La Repubblica: “Filippine: è una catastrofe”, “Oltre 10mila le vittime per il tifone. Allarme saccheggi”. Sulla legge di stabilità: “Sindacati e imprese tutti contro la manovra ma la Ue la promuove”. A centro pagina: “Berlusconi ad Alfano: finirete come Fini”.
Il Corriere della Sera: “E’ una catastrofe, 10 mila morti. Il tifone devasta intere regioni. Panico e dispersi, i militari contro i saccheggi. La tempesta ora verso il Vietnam”. A centro pagina: “Strappo di Alfano, il Pdl a Pezzi. Berlusconi: ricordatevi di Fini”.
Il Giornale: “Berlusconi venduto al Pd. Alfano molla il Cavaliere: anche se decade, Letta va comunque avanti. Epifani molla Renzi: anche se vince le primarie, Letta candidato premier”. A centro pagina, con foto di Angela Merkel, un articolo firmato dal capogruppo del Pdl alla Camera Renato Brunetta: “La Merkel fa a pezzi la ripresa a colpi di euro”.
La Stampa: “Devastate le Filippine. ‘I morti sono più di diecimila’. Mancano cibo e acqua”. Il titolo di apertura è dedicato alla politica: “Berlusconi sfida Alfano sul governo: ‘Basta collaborare’. ‘I ministri si ricordino di Fini’. Letta: giudicatemi tra un anno”.
L’Unità: “Stabilità, ricordatevi del lavoro. Da oggi protesta unitaria dei sindacati contro la manovra: scioperi e manifestazioni in cento città. Le richieste: riduzione del cuneo fiscale e risorse per cig ed esodati. Letta: giudicatemi alla fine”. A centro pagina: “Berlusconi minaccia Alfano: pensa a Fini”.
Berlusconi, Alfano, Pdl
Scrive L’Unità che ieri mattina il vicepremier Alfano ha deciso, abbastanza all’improvviso, di partecipare come ospite alla trasmissione di Maria Latella a Sky Tg 24. La Stampa ne riferisce le dichiarazioni: “Se cade il governo, ne arriva uno di sinistra-sinistra. Una scelta radicale ed estremista sarebbe difficile da far capire agli italiani. Contro Berlusconi arriverà l’interdizione in ogni caso, dunque andremmo al voto senza il nostro campione”, “le elezioni anticipate sarebbero un danno per l’Italia, per il partito e per Berlusconi medesimo”. Il vicepremier, spiega il Corriere, “ha invitato Berlusconi a farsi temporaneamente da parte per poi candidarsi premier al prossimo giro”. Ancora le parole di Alfano da La Stampa, in riferimento al 2014, anno in cui il Cavaliere “potrebbe dimostrare la propria innocenza, l’ordinamento giuridico prevede delle possibilità… Al prossimo giro potrebbe essere lui il nostro candidato premier, e comunque meriterebbe di fare il senatore a vita”.
A sera l’Huffington Post ha pubblicato una intervista a Silvio Berlusconi si chiede: “Come può pretendere il Partito democratico che i nostri senatori e i nostri ministri continuino a collaborare con chi, violando le leggi, compie un omicidio politico, assassina politicamente il leader dei moderati?”. E ancora: “Se si contraddicono i nostri elettori, non si va da nessuna parte. Anche Fini e altri ebbero due settimane di spazio sui giornali, ma poi è’ finita come è finita. Ripeto: è nel loro interesse ascoltare cosa dicono i nostri elettori, per non commettere errori che li segnerebbero per tutta la vita”. Insomma, secondo La Stampa, quello di Berlusconi è l’annuncio del distacco dalla maggioranza, senza nemmeno bisogno di attendere il Consiglio Nazionale sabato prossimo.
