Il Corriere della Sera: “Un miliardi per il lavoro ai giovani. Piano di Letta: dirottare i fondi Ue verso l’occupazione. Lo Stato comincia a pagare gli arretrati, ma si accumulano nuovi debiti verso le imprese”. In alto: “Il Papa pronto a cambiare lo Ior. L’ipotesi di un commissario”.
Il Sole 24 Ore: “Un miliardo dai fondi Ue per assunzioni e social card. Giovannini: niente pausa tra i contratti a tempo per i giovani. Il governo definisce il decreto. Tempi più lunghi per la pignorabilità di beni strumentali delle imprese”. Di spalla: “Stretta di Bruxelles contro l’evasione, sì allo scambio di dati. Informazioni automatiche su conti e plusvalenze”.
La Repubblica. “Iva la rivolta dei commercianti”, “Il governo non garantisce lo stop. Letta: senza il lavoro l’Italia non si salva”. In taglio basso l’accusa del Csm a Francesco Messineo: “’Il Procuratore di Palermo impedì la cattura del boss’”.
La Stampa: “Letta: ogni sforzo sul lavoro. Inevitabile l’aumento Iva. Zanonato: ‘Niente promesse’. E i commercianti lo fischiano”
Il Giornale: “Iva su? Letta a casa. Pressing del Pdl: se non si ferma l’aumento, il governo non va avanti. I commercianti non ce la fanno più. Fischiato il ministro2”
Libero: “Vendiamo la Rai. Esempio greco da seguire. Ogni anno col canone la tv di Stato incassa 1,7 miliardi ma il bilancio del 2012 è in rosso di 244 milioni. Privatizzandola, avremmo le risorse per molti dei nodi più urgenti: dall’Imu agli sgravi per i neoassunti”.
Il Fatto quotidiano: “’Berlusconi chiede ai servizi: ‘Potete uccidere Gheddafi?’”. “Una autorevole fonte della Sicurezza racconta a Il Fatto: ‘Durante la crisi libica il premier voleva sapere dagli 007 se era possibile eliminare il dittatore di Tripoli. Il premier italiano si preoccupava di allontanare da sé l’ombra del tiranno con cui aveva avuto rapporti molto stretti”. A centro pagina: “Csm, vendetta contro Messineo. Aperta una pratica per trasferire il procuratore capo per ‘incompatibilità ambientale’. Secondo la commissione di Palazzo dei Marescialli, il capo della Procura che indaga sulla trattativa Stato-mafia avrebbe causato la mancata cattura del boss latitante Messina Denaro e sarebbe stato ‘condizionato da Ingroia’. L’ex pm: ‘Accuse ridicole’”.
Iva
Ieri alla assemblea annuale della Confcommercio l’intervento del ministro dello Sviluppo Zanonato è stato più volte interrottto dai fischi, a partire dal momento in cui il ministro ha affermato che il governo non è in grado di assicurare lo stop all’aumento dell’Iva dal primo di luglio. “La calma torna quando il ministro aggiunge che farà di tutto per sostenere l’esclusione dei beni strumentali (capannoni, negozi, magazzini) dal pagamento dell’Imu. Lì la platea si scioglie in un applauso”, scrive L’Unità. Per i commercianti la manovra sull’Iva è una “priorità assoluta”, come spiega il presidente Sangalli nel suo intervento. “Se chiudiamo, chiude il Paese”.
Sul Corriere si dà conto delle parole di Zanonato (“Mi piacerebbe essere qua a dire che l’Iva non aumenta, vorrei ma non lo posso fare”), mentre Il Giornale scrive di un “Pdl in pressing”: “O il blocco o il governo si schianta”. E su Libero: “I commercianti fischiano il governo per l’aumento Iva”, “Pdl e Pd spronano l’esecutivo: vanno trovati i soldi per evitarlo”. Secondo il quotidiano al vicepremier Alfano questa volta ha fatto il “pompiere” : con un tweet ha fatto sapere che “il governo sta lavorando per trovare i soldi”, “a partire dal ministro Saccomanni”. La Stampa scrive che “sfuma il blocco dell’aumento Iva” e spiega che “il governo preferisce gli sgravi fiscali”. E un articolo racconta:: “nel giorno in cui il Financial Times prende di mira Enrico Letta, rimproverandolo di un ‘letargo’ e di una inerzia che non hanno prodotto ‘assolutamente nulla’, da parte sua il Presidente del Consiglio si è cimentato -dalla mattina alla sera- in una striscia di esternazioni, l’ultima delle quali (“Se non c’è il lavoro, il Paese non si salva”), pur generica, in realtà allude ad una decisione sempre più matura, ormai quasi definitiva del governo: da una parte la rinuncia a bloccare l’aumento dell’Iva e dall’altra l’intenzione di indirizzare le risorse disponibili verso l’occupazione giovanile, attraverso un bonus che favorisca le assunzioni a tempo indeterminato di giovani. Grazie a misure di decontribuzione e defiscalizzazione per le imprese”. La scelta sarà esplicitata, probabilmente, nel prossimo consiglio dei ministri, sabato: quello che dovrebbe varare il cosiddetto “decreto del fare”.
