grillini: ora collaborate. Intervista al sindaco: ‘Servono riforme e semipresidenzialismo, il governo non tiri a campare’. Grillo sconfitto: colpa degli italiani. Rivolta della base. Marino-Alemanno, caccia agli astenuti”.
Il Sole 24 Ore: “Borse e bond in rally globale. Tassi Btp ai minimi in asta. U dati economici Usa danno nuovo sostegno al rialzo dei mercati: Piazza Affari (+2,1 per cento) la migliore in Europa”. Di spalla: “Oggi Bruxelles decide l’uscita dall’infrazione. Italia promossa con paletti: ‘Meno spesa e burocrazia, tasse sul lavoro da ridurre’”. “Saccomanni: ora più investimenti. Corte conti: persi 230 miliardi di Pil”.
La Stampa: “L’Europa dà i compiti all’Italia. ‘Rivedere il catasto, più asili a tempo pieno, mercato del lavoro flessibile’”. E poi: “Ira Grillo: il voto del Paese peggiore. Riforme, in salita il confronto Pd-Pdl”.
Libero. “Il libro che svela gli altarini d’Italia”. Si parla del libro – intervista appena uscito a Luigi Bisignani, firmato con Paolo Madron: “L’uomo dei misteri vuota il sacco. Il tesoretto in cassaforte di Prodi, le trame di Alfano, gli strani rapporti di lady Fini con Gheddafi, gli incontri sessuali di Cuccia, i voltafaccia di De Bortoli: politica, finanza e giornalismo secondo la P4 di Bisignani”.
Il Giornale: “Parla l’uomo dei misteri. Da Scalfari al ‘Corriere della Sera’, dalla finanza al Parlamento: il lobbista Bisignani svela la sua storia d’Italia degli ultimi 30 anni. Ecco i segreti e le trame oscure del Palazzo”. A centro pagina, con foto:”Grillo sull’orlo di una crisi di nervi”.
Anche su Il Fatto: “Letta, Alfano, De Bortoli. Le trame di Bisognani. Nel libro del faccendiere P2 e P4 rivelazioni imbarazzanti e messaggi cifrati sui potenti d’Italia. Il premier ‘durerà poco’. Il vicepremier ‘congiurava contro B assieme a Schifani’. Il direttore del Corriere, come Scalfari e Geronzi, l’avrebbe ‘usato e poi tradito’”. A centro pagina: “Palma si guadagna lo stipendio: ‘Pm di parte? Stop ai processi’”.
Amministrative, centrosinistra e M5S
Il commento di Grillo ai risultati delle elezioni viene così sintetizzato da Il Fatto: “Grillo contro gli elettori: ha vinto chi tiene famiglia”. Le parole del leader sul suo blog: “Capisco chi ha votato, convinto, per il condannato in secondo grado per evasione fiscale e chi ha dato la sua preferenza ai responsabili del disastro dell’Ilva o del Montepaschi. Capisco chi ha mantenuto la barra dritta e premiato i partiti che succhiano i finanziamenti pubblici e non chi li ha restituiti allo Stato”. Scrive ancora: “Esistono due Italia. La prima, che chiameremo Italia A, è composta da chi vive di politica, 500 mila persone, da chi ha la sicurezza di uno stipendio pubblico, 4 milioni di persone, dai pensionati, 19 milioni di persone (da cui vanno dedotte le pensioni minime, che sono una vergogna). La seconda, Italia B, di lavoratori autonomi, cassintegrati, precari, piccole e medie imprese, studenti. La prima è interessata giustamente allo status quo, si vota per se stessi e poi per il Paese”.