Parallelamente i quotidiani danno conto di quello che La Repubblica definisce il “j’accuse di Angelino al Cavaliere”, in una telefonata che ci sarebbe stata tra i due e che viene considerata preludio della scissione. Secondo La Repubblica la rottura – umana prima ancora che politica – si sarebbe consumata venerdì, quando Alfano avrebbe saputo da un amico fidato che un giornalista di una testata berlusconiana era a caccia di indizi sulla sua vita privata. Questo spiega le sue dichiarazioni ancora a SkyTg24: “Il metodo Boffo è messo in conto, se dissentiremo ne saremo probabilmente vittime, ma non abbiamo paura”. Alfano avrebbe immediatamente chiesto conto a Berlusconi, che considera il suo padrino politico e che ha cercato finora di tenere distinto dai cosiddetti lealisti, secondo La Repubblica, “fingendo di ignorare chi sia la vera guida dei falchi”. Berlusconi avrebbe ribadito “io di questi dossier su di te non so proprio nulla”. Insomma, secondo il quotidiano, è lo stesso Berlusconi a volere l’esclusione dei traditori e quindi sbaglia di grosso chi pensa di trasformare il Consiglio Nazionale in una specie di congresso su documenti contrapposti, poiché il leader avrebbe già scelto la formula del “monologo”: relazione del Presidente e voto per la trasformazione in Forza Italia.
Sul Corriere della Sera: “Con il delfino è rottura. La tentazione del Cavaliere di andare all’opposizione”, “il segretario chiede conto di voci sul ricorso al ‘metodo Boffo’. La replica: non so nulla”. Il Corriere scrive che il giornalista che avrebbe tentato di costruire un servizio su Alfano apparterrebbe alla rivista Panorama.
Anche su La Stampa: “E Angelino si infuria, ‘Presidente, non mi farò uccidere dai suoi killer’. Voci su una inchiesta dei giornali Berlusconiani, ‘ma non temo il metodo Boffo’”. Su Il Giornale: “Alfano molla il Cav, ‘avanti col governo anche se lui decade’, ‘Berlusconi ora è incandidabile, sarà leader al prossimo giro’. E il solco nel Pdl si allarga”. Scrive Il Giornale che il vicepremier Alfano ha puntellato il suo ragionamento nel corso dell’intervista con l’omaggio al fondatore di Forza Italia, “il nostro campione che merita di fare il senatore a vita”: “Di fatto, però – scrive Il Giornale – le sue parole vengono percepite come una sorta di archiviazione politica del Presidente del Pdl”.
Alessandro Sallusti, il direttore, scrive in un editoriale in prima pagina: “Alfano ci prova ogni giorno (ieri su Sky dalla Latella) a uscire dalla contraddizione dentro la quale si è cacciato. Spiega, ripete come un disco rotto che Berlusconi è il capo, il meglio, l’unico, il magnifico, che contro di lui si è compiuta una ingiustizia, una porcata, ma… Ma poi conferma che al dunque (voto sulla decadenza) starà con i carnefici e mollerà Silvio Berlusconi al suo destino. Le due cose, ovviamente, sono incompatibili. Mi ricorda, Alfano, quei figli (e nuore) che, non potendone più del padre anziano, lo costringono, tra ipocrite parole di affetto, a ritirarsi in una casa di riposo”.
Pd, Letta, Renzi
Restiamo a questo editoriale di Sallusti su Il Giornale: non a caso – nota il direttore- , ospite di Maria Latella, il segretario Epifani ha detto chiaramente che il Pd lavorerà perché il governo Letta non cada e perché sia lui il prossimo candidato premier: “tra Epifani e Alfano c’è quindi un patto di ferro per salvare Letta e fare fuori in un colpo solo Berlusconi e e Renzi”.
Ne dà conto ampiamente L’Unità, riferendo le parole di Epifani: “Chi vincerà le primarie sarà anche candidato premier, ma non sarà solo lui. Alla Latella che gli fa notare che secondo Renzi le elezioni non sarebbero una catastrofe, Epifani ribadisce: “In democrazia il voto non è mai una catastrofe, ma in questo caso non serve al Paese”.
