Fine impero

La Repubblica punta ancora l’attenzione sullo “Scandalo Lazio” e titola: “’Ecco il sistema Polverini’”. Così sintetizza le dichiarazioni ai pm dell’ex presidente del gruppo Pdl alla Regione Lazio, Franco Fiorito.

A centro pagina: “Islam, la Francia chiude le ambasciate”, “Dopo la pubblicazione delle vignette anti-Maometto. Al Qaeda: ‘Uccidere gli ostaggi in Mali’”.

La Stampa: “Il caso Polverini scuote il Pdl”.

A centro pagina una foto del direttore del settimanale satirico francese “Charlie Hebdo”, che ha pubblicato vignette considerate offensive nei confronti del profeta Maometto. Il titolo: “Islam, ecco l’uomo che spaventa la Francia”.

Il Corriere della Sera ha una foto in prima da Calcutta, dove uno studente musulmano dà alle fiamme una effigie del presidente Barack Obama. E il titolo: “La Francia teme vendette per la satira di Maometto”.

A centro pagina: “Il caso Lazio scuote il Pdl”, “Voci di dimissioni di Polverini, vertice da Berlusconi”.

L’Unità: “Polverini, il festino è finito”.

In taglio basso: “Pd, scontro su Vendola. Bersani: ‘Si candidi’”.

Libero: “Palude delle libertà”, “Dalla Regione Lazio esce uno scandalo al giorno e il centrodestra rischia di esserne travolto. Alfano ci dica come è potuto succedere. E soprattutto faccia pulizia prima che sia troppo tardi. Giallo sulle dimissioni della Polverini. Fiorito, assegni a vuoto e incetta di case”.

Il Fatto: “Polverini, tutti gli sprechi. La festa è finita”, “Travolta dalle ruberie del Pdl e dai festini alla Trimalcione, la governatrice del Lazio sull’orlo delle dimissioni dopo una giornata di vertici frenetici con Berlusconi e gli ex-An, che minacciano la scissione dal partito”.

Il Giornale, con foto in prima della governatrice della Regione Lazio: “Regioni da rottamare”, “Uno scandalo al giorno, clientele, sprechi: ogni seggio ci costa 743 mila euro. Non volete chiuderle? Almeno fate pulizia. I partiti capiscono di averla combinata grossa e fanno dietrofront: sì ai controlli esterni sui conti dei gruppi parlamentari”. E a centro pagina: “La Polverini in crisi di nervi minaccia le dimissioni”.

Regione Lazio

Su tutti i quotidiani le foto del ‘toga party’ o ‘party in maschera’ o in stile ‘Antica Grecia’ organizzata dal vicecapogruppo Pdl in Regione Lazio Carlo De Romanis, nel settembre del 2010. A quel party partecipava anche Renata Polverini, immortalata in posa dai fotografi. De Romanis era travestito da Ulisse. La Stampa lo intervista. Dice che si trattava di una ‘goliardata’, ma, precisa: “pagata di tasca mia, e ribadisco di tasca mia, che non c’entra nulla con la festa a Cinecittà millantata da Fiorito e annullata perché costava 40mila euro”. Quanto ha speso? “Devo ancora fare i conti, ma all’incirca 30mila euro”, “appartengo ad una famiglia benestante e poi ho iniziato a lavorare giovane. Me lo posso permettere”. Poi racconta di aver organizzato altre feste, a conclusione di seminari per i giovani del Ppe: tre volte ha partecipato anche Silvio Berlusconi, Certo, una bella spesa, o no? “Tutto in regola. Tutto fatturato. La mia carriere politica è costellata solo da atti onesti. Sa perché adesso girano le mie foto con la corazza di Ulisse?”. No, dica lei. “Tutta colpa di qualche amico di Fiorito, che ce l’ha con me”. Fiorito però sostiene che il 17 luglio è stato lui ad inviare a lei a tutti gli altri consiglieri regionali la diffida a spendere soldi del partito. “Bella faccia tosta. Peccato che il 16 luglio fui io il primo firmatario, anche quella volta, di una lettera in cui il gruppo gli chiedeva un incontro per chiarire la sua gestione scellerata”. Dice di non aver mai avuto risposta.