Il Messaggero offre una intervista al sindaco di Firenze Matteo Renzi. “Il centrosinistra ha oggettivamente vinto e arrivo a dire che è andata molto bene. Per dal punto di vista del risultato è una squadra che vince 1-0 giocando con il catenaccio, per dire, e lo ripeto con forza, che conta anche il bel gioco. Il centrosinistra ha vinto perché ha mediamente una classe dirigente sul terriitorio più riconoscibile. E questo ci deve essere da insegnamento anche per la riforma elettorale. Se la faccia ce la mettono Berlusconi o Grillo, le cose vanno in un certo modo. Se poi ce la mette il candidato del posto secondo me vanno meglio”. Sta dicendo che si dovrebbe tornare alle preferenze? “Sto parlando di un sistema elettorale che deve essere quello dei sindaci e quindi, aggiungo, si deve accompagnare a un sistema istituzionale che preveda il bipolarismo e il semipresidenzialismo alla francese. E’ bello e utile, ne sono convinto, quando gli elettori possono riconoscere il proprio leader e sceglierlo proprio come avviene oggi per i sindaci”. Sul governo Letta: “La durata di Letta dipende dal governo, non dalle elezioni amministrative. Si parla di riforme? Bene. Hanno la forza e la capacità di farle e di risolvere i problemi reali del Paese, o tutto si ridurrà nell’istituzione di una ennesima commissione? Hanno la capacità di fare la riforma del fisco, la riforma della burocrazia, la riforma elettorale? Perché non vorrei che anche stavolta la montagna partorisse il topolino. Intendiamoci, io sono ottimista. Certo però il rischio di una tecnica democristiana vecchio stile, per cui si annuncia una cosa e poi si rinvia, esiste sempre”. Il Pdl ha già chiarito che sulla legge elettorale ammette solo qualche ritocco, e Renzi risponde: “E’ giusto che un governo di larghe intese tenga conto delle richieste di una delle componenti della maggioranza, ma questo non è il governo del Pdl. Massimo rispetto per il Pdl, ma così come su alcuni temi – penso all’Imu – opportunamente il centrosinistra è venuto incontro alle loro richieste, è altrettanto chiaro che sulla legge elettorale non è che se la scrivono di nuovo Verdini e Calderoli e poi ci mandano un tweet”. Per Renzi è necessario “sfidare il centrodestra sul tema del semipresidenzialismo”, e in ogni caso “ci vuole una legge elettorale come quella dei sindaci per cui il giorno dopo le elezioni si sa chi ha vinto e chi ha perso”. Sulle dichiarazioni di Grillo, secondo cui a queste elezioni ha vinto l’Italia peggiore: “Renzi dice di non aver mai voluto polemizzare con Grillo, “perché non vincono le elezioni insultando gli altri ma convincendoli a votare per noi. Io nella mia città ho dimezzato gli assessori, eliminato le auto blu, diminuito le spese passive, messo online tutte le spese. Chiudendosi nel suo Aventino, per paradosso, Grillo fa il gioco degli altri”. Ai deputati 5 Stelle, dice, per esempio sul finanziamento pubblico: “anziché pensare solo agli scontrini, dateci una mano a cambiare le cose sul serio”.
La Stampa e il Corriere della Sera intervistano Paolo Becchi, talvolta designato come “l’ideologo” del M5S. Dice a La Stampa di essersi iscritto formalmente al movimento. Nell’intervista al Corriere nega che ci sia stato un vero e proprio “crollo”: solo una “battuta d’arresto” perché “si trattava di un voto diverso da quello delle Politiche”. Questo era un voto amministrativo, “dove vince di solito il radicamento al territorio”: “il movimento -dice Becchi- non ha ancora una struttura in questo senso: vorrebbe averla, ma al momento è ancora più votato alla Rete che al territorio”. A La Stampa dice: “alle amministrative servono candidati sindaci conosciuti, con rapporti solidi. Lì ci sono troppi interessi locali”. Ma a Roma il M5S è passato dal 27 al 12 e lì è un voto politico, obietta il cronista. Becchi: “Roma è un caso a parte ed è una realtà che conosco poco. Sono di Genova. Però se si fa il confronto con le Regionali la flessione è molto più contenuta”, “anzi, il dato di Roma mi dice che sono i partiti classici, Pd e Pdl, che si stanno liquefacendo”.