Sullo stesso quotidiano Francesco Cundari analizza “l’eterno sdoppiamento della leadership democratica”. Si ricorda che non è la prima volta che il centrosinistra deve fare i conti con la paradossale difficoltà di avere in campo nello stesso tempo un premier e un candidato allo stesso ruolo. Accadde quando a Palazzo Chigi sedeva Giuliano Amato, mentre a guidare la coalizione per le elezioni del 2001 era Francesco Rutelli; poi con Romano Prodi a Palazzo Chigi fu Veltroni a guidare la coalizione. Scrive Cundari: “Curiosamente, a sinistra, uno degli argomenti più forti portati a sostegno della scelta di costruire il Pd era proprio la necessità di superare l’anomalia per cui in Italia, unico Paese dell’Occidente democratico, il segretario del maggior partito del centrosinistra non poteva ambire alla guida del governo”, “costruendo un partito unitario, dunque, si sarebbe superata quella contraddizione”, causa di tante tensioni. Ma per Cundari il risultato è oggi doppiamente paradossale: se infatti alle primarie dell8 dicembre vincerà Renzi, il Pd si ritroverà con due leader: uno alla guida del governo senza essere stato eletto, l’altro candidato a guidare il governo senza le elezioni. Non a caso l’Italia è l’unico Paese in cui si svolgano primarie senza le elezioni. Il fatto è che il Pd non ha mai sciolto un dilemma fondamentale: se debba diventare un partito coalizione, sul modello dei Democratici americani, o se debba rappresentare un partito con una sua precisa identità. Il primo modello si accorda con l’idea di un sistema politico in cui il bipolarismo si fa sempre più stringente. Ma il problema è che l’evoluzione del sistema politico non è andata in tale direzione.
La Repubblica scrive che Letta “vuole un anno di armistizio”: secondo il quotidiano il Presidente del Consiglio è convinto che con Renzi vada avviata una collaborazione che tenga in piedi le larghe intese per tutto il 2014. Un patto di un anno, con l’impegno a ritrovarsi dopo 12 mesi per valutare chi ha più chances e organizzare, se necessario, un duello senza spargimenti di sangue. Il quotidiano parla anche del possibile futuro di Letta, che sarebbe proiettato sulla scena europea: la poltrona di presidente della Commissione Ue è prenotata dal socialdemocratici e presidente del Parlamento Ue Schulz, ma molto dipenderà dall’esito delle elezioni europee di primavera. Se le famiglie socialiste e popolare dovessero trovarsi in una situazione di stallo, potrebbero rivolgersi ad un candidato di compromesso e Letta sarebbe in cima alla lista. Un trasferimento diretto a Bruxelles eviterebbe il confronto con Renzi.
Sul Corriere della Sera: “Ma Renzi pensa che il premier punti a futuro in Europa”. Per questo quotidiano l’obiettivo sarebbe fare il Commissario Ue.
Legge di Stabilità
Il Corriere si occupa della legge di stabilità e riferisce le parole del Presidente del Consiglio Letta in materia di pensioni: “L’indicizzazione va portata fino al completamento”. Di fatto, scrive il quotidiano, è la benedizione all’intesa tra Pd e Pdl sul tema, cioè il ritorno alla indicizzazione al 100 per cento. Si tratta dell’adeguamento totale al costo della vita per gli assegni fino a 3000 euro lordi al mese (lasciando il blocco degli aumenti automatici solo per le pensioni che superano quella soglia). Il ddl stabilità va già in questa direzione, ma per il momento – scrive il Corriere – è più timido: reintroduce l’indicizzazione cancellata con il decreto Salva Italia per tutte le pensioni superiori ai 1500 euro al mese, ma solo per gradi (rivalutazione del 100 per 100 fino a 1500 euro, del 90 fino a 2000, del 75 fino a 2500, e del 50 fino a 3000). Per poi azzerarsi una volta superata la fatidica soglia. L’intesa Pd-Pdl, a questo punto con l’ok di Letta, prevede la rivalutazione completa per tutti gli assegni sotto i 3000 euro. Ma il punto è dove trovare le risorse. E qui la questione si complica. Il Pd propone di togliere qualcosa ai pensionati più ricchi, il Pdl vorrebbe prendere i soldi da altre voci e conferma la proposta di rottamazione delle cartelle esattoriali e quella sull’aumento sulla tassazione delle rendite finanziarie.