Sul Corriere: “Giovani assunti, meno contributi per 2-3 anni”. Del pacchetto di misure a sostegno dell’occupazione giovanile potrebbe far parte anche un insieme di provvedimenti per le semplificazioni burocratiche e procedurali per le imprese.
Su Il Sole 24 Ore, alle pagine dedicate a “il pacchetto sviluppo” e “la ricerca delle risorse” il titolo è: “Occupazione, un miliardo dai fondi Ue”. Il quotidiano scrive anche che nel disegno di legge sulla semplificazione è spuntata anche una norma che prevede si arrivi al commissariamento delle amministrazione e degli enti terrioriali su cui si siano accertati ingiustificati ritardi nella emanazione degli atti per l’utilizzo dei fondi comunitari. Si tratterebbe dunque di un commissario ad acta per le Regioni che non spendono le risorse comunitarie.
Il Sole evidenzia anche le dichiarazioni di Letta al congresso Cisl di ieri: “Il peso del fisco colpisce in modo asimmetrico, ma dobbiamo puntare sul lavoro, perché il cuneo fiscale è la vera zavorra del Paese”. Sulla stessa pagina, in una intervista al commissario Ue Lazslo Andor, si dice che spesso si compiono azioni “più simboliche che di sostanza”, e spiega che “è potenzialmente fuorviante separare la disoccupazione giovanile dalla disoccupazione in generale”. Nella zona euro, i disoccupati sono 20 milioni, quelli con meno di 25 anni sono 4,5. Siamo preoccupatissimi dai senza lavoro con meno di 25 anni, ma non dimentichiamo quelli che ne hanno di più”. E sul mercato del lavoro in Italia dice: “La segmentazione del mercato del lavoro è molto significativa; il mercato del lavoro non è sufficientemente inclusivo”, “bisogna chiedersi se è giusto che i giovani abbiano solo cattive condizioni, e che le donne abbiano difficoltà di accedere al mercato del lavoro. In Italia l’asimmetria tra giovani e anziani, tra donne e uomini, è tra le più estreme d’Europa”. Per Andor serve “un mercato del lavoro più dinamico, nel quale i lavoratori possono essere ricollocati verso occupazioni più produttive”.
BigData
Scrive La Stampa che l’uomo del datagate Edward Snowden, ancora nascosto, è tornato a farsi sentire con una intervista al South China Morning Post. Ha svelato che “gli Usa spiano i computer cinesi dal 2009” e che l’intelligence americana “ha compiuto 61 mila attacchi internazionali di hacker, centinaia dei quali con obiettivo Hong Kong o la Cina popolare”. La scelta di parlare con questo quotidiano si spiega, secondo La Stampa, con la volontà di far sapere che “gli Usa stanno tentando di ottenere l’estradizione” sebbene nei suoi confronti non siano ancora state formulate accuse specifiche dal Dipartimento della giustizia di Washington. Snowden ha poi annunciato: “Voglio battermi in tribunale qui ad Hong Kong contro il governo Usa”, al fine di “svelarne l’ipocrisia”, perché mentono quando affermano che “non prendono di mira le istituzioni civili”. Testimoniando ieri al Senato, il generale Keith Alexander, capo della NSA, ha detto che i controlli sui tabulati telefonici hanno permesso di sventare “decine di attentati terroristici”.
