Il Corriere della Sera: “Renzi: unioni civili, avanti sulle adozioni. Gay.it pubblica la lista dei dem contrari”.
A questo tema è dedicato l’editoriale del direttore Luciano Fontana: “Le dannose faziosità sui diritti”.
A centro pagina: “L’effetto auto scuote le Borse”, “Caso emissioni, perquisita Renault. Il governo francese: non è una frode”, “I listini. Mercati nervosi. Cadono le piazze europee, ma Wall Street risale. Pesano il petrolio e i dati russi”.
Sugli attentati di ieri in Indonesia: “Paura a Giacarta: se l’Isis attacca l’Islam moderato”, “Kamikaze in Indonesia”. Ne scrivono Guido Santevecchi e Paolo Salom.
A fondo pagina: “Obama, le memorie e il sogno dell’Italia”, “il presidente potrebbe scrivere qui una parte del suo libro. Le figlie conquistate da Milano”, scrive Viviana Mazza.
Sulla colonna a destra, la vicenda di Quarto e il M5S: “Capuozzo dai pm. Indagato il marito”.
E un articolo di Sergio Rizzo: “Spending review zoppa”, “Stipendi tagliati ai dipendenti. Alla Camera vale solo per due anni” .
La Repubblica: “Pd, scontro finale sulle unioni civili. Bufera su Gay.it”, “Emendamento dei cattolici, il no dei vertici dem. Sito pubblica nomi e foto degli anti-adozione”.
E la rubrica “il punto” di Stefano Folli su questo tema: “I vecchi steccati e la via d’uscita”.
La foto è per gli attentati in Indonesia: “’Giacarta come Parigi’. L’Is attacca Starbucks”.
A centro pagina: “Dieselgate alla Renault, polizia in fabbrica, il titolo affossa le Borse Ue, giù anche Fca”, “Emissioni, scandalo in Francia. Accuse a Torino: falsati dati Usa”.
Sotto la testata: “A Taiwan verso il voto della svolta, chi è la donna che sfida Pechino”, di Giampaolo Visetti.
Ieri il quotidiano ha festeggiato i suoi quarant’anni e oggi ci sarà il passaggio della direzione da Ezio Mauro a Mario Calabresi. In prima c’è quindi il comunicato dell’editore Carlo De Benedetti. E il commiato di Ezio Mauro dal titolo: “Una certa idea dell’Italia”.
La Stampa: “Berlino vuole una mini Schengen”, “La Germania: chiudere le frontiere attorno a un nucleo di sei Paesi. Fuori l’Italia. Padoan presenta il piano per la bad bank a Bruxelles”, “Parla il presidente dell’Europarlamento Schulz: se rimettiamo i controlli Unione finita”.
E il quotidiano intervista l’ex presidente Napolitano: “’Diritto d’asilo europeo per battere i nazionalismi’”, “Il presidente emerito: così si salva l’Ue, il nostro Paese deve fare la sua parte”.
Sull’Indonesia, “I fronti del terrorismo”, “L’Isis colpisce Giacarta, ‘Volevano imitare Parigi’”, “E in un video Al Qaeda minaccia Roma, ‘Avete invaso la Libia, ve ne pentirete’”.
Più in basso: “Unioni civili, scontro in aula sulle adozioni”, “Pd spaccato, numeri in bilico nel voto segreto”, “Ok alla legge sullo ius soli sportivo”.
Su questo tema il commento di Massimo Russo (“Diritti individuali, pensiero forte dell’Occidente”). All’abolizione del reato di immigrazione clandestina è dedicata invece la riflessione di Luigi La Spina: “Per il consenso si abdica al bene comune”.
A centro pagina una foto per per lo scandalo Renault: “Accusa di frode, Renault frena”, “Sospetti sulle emissioni come nel caso Volkswagen. Parigi: nessuna prova”.
L’editoriale è firmato da Giovanni Orsina: “Perché Renzi usa i muscoli contro l’Ue”.