La Repubblica segue l’inchiesta con Carlo Bonini e Maria Elena Vincenzi. L’attenzione è puntata sull’interrogatorio, ieri in Procura a Roma, di Franco Fiorito. Che ha usato più volte la parola “Sistema”, in riferimento a quanto accadeva alla Regione Lazio. “Indica due scatoloni entrati con lui nel primo pomeriggio in caserma e da lui conservati lì dove, evidentemente, le perquisizioni dei giorni scorsi non erano arrivate”: lì dentro, carte, email, fatture, che documenterebbero la dissipazione di denaro pubblico “di almeno 7-8 consiglieri di maggioranza”. “Sistema”, ripete il suo avvocato, Carlo Taormina: “Era un porcile. E se Fiorito ha una colpa è di aver fatto politica in quel porcile”.

Il direttore di Libero Maurizio Belpietro in prima si chiede: Che ci faceva nel Pdl un tipo come l’ex capogruppo dell’ex Pdl in Regione Lazio. Chi ce lo ha portato, chi gli ha fatto fare carriera, chi soprattutto ha affidato la cassa a un soggetto di cui appaiono chiare l’arroganza e la spregiudicatezza. Perché nessuno si è chiesto da dove venissero tutte quelle preferenze conquistate alle scorse elezioni e come se le fosse guadagnate?”. Pagina due: “Maiali, ancelle e gladiatori. La festa da fine impero del Pdl”, “due anni fa al Foro Italico. E poi: “le indagini rivelano quasi 64mila euro di scoperto da parte di Fiorito. La somma veniva dal conto Unicredit del gruppo Pdl, che aveva cambiato titolare”. Perché, come ricorda il quotidiano, il 24 luglio, “con un blitz”, il gruppo Pdl alla Regione aveva silurat Fiorito ed eletto al suo posto l’attuale capogruppo Francesco Battistoni. Pochi giorni dopo lo stesso è passato – chiamato dal direttore dello sportello – all’Unicredit per diventarfe il nuovo titolare del conto corrente. Il cambio di firma (che per alcuni atti richiedeva ancora la firma congiunta dei due) era già divenuto efficace. Fiorito non lo immaginava, e pensava di essere più veloce lui dei colleghi. Gli è andata male, e oggi il suo nome è iscritto nel registro dei protestati.


Primarie

La Repubblica racconta come nel Pd sia in corso uno scontro sulla partecipazione di Nichi Vendola alle primarie. Scrive il quotidiano: “Su una cosa Bersani e Renzi la pensano allo stesso modo: Nichi Vendola deve candidarsi alle primarie del centrosinistra. Il segretario del Pd e il sindaco rottamatore insieme cercano di allontanare il polverone sollevato dai “frondisti” capeggiati da Beppe Fioroni, leader dei Popolari. Trenta parlamentari democratici, in una lettera aperta a Bersani, avevano consigliato al leader di Sel di cambiare registro: “I partecipanti delle altre forze politiche devono presentare un programma compatibile ed integrabile con il nostro, non certo promuovere un referendum contro la riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, come Nichi ha fatto”. Il quotidiano riferisce poi che ad alimentare la polemica, Vendola ha dichiarato al giornale Pubblico: “Se ora potessi fare quello che voglio, farei un figlio”. Si scrive poi che alcuni “montiani” del Partito, come Ceccanti, bocciano le primarie di coalizione e sponsorizzano la gara solo tra i Democratici. Lo stesso Fioroni ha poi rettificato (non voglio escludere Vendola) ma confermando la richiesta: “Firmi prima la nostra carta di intenti”. Bersani, sulla candidatura di Vendola: “Io spero che si candidi, deve essere un protagonista”. Renzi: “La penso come Bersani, è un errore mettere in discussione la sua partecipazione alle primarie, è due anni che ne parla ed è giusto che lo faccia”.