La Repubblica sottolinea come Snowden abbia aperto un nuovo fronte sullo spionaggio internazionale ai danni proprio dei cinesi e di Hong Kong, ovvero il dossier su cui Obama avrebbe voluto incalzare il presidente cinese Xi Jin Ping durante il summit della scorsa settimana in California. La Repubblica Popolare Cinese quindi può godere di un rovesciamento delle parti, dopo le ripetute accuse di cyberspionaggio lanciate dagli Usa contro Pechino. Tuttavia in America il datagate è molto meno controverso che in Europa, a sentire i dati dell’ultimo sondaggio del Washington Post, secondo cui una netta maggioranza di cittadini americani, ovvero il 62 per cento, è convinta che sia “più importante che il governo indaghi sul terrorismo che proteggere la nostra privacy”. Le grida di allarme, secondo questa corrispondenza di Federico Rampini, sono confinate alle due ali estreme dello spettro politico: i libertari individualisti di destra e i progressisti più radicali. Tra questi ultimi si segnala l’azione legale promossa dalla American Civil Liberties Union. In quanto utente di Verizon (uno degli operatori telefonici che consegnano i tabulati delle telefonate alla NSA) si è costituita parte civile al tribunale distrettuale di Manhattan denunciando la violazione dei propri diritti costituzionali.
Sullo stesso quotidiano, segnaliamo un commento di Stefano Rodotà, che sottolinea come di fronte al le notizie su una rete elettronica di sorveglianza, “con la quale gli Stati Uniti hanno avvolto il mondo”, non ci si possa dire sorpresi, poiché da anni si assiste ad una sottovalutazione della questione privacy, in una situazione in cui si vuol far diventare la sicurezza l’unico criterio di riferimento. Su questo scivolamento verso “forme di democrazia ‘protetta’”, ricorda Rodotà, il gruppo dei garanti europei per la privacy, per iniziativa dell’Italia, all’indomani dell’11 settembre, “sollevò con molta forza il problema, ed ingaggiò un braccio di ferro con l’Amministrazione Usa, che per la prima volta nella storia di dotava di un ministero dell’Interno, il Department of Homeland Security. I termini del conflitto furono subito chiarissimi: si partiva dai dati dei passeggeri delle linee aeree, di cui si voleva conoscere ogni singolo dettaglio, dal modo in cui era stato acquistato il biglietto alla eventuale dichiarazione di abitudini alimentari. Non si dava nessuna vera garanzia sul modo in cui quei dati sarebbero stati utilizzati, e sulle concrete possibilità di ricorso nel caso di violazione”. Eppure il diritto alla protezione dei dati personali era stato appena riconosciuto nella carta dei diritti fondamentali. La Commissione Ue, secondo Rodotà, finiva troppo spesso per comportarsi più come portavoce che come controparte delle pretese Usa. Emerse una sorta di “schizofrenia istituzionale”, perché invece si era creata una alleanza tra Parlamento Ue e Garanti. Anche ora, secondo il giurista, “inquieta la passività” dei governi europei, fatta eccezione per la Germania. Eppure l’erosione della privacy non avviene solo all’insegna della sicurezza “ma anche di una pressione economica di tutte quelle imprese che vogliono considerare i dati personali come proprietà loro”.
Il Foglio raccoglie le dichiarazioni dell’Europarlamentare olandese Sophie Intveld’t, che da anni si batte contro il trasferimento dei dati verso gli Usa. Ed ammette la grande ipocrisia dell’Europa, perchè anche qui ci sono tanti piccoli spioni che “fanno praticamente la stessa cosa, e collaborano con l’NSA”. Le Monde ha raccontato che la DGSE – i servizi segreti francesi – agendo al di là delle frontiere, esamina ogni giorno il flusso di traffico internet tra la Francia e l’estero al di fuori di ogni quadro legale. Il ministro degli esteri britannico Hague ha ammesso che il Government communication Headquarter (GCHQ) ha un programma analogo a quello dell’NSA, e che la Gran Bretagna condivide molte informazioni con gli Usa.
Internazionale
Su Il Sole 24 Ore Alberto Negri scrive che “Erdogan non aiuta l’economia”, e che “l’intransigenza del premier preoccupa i leader stranieri e i mercati”. Sui destini del Bosforo fanno ammenda persino le agenzie di rating come Moody’s, che solo poche settimane fa consigliavano i titoli di Stato di Ankara.