Il Fatto: “Expo2015 è finita da 76 giorni, RaiExpo continua a spendere”, “Il brutto della diretta. La redazione ancora ‘al lavoro’, affitto fino al 2017”, “La creatura dell’ex dg Gubitosi -58 dipendenti tra interni ed esterni, sede principale a Roma e non a Milano, all’attivo alcune ‘pillole’ e un documentario sull’agroalimentare tradotto in cinese costato 500 mila euro – è l’ennesimo spreco. L’imbarazzo di Campo Dall’Orto”.
A centro pagina: “Il Pd diserta la Giunta immunità per salvare la poltrona di Galan”, “Tempi lunghi. Ha patteggiato 2 anni e 10 mesi. La sentenza definitiva è del 2 luglio”, “Il deputato di Forza Italia, ai domiciliari dall’ottobre 2014, è ancora presidente della commissione Cultura di Montecitorio. I democratici non vogliono creare ulteriori tensioni: in Parlamento arriveranno a breve Riforma Boschi e le unioni civili, dove il governo rischia di non avere i numeri”.
L’editoriale del direttore Marco Travaglio è dedicato a Matteo Renzi, che paragona al protagonista del film “Zelig”, “l’uomo-camaleonte”, rimproverandogli cambi d’opinione su temi come le riforme costituzionali ai tempi di Berlusconi o sulle unioni civili (rinfacciandogli la partecipazione al Family Day nel 2007). Il titolo: “Renzelig”.
Poi, con foto di Sergio Marchionne: “Fca sotto accusa: ‘Dati di vendita truccati’. Caso Vw alla Renault”.
A fondo pagina: “I 40 anni e Scalfari”, “Vedi ‘Repubblica’ e poi scappi”, “Ho scritto solo sui due primi numeri”, racconta Massimo Fini.
Sulle stragi in Indonesia e il “Terrore globale”: “Kamikaze Isis a Giacarta. Al Qaeda minaccia Roma”.
Indonesia
La Repubblica: “Kamikaze nel cuore di Giacarta. ‘L’Is voleva un’altra Parigi’”, “Sotto attacco il centro della città: sette morti e venti feriti. Nel mirino Starbucks e un cinema. Caccia ai membri del commando in fuga”. Ne scrive Raimondo Bultrini da Giacarta, ricordando che l’Indonesia il Paese islamico più popoloso al mondo. Sei esplosioni e una battaglia tra terroristi e polizia hanno sconvolto Giacarta alle prime ore del mattino, nel cuore del lussuoso distretto commerciali di via Thamrim, che ospita negozi e ristoranti frequentati dagli stranieri e diversi uffici delle Nazioni Unite. Nessun gruppo locale ha rivendicato ufficialmente l’attentato, ma l’Is si è attribuito attraverso un sito simpatizzante la paternità degli attacchi contro “un assembramento di crociati” delle “forze anti-Stato islamico”. La mente sarebbe Bahrun Naim, arrestato nel 2011 per traffico d’armi, rilasciato e dall’anno scorso segnalato a Raqqa, capitale del cosiddetto stato islamico in Siria. Ma diversi membri della Jamaat Islamya reclamano di essere i potenziali rappresentanti locali dell’Is, come il gruppo capeggiato da Aby Wardah, noto come Santoso, leader di una formazione chiamata “East Indonesia Mujahedin”, affiliato da tempo all’Is.