Su La Stampa: “Le pensioni d’oro costano 45 miliardi”, “meno di un milione di italiani (il 5 per cento) ritirati dal lavoro guadagnano quasi quanto i 7,3 milioni più poveri”.
La Repubblica parla di “fuochi incrociati” sulla legge di Stabilità e sugli oltre 3000 emendamenti che incombono sul dibattito in Aula: si parte con la settimana di scioperi messi in cantiere da Cgil, Cisl e Uil e – passando per i malumori di imprese e banche – si arriva allo scontro politico tra Pd e Pdl sulla proposta di mettere in vendita anche le spiagge. Il segretario Pd Epifani dice che la legge di Stabilità “va nella direzione giusta, ma bisogna migliorarla, serve un’anima”, “manca la parola investimenti, sia pubblici che privati e, nei limiti del possibile, bisogna abbassare le tasse su lavoro e imprese”. E sullo stesso quotidiano: “L’Europa blinda la manovra, ‘promossa, non va più cambiata’. Dalla Commissione Ue ok a tre miliardi di investimenti extra”. Il quotidiano parla della soddisfazione del Presidente del Consiglio nel ricevere notizie di una imminente promozione da parte della Commissione Ue, che arriverà ufficialmente venerdì: è la prima volta che Bruxelles, in virtù delle nuove regole del Two Pack, si pronuncia ex ante sulle manovre scritte dai governi dell’eurozona.
Su L’Unità la segretaria Cgil Susanna Camusso ricorda come non accadesse da tempo che i sindacati organizzassero, per tutta la settimana, in più di 100 città italiane, scioperi e manifestazioni unitarie: “I sindacati non sono interessati a piccoli aggiustamenti delle voci di spesa a difesa di questo o quell’interesse particolare. Abbiamo più volte detto che serve una virata netta, perché la legge di stabilità corrisponda agli obiettivi dichiarati quotidianamente dal governo, e quotidianamente disattesi. Se la legge di stabilità 2014 deve svolgere una funzione anticiclica di ripresa economica, è prima di tutto aumentare le entrate e i risparmi possibili”.
Oltre a contestare l’intenzione del centrodestra di mantenere una parte della pressione fiscale sul lavoro dipendente e le imprese, oltre alla necessità di far pagare i redditi improduttivi, la Camusso si dice preoccupata dalla volontà, periodicamente riaffermata, di privatizzare le imprese produttive o di servizio o i beni demaniali. Vendere o svendere le partecipazioni pubbliche nelle grandi imprese impedisce di realizzare quelle politiche industriali che il governo stesso dice di voler realizzare. La svendita delle aziende di servizio pubblico produrrà aumento di tariffe, la privatizzazione delle spiagge porterà allo sfruttamento selvaggio delle coste italiane, già impoverite dall’abusivismo edilizio e dalla incuria manutentiva”
Al tema delle spiagge è dedicato un altro articolo de L’Unità, che riferiva come da Palazzo Chigi si sia tentato di gettare acqua sul fuoco, nel momento in cui dilagava la notizia di cedere le spiagge ai privati. Il Pdl precisava che si tratta di dare in concessione e vendere le aree su cui già esistono fabbricati. Ma polemicamente L’Unità scrive che non c’è differenza tra una vendita e una concessione in eterno. Sul Corriere della Sera una pagina mette a confronto l’opinione di Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl (“che errore svendere le aziende pubbliche: sono i nostri gioielli. Bisogna colpire le rendite finanziarie e ridurre l’esercito dei dirigenti statali”) e quella dei due economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, che hanno aperto e suscitata il dibattito qualche giorno fa, con un commento favorevole alle privatizzazioni (“La verità è un’altra: non portano ricchezza, anzi la ostacolano. La forza di un Paese è nella produttività. E non nasce tra imprenditori protetti”). I due economisti parlano di un modello positivo introdotto da Giuliano Amato, prima da Ministro del Tesoro e poi da Presidente del Consiglio negli anni 90: avviò il processo per sottrarre le banche al controllo pubblico, creando i presupposti per la privatizzazione di Iri, Eni ed Ina. In tal modo ridusse il debito e restituì al mercato una parte dell’economia sottratta per cinquanta anni alla iniziativa privata.