Scrive La Stampa che ieri il premier turco Erdogan ha tentato una sorta di mediazione con la protesta in piazza, incontrando una delegazione dei manifestanti. Era composta da 11 persone, per lo più accademici, studiosi e membri delle organizzazioni che si trovano in piazza, tra cui Greenpeace. Il gruppo ha portato il documento con le sette richieste già presentate al vicepremier Arinc la scorsa settimana e che ha al primo punto la conservazione del Gezy park. Una qualche apertura è venuta da Erdogan, che ha ipotizzato un referendum sulla trasformazione del parco. Ma è stato accusato di aver incontrato solo una parte ristretta della protesta, quella che gli crea meno problemi. Il primo ministro ieri ha parlato anche con alcune sigle sindacali, e con alcuni nomi importanti dello spettacolo. Oggi sarà la volta di Hulya Avsar: è un ex reginetta di bellezza, attrice e una delle donne più potenti della Turchia, che il premier pare non avesse intenzione di vedere ma, data l’insistenza della signora e la sua influenza sulla opinione pubblica, ha cambiato idea. La Avsar viene da Smirne, una delle località più laiche della Turchia. Il reportage da Istanbul descrive “i mille volti di piazza Taksim”, la rivoluzione “senza leader”. In piazza ci sono organizzazioni ambientaliste, i sindacati, le associazioni gay, le tifoseria calcistiche, la ‘terza Turchia’ formata da giovani o da persone attorno alla mezza età proveniente da movimento socialisti o comunisti, che non si identificano in nessun partito e spesso non votano. Ci sono poi i curdi che non condividono l’atteggiamento neutro tenuto dal BDP, il partito curdo per la pace e la democrazia, che sta lavorando con il governo e il PKK nel difficile negoziato per la fine della lotta armata. E c’è il CHP, il partito di opposizione di orientamento laico, ma è una presenza minore.
Su Il. Foglio: “I prof europei (Bonino in testa) aspettano l’esito dell’esame di maturità turco”. Si riferiscono quindi le parole pronunciate dal nostro ministro degli esteri sulle manifestazioni che attraversano la Turchia di Erdogan: “Piazza Taksim non è piazza Tahrir”, “i turchi non sono arabi”, è meglio “evitare di guardare la Turchia con l’ottica offuscata da modelli ingannevoli”. Ha detto ancora la Bonino: “Ho sentito parlare di primavera turca, ma non è così”, semmai, il modo in cui le autorità stanno reagendo alle proteste è, per la Bonino, “il primo serio test per la tenuta della democrazia turca e per il processo di adesione alla Ue”. Ankara, ha detto ancora la Bonino, deve dimostrare la capacità di “unire le diverse componenti della società”. Daniel Conh Bendit, interpellato dal quotidiano, dice che domani Erdogan può portare milioni di persone in strada e “non si può dire che tutto il popolo turco è contro Erdogan”. E’ meglio, per il leader dei verdi, non illudersi: “Non bisogna dimenticare che dopo il maggio 68 De Gaulle vinse le elezioni”. Il guaio, semmai, è quello dell’Europa che, “fuggendo dai negoziati di adesione con la Turchia, ora non è più in grado di fare pressioni”. Sarebbe invece necessario aprire tutti i capitoli negoziali per l’adesione, che comprendono le norme che la Turchia deve rispettare su libertà pubbliche e democrazia. Anche la Bonino è tornata su questo tema ieri alla Camera. “L’Italia vuole una Turchia pienamente democratica in Europa”, ma serve “un severo esame di coscienza da parte dell’Europa”. I negoziati di adesione stanno lentamente riprendendo dopo un lungo periodo di stallo, ma i ventisette sono profondamente divisi, e alcuni leader sono tentati di utilizzare piazza Taksim per bloccare l’apertura di un nuovo capitolo (quello della politica regionale).
Su La Repubblica Timothy Garton Ash srive che “in tutto il mondo esiste ormai una sorta di Quinta Internazionale di giovani, donne e uomini di istruzione superiore, prevalentemente di estrazione urbana che si riconoscono e si relazionano ovunque, da Shangai a Caracas, a Teheran e a Mosca. Come la gene4razione del 1968, ma stavolta in tutto il globo, hanno qualcosa in comune”. Ma può essere una sensazione “pericolosamente fuorviante”, perché ciascuna di queste piazze “segna un momento diverso in un contesto molto diverso”. Taksim “non è mai stata Tahrir, per non dire Tienanmen, perché la Turchia non è una dittatura. E’ una democrazia elettorale: una democrazia molto imperfetta, certo, ma pur sempre una democrazia.
Secondo Garton Ash un “esito realistico” è che l’attuale presidente Gul e la sua corrente ora più moderata in seno al partito al potere “potrebbe prevalere”.