Sulla stessa pagina “lo scenario” tracciato da Jason Burke, uno dei massimi esperti mondiali di terrorismo, che scrive da Dehli per il britannico Guardian e il cui ultimo libro si intitola “The New Threat form islamic militancy”. “Povertà, predicatori d’odio e amministrazioni corrotte, così la Jihad contagia l’Asia”, “In Indonesia l’attivismo islamico estremista risale alla resistenza opposta dai gruppi musulmani ai colonizzatori olandesi e poi ai vari governi laici successivi. I disordini settari degli anni ’90 e 200 hanno alimentato la crescita di ideologie violente che, all’inizio del millennio, ha partorito un movimento estremista vigoroso e relativamente grande chiamato Jamaa Islamya. Lo stesso che provocò gli attentati ai night club di Bali del 2002”, “Oggi la fascinazione del Califfato”, spiega Burke parlando di questo nuovo fronte a est dell’Iran, dove vive almeno la metà dei musulmani nel mondo. Nel 2009 l’ondata di attivismo in Asia e in Europa sembrava smorzata. Fino all’ascesa dello Stato islamico nessuno pensava si sarebbe ripresentata. Come accaduto altrove, l’Is ha dato nuovo slancio a un movimento quasi scomparso grazie al suo mix di risultati concreti sul terreno e soluzioni utopiche alla questione dell’ummah, la comunità islamica globale. In questo Internet ha aiutato, riversando un fiume di propaganda sugli spmartphone della regione pacifica, e bersagliando nello specifico i musulmani indonesiani”. Ma la violenza in Indonesia, sottolinea Burke , dimostra che “l’Is non crea tanto problemi nuovi, quanto resuscita i vecchi. C’erano situazioni di violenza radicata vecchie di decenni in tutti i luoghi dove oggi la violenza è associata alla militanza islamica. In Nigeria Boko Haram opera in una regione dove le ondate di revivalismo si susseguono da decenni. In Egitto la violenza jihadista è iniziata più di 40 anni fa”. Più avanti Burke scrive che “per un decennio Al Qaeda ha riservato la sua attenzione al Pakistan dove aveva sede, e sul vicino Afghanistan: ma l’avvento dello Stato islamico le ha soffito il posto di più seria minaccia contemporanea all’Occidente”.
Sul Corriere, a pagina 13, una lunga analisi di Paolo Salom: “L’Islam dei teologi dialoganti (nel Paese delle sei religioni). Ma la tolleranza è nel mirino”, “L’Indonesia è il maggior Paese musulmano. E un laboratorio politico”. “Il più popoloso tra i Paesi musulmani -255 milioni di cittadini, l’87% dei quali di confessione sunnita- è anche una democrazia. Ma non è uno Stato islamico. Una distinzione rilevante per una nazione frantumata in diciassettemila isole bagnate dai caldi mari del Sud-est asiatico, dove la rivelazione di Maometto è giunta a partire dal Nono-Decimo secolo, grazie soprattutto ai mercanti indiani e non per conquista (araba). ‘La parola chiave, in Indonesia, è pancasila -ci spiega Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, da poco rientrato da Giacarta. Una dottrina politica ma anche una filosofia che predica tolleranza, giustizia e rispetto delle diversità. Lo Stato riconosce sei differenti religioni, e l’Islam è la più praticata’”.
Iran
Su La Repubblica due pagine firmate da Vanna Vannuccini dedicate all’Iran. Si tratta di un reportage: “Nelle case di Teheran dove si recita il futuro. E il presidente Rouhani sogna la Guida suprema”, (potrebbe puntare a diventare il successore di Khameney, ndr.), “Spettacoli teatrali, film, mostre e stamperie alternative: così negli appartamenti privati fiorisce una nuova vita culturale incoraggiata dalla svolta sul nucleare. E tra i moderati cresce l’ambizione di battere i falchi. Il test a febbraio con il voto per il Parlamento e Assemblea degli esperti”.
Turchia
Sul Corriere, a pagina 15, scrive Lorenzo Cremonesi da Istanbul: “Ezgi, Mehmet e i mille anti-Erdogan. ‘E’ un regime, noi non taciamo più’”, “La rivolta dei 1.128 accademici si allarga. ‘Perseguitati come traditori. Non c’è libertà’”. Cremonesi spiega che Ezgi Basaran (giornalista turca del gruppo che controlla i quotidiani Radikal e Cumhuriyet, 35 anni) e il marito Mehmet Karli (36 anni, docente universitario) hanno deciso di essere in prima linea contro quello che considerano un regime che “non tollera alcun dissenso”. Il professore avrebbe preferito evitare problemi, tanto che quando lunedì scorso 1.128 accademici hanno firmato una petizione dal titolo “non saremo complici dei vostri crimini” era rimasto nell’ombra. Ma le critiche durissime del governo, insieme alle dichiarazioni di alcuni personaggi legati alla malavita locale, lo hanno spinto a firmare. Il noto mafioso Sedat Peker -racconta il professore- ha dichiarato pubblicamente di volersi fare la doccia con il sangue degli intellettuali. Intimidazioni senza risposta delle autorità. In Turchia, dice, “siamo descritti come traditori dello Stato solo per il fatto che denunciamo la repressione contro le minoranze, i curdi in testa, o condanniamo in pubblico la repressione delle opposizioni politiche”.