Grande attenzione al voto del centrosinistra a Roma viene dal quotidiano Europa. Il direttore Menichini rilegge i risultati ottenuti dai candidati del centrosinistra negli anni passati: 761mila furono i voti per Rutelli nel 2008, calarono a 715 mila per Zingaretti a febbraio 2013 per le regionali. A Marino, candidato attuale del centrosinistra ora in testa, “in un turno considerato a ragione come una vittoria piena”, sono arrivati soltanto 512 mila voti. Un elettore su tre perduto in cinque anni”. Anche alle pagine interne una lunga analisi sul voto al Pd e le “ombre sulla vittoria”. La lettura che ne dà Europa è che tengono in queste elezioni le liste di sinistra, ma spesso premia di più l’alleanza con il centro. A chi a Roma evoca un ritorno all’asse privilegiato Pd-Sel come punto di partenza per il rilancio del centrosinistra, Europa risponde con una analisi estesa dei risultati oltre alla capitale. A Vicenza ad esempio il successo al primo turno del sindaco Variati è stato trainato dall’alleanza tra i Dem e i centristi di Scelta civica, mentre la sinistra si presentava con un proprio candidato. Se si fa eccezione per Roma e Massa, negli altri 4 capoluoghi in cui i candidati erano sostenuti da una alleanza Pd-Sel, la lista vendoliana si è fermata poco oltre il 4 per cento. In sei capoluoghi in cui il centrosinistra comprendeva anche i centristi (Barletta, Iglesias, Isernia, Pisa, Siena, Viterbo) l’apporto di questi ultimi si è fatto sentire in maniera più consistente rispetto a quello di Sel. E secondo Europa viene smentito anche il luogo comune dei vendoliani come argine al voto grillino: a Iglesias e Isernia, dove il M5S non si è presentato, pur avendo riportato oltre il 30 per cento dei consensi alle politiche, la lista di Sel è crescita solo di un paio di punti a Iglesias, ed è addirittura arretrata a Isernia.
Fa sapere La Stampa che Ignazio Marino ha intanto incassato il sostegno di Stefano Rodotà (il candidato al Quirinale per cui peraltro Marino aveva votato).
In una intervista a La Repubblica Ignazio Marino accusa: “Il Pd mi ha aiutato moltissimo dal momento in cui è stato eletto Guglielmo Epifani. Prima invece c’è stata una situazione di attesa, diciamo di non operatività, alimentata dal combinato disposto delle dimissioni del segretario nazionale e da quelle, quasi contestuali, del segretario cittadino”. Per vincere, fa notare il cronista, bisogna conquistare i voti degli elettori 5 Stelle e di Alfio Marchini. E Marino dice “con questi elettori è possibile fare un patto su quei temi che sono loro quanto miei. Mi riferisco alla riduzione dei costi della politica, alla democrazia partecipata, al rigore nella gestione del bilancio invocato da Marchini”. Tra le proposte di Marino, quella di far lavorare comune e regione insieme “per utilizzare un bando europeo che darà lavoro e reddito di cittadinanza a diecimila giovani tra i 18 e i 29 anni”.
IL Corriere della Sera intervista Walter Veltroni: “Il risultato di Marino è positivo, ed è suo merito – dice Veltroni. “Ma non sottovalutiamo il contesto: Pd e centrosinistra devono ragionare su 400 mila voti che nel 2006 c’erano e non ci sono più”. Dice ancora Veltroni: “nelle elezioni amministrative si vota chi viene ritenuto più adatto ad amministrare. Stavolta, gli elettori di centrodestra erano meno motivati, dato che in questo momento non c’è contrapposizione dura con il centrosinistra. E gli elettori M5S erano delusi da comportamenti e candidature. Sono loro, secondo l’Istituto Cattaneo, ad aver gonfiato l’astensionismo”. Veltroni insiste: “E’ il Pd che deve diventare la nuova offerta”, “il risultato negativo di Grillo non vuol dire che rabbia e delusione siano scomparse”. Quanti di quei voti inespressi possono essere recuperati dal Pd? “Tutti. Ormai non c’è più il ‘nostro elettorato’, o il ‘loro elettorato’. Nelle ultime politiche 10 milioni di voti si sono spostati. Ci vuole più bipolarismo e più alternanza, il Pd si deve muovere secondo una vocazione maggioritaria per guidare uno dei due schieramenti. Il confronto dovrà essere sui programmi e sul genere di società che si intende costruire”.