L’Unità intervista Roberto Reggi, per dieci anni sindaco di Piacenza, e ora coordinatore della campagna di Renzi: “io proprio non capisco perché occorra cambiare le regole delle primarie che hanno sempre funzionato. Sono le stesse utilizzate a Piacenza, città mia e di Bersani, ai gazebo alcuni mesi fa. Il segretario ha votato, e non ha avuto alcuna obiezione”. Sulla ipotesi di vincolare il diritto di voto ai gazebo ad una liberatoria sulla privacy, per poi rendere pubblici gli elenchi dei votanti ed evitare le incursioni degli elettori Pdl, Reggi risponde: “Mi pare una forma di schedatura che rischia di allontanare tante persone che non hanno voglia di vedere il proprio nome pubblicato. Una roba da regime comunista, che non è mai stata fatta e contro cui faremo muro”. E perché uno dovrebbe vergognarsi? “Nei piccoli centri, dove ci si conosce tutti, magari un medico o un avvocato non hanno voglia di essere etichettati come elettori di centrosinistra. E poi c’è tanta gente che in passato ha votato Berlusconi ed ora guarda a noi. Diciamo che non ci interessando? Io a Piacenza ho vinto due volte le elezioni, e tanti miei elettori non erano ‘fedeli’ del centrosinistra”.

 

Charlie Hebdo

 

Il settimanale satirico francese Charlie Hebdo ha pubblicato ieri nuove vignette, considerate offensive nei confronti dell’Islam. In copertina un rabbino spingeva un imam in carrozzella. Il titolo: “Intoccabili”. A Parigi è scattato l’allarme, il ministro degli esteri ha ordinato la chiusura di Ambasciate, Consolati, Scuole francesi in una ventina di Paesi. Il primo ministro Ayrault ha annunciato il divieto di manifestare sabato, dopo gli appelli, apparsi su Internet, a scendere in piazza per protestare con il film girato negli Usa che ridicolizza Maometto. Spiega La Stampa che in una delle vignette contenuta nel settimanale si vede Maometto vestito con un turbante, disteso su un letto a pancia in giù, che pronuncia la celebre battuta di Brigitte Bardot nel film di Godard Il disprezzo: “Et mes fesses?. Tu les aimes, mes fesses?” (“E il mio sedere? Ti piace il mio sedere?). Un’altra caricatura raffigura il profeta, nudo e a quattro zampe, con una stella gialla sul di dietro: “Maometto, è nata una stella”.

Charlie Hebdo ha una tiratura settimanale di circa 75 mila copie.

La Repubblica intervista il direttore Stéphane Charbonnier: accusarci di gettare olio sul fuoco è come dire che una donna si è fatta stuprare perché aveva la minigonna”. Molti dicono che avete voluto fare un colpo commerciale. “Se per rilanciare Charlie Hebdo bastasse mettere Maometto in copertina e parlare dell’Islam, lo faremmo tutte le settimane”. Il ministro dell’interno Valls vi ha difesi, il capo del governo Ayrault vi ha incitato alla prudenza. Come giudica l’atteggiamento del governo? “E’ vero che Valls ci ha difesi, ma Ayrault e il ministro degli esteri Fabius no. Mi ricordo che nel 2006, quando avevamo pubblicato le caricature di Maometto, tre associazioni musulmane ci avevano denunciati. Hollande era venuto in tribunale per sostenerci. L’atteggiamento del Partito socialista è cambiato da qualche anno. Sono cambiate anche le sue responsabilità, non crede?”. Certo, ma si ha l’impressione che Charlie Hebdo sia colpevole delle morti nelle strade. Lasciar intendere che possiamo essere responsabili di violenze è irresponsabile”. Non avete esagerato, in un momento così teso? “Non è mai il buon momento, il contesto non è mai favorevole per caricaturare gli islamisti radicali”. Per voi di sinistra non è sgradevole esser sostenuti da intellettuali conosciuti soprattutto per la loro islamofobia? “Mi spiace che i sostegni a sinistra siano timidi o inesistenti. Marine Le Pen, che oggi ci difende e parla di libertà di espressione, ci ha trascinato in tribunale per una vignetta. Per chi conosce Charlie Hebdo, non ci sono ambiguità”.

 

Libero intervista il redattore capo del settimanale Charlie Hebdo, Gérard Biard: “Perché abbiamo fatto queste vignette? Perché non potevamo fare altro, siamo un giornale satirico, l’attualità ci ha portato ad occuparci di questo, c’è stato il film, le manifestazioni, l’ambasciatore ucciso. L’attualità era quella, la scelta obbligata”.

Il quotidiano riferisce che è arrivato ad una denuncia per incitazione all’odio, e che è stato lo stesso primo ministro francese a invitare chi si sentisse offeso dalle vignette a rivolgersi al tribunale.