Taiwan
Su La Repubblica alle pagine R2: “Taiwan. Una donna contro Pechino”, “Per la prima volta nella storia dell’isola ‘ribelle’ il voto politico di domani può eleggere una presidentessa: Tsai Ing-Wen, la ‘Hillary Clinton di Taipei’. Il suo partito punta al distacco totale dalla Cina. Creando così un possibile effetto domino in Asia. Ne scrive l’inviato a Taipei Giampaolo Visetti.
Cina
Su La Stampa Cecilia Attanasio Ghezzi, da Pechino, racconta: “Pechino va in Medio Oriente con la nuova ‘Via della Seta’”, “Xi Jinping si fa spazio al tavolo della diplomazia come ‘mediatore’ di pace. Missione in Egitto, Iran e Arabia saudita: infrastrutture in cambio di petrolio”.
Sulla stessa pagina, il corrispondente da Bruxelles Marco Zatterin: “Cina economia di mercato? L’Europa divisa non sa decidere”, “Il riconoscimento potrebbe costare alla Ue il 2% del Pil” (a fare questa cifra è un think tank statunitense, spiega Zatterin). La Commissione europea ha tenuto un “dibattito di orientamento” sul tema del riconoscimento dello status di economia di mercato alla Cina: il verdetto europeo arriverà entro l’anno, e un semaforo verde potrebbe rendere impossibile l’utilizzo di numerosi strumenti di protezione dei settori economici Ue dal dumping del colosso asiatico. L’industria europea è spaccata, in particolare la siderurgia. E molti europarlamentari, tra cui quelli italiani, sono contrari. A favore il Regno Unito, l’Olanda e i Paesi nordici. In mezzo la Germania: la cancelliera Merkel è tentata dall’apertura, ma è anche preoccupata dalla possibile concorrenza sleale.
Unioni civili e diritti. I diritti in Europa.
In prima sul Corriere l’editoriale del direttore Luciano Fontana (“Le dannose faziosità sui diritti”) sottolinea che “l’Italia arriva in grande ritardo, i Paesi europei hanno leggi; noi, divieti, decisioni contrastanti delle magistratura, scorciatoie legali per risolvere i problemi oltre frontiera”. E più avanti: “la stepchild adoption, la possibilità di adottare il figlio biologico del partner” è un diritto che “esiste nella legislazione per le coppie eterosessuali, sarebbe molto complicato negarlo alle altre coppie”. E quanto alle obiezioni di chi si oppone paventando il rischio che si arrivi alla maternità surrogata, Fontana sottolinea che “la maternità surrogata è un reato, in Italia già previsto dalla legge”. Le nuove regole -scrive ancora il direttore- dovranno essere coerenti e rispettose dell’eguaglianza di tutti i cittadini: “non potranno contenere norme che nei prossimi mesi rischiano di essere cancellate, una a una, dai tribunali della Repubblica. E’ già accaduto con la Legge 40 sulla fecondazione assistita”.
La Repubblica, pagina 6: “Unioni civili, Pd diviso sulle adozioni gay. ‘Lista nera’ dei contrari”, “Gay.it mette in rete i volti dei senatori anti-Cirinnà. Family day il 30. Saviano: non vitate la felicità”.
La Stampa, pagina 6: “Unioni civili, il governo tira dritto ma mette in conto un no alle adozioni”, Numeri in bilico nel voto segreto, difficile un accordo per limare il testo dell’articolo. Nel Pd si tenta una mediazione: due anni di convivenza col minore prima del sì del giudice” (ne scrive Carlo Bertini). Più in basso il “retroscena” di Fabio Martini: “Sui diritti delle coppie gay i renziani si spaccano per la prima volta”, “Anche tre laici contro le adozioni: Lanzillotta, Chiti, Pezzopane”.