Sul Movimento 5 Stelle da segnalare una intervista a Francesco Campanella, senatore del Movimento, che dice che il ruolo di Grillo non dovrebbe essere “preminente”. Di spalla, un “retroscena” del quotidiano parla di un M5S a rischio “balcanizzazione” su cui aleggerebbe l’ombra della scissione. Sul Corriere si scrive che una decina di deputati e senatori M5S sarebbe pronto a lasciare il gruppo, che il guru Casaleggio sarebbe nel mirino, e che da venerdì i parlamentari dovrebbero iniziare un corso di comunicazione tv. Sullo stesso quotidiano l’analisi di Renato Mannheimer: “Così l’astensione ha travolto i 5 Stelle. Abbandonati da quasi sei elettori su dieci. A Roma parte dei voti è tornata ai partiti tradizionali, ma il 40 per cento ha disertato”. Le perdite più importanti per Grillo ci sono state a Viterbo (-25,6), Imperia (-25,1), Barletta (-22,7 per cento). A Roma il saldo è -14,5.
Amministrative, Pdl e Lega
Le reazioni nel centrodestra. Il Giornale titola: “Il Cav guarda oltre le urne, ‘accelerare sulle riforme’”. Secondo il quotidiano, Berlusconi è “insoddisfatto dai risultati delle amministrative, ma è convinto che il governo ne esca rafforzato. E detta la linea: ‘L’antipolitica si batte realizzando il programma’”. Il quotidiano ricorda che sono dieci i comuni capoluogo di provincia in cui un candidato di centrodestra andrà al ballottaggio; che il miglior risultato di un candidato di centrodestra è quello ottenuto a Iglesias, da Gianmarco Eltrudis, arrivato al 45,5 per cento; che il peggiore risultato di partenza di un candidato di centrodestra è quello di Italo D’Angelo ad Ancona, fermatosi al 20,52 per cento. Sullo stesso quotidiano si racconta la delusione in Lombardia e in Veneto, dove la Lega è dimezzata: “Parte la fronda contro Maroni”. “Dopo il calo alle urne c’è chi sollecita il congresso. E Tosi annuncia il partito dei sindaci”. Lo stesso Tosi viene intervistato da La Stampa. Dice che “è in crisi il voto ideologico per la Lega”. Venerdì si terrà il consiglio federale della Lega. Cosa dirà? “Che la Lega è nel limbo e bisogna uscirne al più presto”. Come? “Roberto Maroni è diventato governatore delal Lombardia scommettendo sul progetto della macroregione”, “o ti presenti al voto con qualcosa di concreto oppure finisce che, prima o poi, chi ti aveva votato ti presenta il conto”. Per La Repubblica “la Lega rischia l’estinzione, sotto il 10 per cento in tutta la Lombardia”. Il quotidiano intervista Giancarlo Gentilini, arrivato secondo al primo turno delle amministrative nella sua città con il 20 per cento dei voti: “Io me ne frego. Di tutti. Anche dei capi. Della Lega, del Pdl, tutti”, “si sono persi in faccende personali: donne, processi, soldi della Lega finiti ai familiari. Ma al governo non hanno combinato niente, e i cittadini si sono sentiti traditi”. Al suo 20 per cento sono mancati i voti della Lega, fa osservare il giornalista. “E anche quelli del Pdl. Mi avevano promesso il 10-12 per cento, hanno preso il 5”.