Internazionale
Su tutti i quotidiani ampio spazio per il tifone che si è abbattuto sulle Filippine. La Stampa scrive che sono stati assaltati da bande armate i convogli della Croce Rossa e i pochi negozi. Prevalentemente si tratta di racconti di membri della comunità filippina presenti sul suolo europeo o di corrispondenze da Paesi vicini (Bangkok per La Stampa e La Repubblica, Pechino per il Corriere). Su La Stampa il climatologo Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica italiana, si diffonde sulle cause di questi cataclismi: “Il pianeta è più caldo, ma non per questo i tifoni uccidono di più”, “le cause sono spesso infrastrutture deboli ed allerta ignorati”. La previsione meteorologica del tifone è stata corretta, il 2 novembre sono stati diramati l’allerta e l’ordine di evacuazione. Tuttavia, a causa della traiettoria inusuale in una zona di solito protetta dalle montagne, i cittadini di Takloban, increduli, hanno sottovalutato e ignorato gli ordini governativi. Quanto alla domanda se il tifone Haiyan debba ascriversi o no al riscaldamento globale, per Mercalli è legittima ma mal posta: si tratta di fenomeni atmosferici rari da un punto di vista statistico, il loro è un campione piuttosto ridotto, e dunque non è possibile estrarre un segnale significativo di tendenza all’aumento di questi eventi meteorologici in relazione al riscaldamento globale.
Sulla stessa pagina si riferiscono le stime del governo filippino, secondo cui ogni stagione attiva dei tifoni, come quello in corso, toglie circa il 5 per cento al Pil di questo Paese.
Su La Repubblica: “Cicloni, tsunami e uragani, quei due gradi in più che sconvolgono il pianeta. Meno tifoni, ma sempre più violenti, e in Europa le oscillazioni saranno di sei gradi”.
“Per ora stop al negoziato sul nucleare di Teheran”, scrive L’Unità. Il giorno dopo il parziale fallimento dei colloqui nucleari tra Iran e potenze del 5+1 a Ginevra, il presidente iraniano Rohani ha detto: “La repubblica islamica dell’Iran non ha mai piegato né piegherà la testa a nessun potere”, “abbiamo detto alle controparti negoziali che pressioni e umiliazioni non sortiscono effetti”, “il diritto della nazione iraniana è la nostra linea rossa, l’interesse nazionale è la nostra linea rossa, i diritti includono i diritti nucleari nel quadro della legge nazionale come l’arricchimento dell’uranio”. Scrive Umberto De Giovannangeli che il timer è stato spostato di dieci giorni: il 20 novembre si gioca il secondo tempo di una partita che ha la doppia posta in gioco di una chiusura positiva del dossier nucleare iraniano e di una ridefinizione dei nuovi equilibri di potenza nel grande Medio Oriente. L’interesse di Teheran è quello di ritornare al centro della diplomazia mediorientale come soggetto stabilizzatore, cui aggiungere la possibilità di un allentamento delle sanzioni che permetterebbe al “moderato” Rohani di immettere nuovo ossigeno – 50 miliardi di dollari – nella sofferente economia del Paese. Interesse di Obama è quello di chiudere, dopo l’Afghanistan, un altro fronte caldo per l’America: quello iraniano.
Sul Corriere: “La Francia ‘neocon’ che spiazza il mondo”. Dove si legge che il ministro degli esteri Fabius è giudicato il maggior responsabile della mancata intesa a Ginevra con Teheran. “Dall’Africa alla Siria all’Iran, Parigi scavalca Washington come gendarme d’occidente”.
Su La Stampa Roberto Toscano firma una analisi di analogo tenore dal titolo “Le pericolose ambizioni della Francia”, dedicato proprio al caso Iran.