E Marcello Sorgi, nel suo “Taccuino” scrive: “Il governo non ha più la maggioranza sulle unioni civili”. La scelta del Pd di lasciare libertà di voto ai senatori lascia capire che il governo non ha più la maggioranza, “se non proprio sulla legge, sul controverso tema della ‘step child adoption’”. La somma dei trenta voti mancanti dei componenti cattolici del Pd al Senato, unito al ‘no’ di Forza Italia e -soprattutto- al clima che si è creato tra Pd e 5Stelle sul caso Quarto, ha fatto prevalere la prudenza a Palazzo Chigi. A questo punto -scrive ancora Sorgi- è possibile che la legge passi senza il riferimento alle adozioni.
Su La Repubblica il “retroscena” di Goffredo De Marchis: “Ma Renzi scommette sul testo originale, ‘Voti liberi. E passerà’”.
A pagina 37 il commento della sociologa Chiara Saraceno: “Le unioni civili e il gioco dell’oca”. Dove si evidenzia che “dopo un’intervista di mons. Galantino, che di fatto ha definito la posizione della gerarchia cattolica” sul progetto di legge sulle unioni civili dello stesso sesso, “anche i parlamentari che si identificano come cattolici dentro il Pd sono usciti allo scoperto” e hanno “lanciato la bomba, rimettendo in discussione l’intero impianto”. Più avanti Saraceno critica il presidente del Consiglio, “così decisionista da mettere la fiducia” su materie non marginali come la riforma della Costituzione, che ora ha deciso di uscire dall’impasse lasciando il voto alla libertò di coscienza: “non ho mai capito il ricorso alla libertò di coscienza a corrente alternata, di fatto quando sono in gioco i diritti civili, come se questi non fossero il bene fondativo della stessa cittadinanza in un Paese democratico, quindi non a disposizione di una o un’altra ideologia”.
Il tema viene evocato anche dall’editoriale di Luigi La Spina su La Stampa: “Diritti individuali pensiero forte dell’Occidente”. “Se in Occidente il ventesimo secolo è stato il tempo dei diritti collettivi, il ventunesimo si apre all’insegna di quelli individuali”. E Russo cita lo ius soli, le unioni civili, il fine vita: “L’introduzione di una quota sempre maggiore di diritti individuali nell’ordinamento dello Stato fa paura anche perché sembra minare alla base alcuni valori ed elementi costitutivi della nostra identità collettiva: la famiglia, le tradizioni religiose, la cittadinanza, la cultura. E’ la retorica un po’ lisa di chi vede l’Occidente disgregarsi, ormai vittima del pensiero debole, della società liquida”, ma “è vero il contrario. Solo un rafforzamento dei diritti e delle libertà individuali ci può salvare”, “libertà e responsabilità sono, al di là delle diverse convinzioni, l’unico antidoto al totalitarismo. Questa, con i doveri che porta con sé, è l’identità davvero non negoziabile, della quale chiedere con fermezza il rispetto a chi viene in Europa”.
La Stampa intervista il presidente emerito Giorgio Napolitano, che dice: “’Un diritto d’asilo comune è la via per salvare l’Europa dall’onda nazionalista”, “L’Italia si batta per far passare questa linea. Dobbiamo imparare a gestire in comune più sovranità condivisa”, “Andiamo fuori strada se un leader, anche aperto all’integrazione, cede all’assillo delle elezioni nel suo Paese”, “Bisogna rischiare: ricordiamoci che Kohl ebbe il coraggio di rinunciare al marco e fu premiato dal voto”, “Putin è un partner assolutamente necessario, ma pone problemi. Uno Zar? Attenti alle formulette”.
Da La Stampa segnaliamo anche il commento di Luigi La Spina sull’abolizione del reato di immigrazione clandestina: Per il consenso si abdica al bene comune”. Cita tanto Matteo Renzi che il suo ministro Boschi: “tutti e due, con una sciagurata confessione pubblica, hanno ammesso candidamente di condividere l’opinione generale di coloro che, magistrati e forze dell’ordine, tutti i giorni si trovano ad affrontare il difficilissimo tema dell’immigrazione di massa nel nostro territorio: lo sbandieramento dell’accusa di reato davanti a questo esodo della disperazione non solo è inutile, ma è un ostacolo grave a una accoglienza più controllata di tali flussi migratori. Ma all’abolizione di questo reato non si può provvedere ‘perché gli italiani non capirebbero’”.