Verbali e rivelazioni
Da segnalare su La Stampa stralci dai verbali degli interrogatori dell’ex tesoriere della Lega Belsito, risalenti al marzo scorso. Il quotidiano lo definisce un interrogatorio “sconvolgente”, perché l’ex uomo potente della Lega rivela la compromissione non solo del cerchio magico bossiano ma anche dello stesso Maroni (e Castelli) nella gestione degli affari di famiglia. Belsito sospetta che Maroni si sia intascato una stecca di 54 milioni di euro per gli affari Finmeccanica in Libia. Umberto Bossi e Roberto Castelli sarebbero stati informati nel febbraio 2012, che tre procure stavano indagando sulla Lega e che stavano per scattare perquisizioni. Belsito avrebbe anche rivelato che la Lega finanziava l’MPA del governatore siciliano Lombardo. Quanto allo scandalo degli investimenti in Tanzania, Belsito avrebbe spiegato al Pm che quei fondi dovevano costituire il “tesoretto” di umberto Bossi in caso di scissione della Lega, per finanziare così la sua campagna elettorale. Insomma, secondo Belsito ci sarebbe stata una “talpa” che avvertiva la Lega delle indagini. Sapevano che sarebbero arrivate delle perquisizioni e quindi cambiavano le targhe delle stanze dove c’era la contabilità, ponendovi quelle indicanti nomi di deputati e senatori.
Arriva domani nelle librerie un libro di 300 pagine firmato da Luigi Bisignani, lobbista trentennale condannato per la tangente Enimont nel 1998 e che nel 2011, ricorda La Repubblica, patteggiò un anno e sette mesi in relazione alla vicenda P4. I quotidiani ne offrono alcune anticipazioni. La Repubblica punta su una sorta di “congiura” contro Berlusconi due anni fa: “Più che tradimento, parlerei di piccoli uomini creati da Berlusconi dal nulla e poi convinti di essere superuomini. Il primo sarebbe Renato Schifani che, insieme ad Angelino Alfano, lavorava ad una nuova allenza senza Berlusconi, complici La Russa, Mantovano, Augello.
Anche su Il Giornale, ampio spazio per Bisignani e i protagonisti del suo libro. Rivela ad esempio come il hotha della finanza cercò di fermare le inchieste su tangentopoli. La strategia fu elaborata durante una riunione segreta nella sede di Mediobanca presieduta da Enrico Cuccia: “Vi presero parte, oltre ad Agnelli e Romiti, Pirelli accompagnato da Tronchetti, Debenedetti, Pesenti, Sama per il gruppo Ferruzzi e ovviamente l’ad dell’Istituto Maranghi”. A quest’ultimo sarebbe toccato di far sparire i documenti scottanti nascosti dietro una libreria dell’istituto. Su Scalfari Bisignani racconta che quando era capo ufficio stampa del ministro del tesoro Stammati offrì lo scoop al fondatore di Repubblica. “Fu il primo direttore a fidarsi di me a a usarmi come fonte riservata. Cominciammo a sentirci in occasione dello scandalo dei fondi concessi dall’Italcasse a Caltagirone (…). Ogni volta che lo aiutavo a fare uno scoop mi mandava una bottiglia di champagne”. Su De Bortoli: grazie a Bisignani De Bortoli avrebbe migliorato i suoi rapporti con Geronzi, e “forse l’enfasi con cui il Corriere ha seguito la vicenda (della P4, ndr) ha qualche nesso con la mancata diffusione o trascrizione delle conversazioni tra me e lui”.
Internazionale
Si è tenuto ieri a Bruxelles il consiglio dei ministri degli esteri Ue. Racconta La Stampa: “13 ore di negoziato. L’Europa decide uno stop sino ad agosto alla vendita di armi agli oppositori del regime siriano che è in realtà un mezzo via libera”. Ma la chiave di lettura che offre il quotidiano nella sintesi del titolo è questa: “La Bonino frena i falchi per salvare ‘Ginevra 2’”. Si spiega che questa posizione può essere una leva da usare in vista della seconda Conferenza per la pace, in Siria, per l’appunto la Ginevra 2. Impedire formalmente la vendita di armi all’Esercito di liberazione siriano serve infatti a cercare di forzare la mano per fare in modo che accettino che ai tavoli siedano esponenti del regime.