Il Corriere della Sera riferisce delle dichiarazioni del ministro degli esteri italiano Giulio Terzi: “Ricordiamoci che l’Italia ha un codice penale che prevede la possibilità di perseguire chi offende le religioni. Le religioni sono una cosa fondamentale, importante per la coscienza di molti milioni di individui. Nessuno deve permettersi di dileggiarle o di scherzare su questi valori”.

Arab spring

La vicenda delle vignette di Charlie Hebdo si intreccia inevitabilmente con le riflessioni sui cambiamenti in corso nei Paesi delle cosiddette primavere arabe. Il Corriere della Sera intervista lo storico Paul Kennedy: “Come storico, non ho mai pensato che la primavera araba potesse portare subito alla democrazia. Ci vogliono parecchie generazioni”. Le speranze che aveva generato la primavera araba si sono dissolte. Non dobbiamo farci distrarre dagli eventi di Bengasi della scorsa settimana, dobbiamo tenere gli occhi puntati su Egitto, Siria ed Iran. Sarà là che si deciderà degli sviluppi”. “Non illudiamoci, però, ripeto, sulla democratizzazione del mondo islamico. Per parlare della mia nazione, il Parlamento inglese nacque da un secolo di guerra”. Come si possono prevenire provocazioni come il video profano su Maometto? “Da noi c’è una minoranza che pensa che l’islam sia velenoso, come nell’islam c’è una minoranza che pensa che sia velenoso l’Occidente. I nuovi media, gli Ipod, i cellulari, le telecamere private che ci trasmisero le immagini della primavera araba, ci fecero credere che l’assoluta libertà di espressione non solo abbattesse le dittature, ma conducesse altresì alla democrazia. Adesso i nuovi media ci fanno temere che l’assoluta libertà di espressione produca gli effetti contrari”. Secondo lei è censura la decisione di Youtube di vietare il video di Maometto in alcuni Paesi islamici? “Le leggi dell’Occidente tutelano la libertà di espressione. Ma le mettono anche dei limiti, non può diventare incitamento all’odio di razza, di religione, eccetera. Nazioni come l’Olanda o lqa Germania, che soffrirono di questi incitamenti nella seconda guerra mondiale, sono più severi che non l’America, dove il primo emendamento ha un enorme peso. Ci vuole un certo equilibrio, ma è proprio l’equilibrio che oggi sembra mancare”.

Il viceministro agli Esteri Staffan De Mistura, in un’intervista a L’Unità, dice: “I jihadisti hanno cercato l’occasione per rientrare in gioco e provare a “scippare” i risultati delle rivolte che hanno segnato la primavera araba. Non dobbiamo cadere nella loro trappola: l’Europa deve rafforzare il sostegno alle leadership di quei Paesi, come l’Egitto, la Tunisia, la Libia che hanno avviato un processo di stabilizzazione democratica”. Per quel che riguarda il film su Maometto e le vignette pubblicate in Francia, De Mistura osserva che la libertà di espressione “non può essere confusa con la libertà di offendere un miliardo e trecento milioni di persone”. Le proteste di questi giorni, legate ai due avvenimenti, vengono lette come la fine della primavera araba. De Mistura non è d’accordo: “Al Qaeda e i salafiti sono rimasti a suo tempo totalmente sorpresi e superati dalla primavera araba. I Jihadisti hanno dovuto prendere atto che non avevano più il monopolio degli slogan”, tanto che durante le rivolte “non si bruciarono bandiere americane o israeliane, e le rivendicazioni della folla erano quelle di più democrazia e più lavoro”. Poi cosa è avvenuto? “Col passare del tempo, la strategia dei Qaedisti e dei salafiti si è adeguata, trasformandosi nel costante tentativo di inserirsi nel Dna delle rivolte”. Avviene in Siria, dove Al Qaeda e i salafiti “aspettano il momento giusto per scippare la rivolta ai moderati. Questo avviene anche in altri Paesi ma, in generale, l’opinione pubblica araba non è disposta ad accoglierli. La riprova è che durante le elezioni tenutesi sia in Tunisia che in Egitto, non hanno prevalso gli estremisti, ma gli islamici di tipo “moderato” più legati all’islam turco.

 

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