Sul Corriere: “Bonino, l’Europa sbaglia sulla Siria. L’Italia non invierà armi. Mosca: i nostri missili per la stabilità”. Si spiega che su impulso anglo-francesei si è arrivati ad una revoca parziale dell’embargo, ma che il testo diffuso a Bruxelles ha sollevato critiche e preoccupazioni. Il nostro ministro degli esteri ha criticato soprattutto la mancata posizione comune e il rinvio alla decisione dei singoli Paesi membri sulla vendita di materiale bellico agli oppositori di Damasco. “Non mi pare sia stato un momento glorioso per l’Europa, perché la tentazione di nazionalizzare certe competenze, che erano nel quadro europeo, è stata evidente, non solo da parte di chi voleva il superamento dell’embargo, ma anche vista la rigidità dell’altro schieramento”. Il compromesso prevede alcune limitazioni di garanzie comuni: tra queste, l’impegno a non iniziare le forniture di armi prima di aver tentato una revisione dell’accordo – entro il primo agosto prossimo – è stato già messo in discussione da Regno Unito e Francia. A Londra e Parigi hanno interpretato quella data come un impegno politico non vincolante, pur confermando di non avere intenzione di vendere subito materiale bellico in Siria. Quanto alla Russia, il ministro degli esteri Lavrov ha giudicato il compromesso di Bruxelles “contrario a tutte le norme del diritto internazionale”. Da Mosca hanno anche replicato annunciando una fornitura ad Assad di missili anti-aerei.
Anche La Stampa è critica quando scrive: “E’ una non decisione che può costare cara. Lunedì notte la Ue ha fallito l’intesa sul rinnovo dell’embargo – in scadenza il primo giugno – per le forniture delle armi alla Siria e in pratica ha stabilito che dal primo agosto chi vorrà potrà approvvigionare gli arsenali degli oppositori di Assad. “Sono prevale rigidità veramente notevoli – ha detto la Bonino. “Doveva andare diversamente, siamo un movimento di pace e non di guerra”. Le ha fatto eco Spindellegger, l’austriaco che si è battuto con foga perché l’embargo non cadesse. Invece l’hanno spuntata gli inglesi, fautori, secondo La Stampa, del lancio di una sorta di ultimatum:”Importante dare ad Assad un segnale per dire che deve negoziare seriamente e che ogni opzione resta sul tavolo se non lo farà”, ha detto il ministro degli Esteri britannico Hague.
Sulla stessa pagina un articolo sulla rete che rifornisce di armi i ribelli siriani: passa per Qatar, Arabia saudita, Turchia, Giordania, Stati Uniti e persino Croazia. Finora non ha fatto consegne paragonabili alla potenza di fuoco del regime di Assad, che, oltre ai propri agenti chimici, può contare sull’appoggio di Russia e Iran. I ribelli però non sono disarmati, scrive l’inviato a New York Mastrolilli, e la decisione Ue potrebbe avere due sbocchi: convincere Mosca a fermarsi o aumentare quantità e pericolosità degli aiuti agli oppositori. Si calcola che il solo Qatar abbia speso circa 3 miliardi di dollari in due anni per far arrivare ai ribelli almeno 2500 tonnellate di armi. Secondo lo Stockolm Intenational Peace research instituto. L’emiro del Qatar vuole infatti un ruolo di leadership nella rifondazione del mondo arabo dopo la primavera e vuole ostacolare le manovre dell’Iran. Si è mobilitata anche l’Arabia Saudita, per il sospetto che il Qatar aiutasse estremisti siriani. Turchia e Giordania hanno poi dato supporto logistico e politico per evitare che la crisi di Damasco contagi il loro territorio. Per quel che riguarda le operazioni in Croazia, rivelate dal giornale Jutarnji sotto coordinamento Usa, l’Arabia Saudita avrebbe acquistato armi rimaste dall’epoca della guerra civile e dalla Croazia sarebbero partiti almeno 75 voli per rifornire i ribelli passando attraverso la Giordania. Gli aiuti del Qatar avrebbe invece seguito la rotta dell’aeroporto turco di Esenboga, vicino ad Ankara.