Il Corriere della Sera: “Effetto banche, la Borsa perde il 3,49%. Pesano i dubbi sull’accordo di Bruxelles”.
Massimo Gaggi firma l’intervista con Robert Reich, l’economista che fu Ministro del Lavoro con Bill Clinton: “’Usa, recessione possibile’”.
Oggi il presidente del Consiglio incontrerà la cancelliera tedesca e il quotidiano pubblica un intervento di Enzo Moavero Milanesi: “Tra Renzi e Merkel vinca la concretezza”.
A centro pagina: “Migranti, espulsioni di massa”, “I piani di Svezia, Finlandia e Olanda. Naufragio nell’Egeo, 10 bimbi morti”, “Stoccolma: via 80mila senza diritto d’asilo. Amsterdam pensa a traghetti verso la Turchia”.
La fotonotizia è per l’inaugurazione dell’anno giudiziario ieri in Cassazione: “I giudici riaprono lo scontro sul reato di clandestinità”.
Sulla politica italiana e “il rimpasto”: “Il sì ad Alfano: a Ncd il ministro per la Famiglia”. Si tratta di Enrico Costa, che sarà ministro agli Affari regionali con delega alla Famiglia.
Di spalla a destra i disegno di legge sul lavoro autonomo varato ieri dal Consiglio dei Ministri. Se ne occupa Dario Di Vico: “Un segnale di attenzione (e di modernità) per il ceto medio.
In apertura a sinistra l’editoriale di Sergio Rizzo su “Regole e labirinti”: “I burocrati che salvano se stessi”.
A fondo pagina: “I ragazzi Erasmus, italiani da premio”, “La metà riceve un’offerta di lavoro all’estero dopo gli stage. ‘Ben preparati nei licei’”. Di Beppe Severgnini.
La Repubblica: “Le banche affondano la Borsa: -3,5%”, “Non convince il piano del Tesoro. Viola (Mps): ‘Noi siamo solidi’”.
In grande evidenza la foto di un gruppo di bambini siriani all’esterno di un Ufficio per l’immigrazione in Svezia: “Migranti, linea dura di Stoccolma: ‘Ottantamila via dalla Svezia’”.
“Chi siamo veramente” è il titolo del commento di Lucio Caracciolo sulla crisi migratoria.
In prima anche l’allarme di ieri in Francia: “Paura a Parigi, nella valigia pistola e Corano, fermato in hotel a Eurodisney”.
Sulle nomine al governo: “Governo, il rimpasto premia Ncd. Congelata la nomina di Carrai”, “Torna Gentile dopo lo scandalo in Calabria”.
Sulle primarie a Milano: “La scelta di Pisapia: ‘Io voterò per la Balzani’. Sala: ‘Non è milanese’”.
A fondo pagina: “Fisco, Ue contro Google e Apple”, “Arrivano norme antievasione. Orlandi: l’Italia non fa sconti”. Ne scrive Federico Rampini.
Sulla riforma del lavoro: “Autonomi, si cambia, scrivania a casa e per gli autonomi tutele su malattia e maternità”, “Nasce in azienda il posto ‘elastico’”.
Sulla colonna a destra, “R2/La copertina”: “A scuola di genitori, il mestiere più difficile”, “Boom di lezioni in Italia per imparare a educare i figli adolescenti”. Di Massimo Recalcati.
La Stampa apre con un’intervista al ministro degli Esteri: “Gentiloni: ‘Europa a due velocità’”, “Intervista al ministro degli Esteri: ripartiamo dai sei Paesi fondatori. La manovra in deficit preoccupa Bruxelles”, “Renzi, oggi da Merkel, prepara la battaglia all’Ue con i suggerimenti di Napolitano”.
E l’editoriale di Gian Enrico Rusconi: “Un nucleo forte per creare una strategia”.
Poi il reportage dalla Svezia di Monica Perosino: “Reportage dalla Svezia degli 80mila rimpatri”, “’Troppi migranti, abbiamo paura’”.
A centro pagina, con foto di magistrati donne: “I numeri: la Giustizia è femmina”, “Magistratura, uomini superati a 50 anni dal primo concorso per entrambi i sessi”.
E sulle misure varate ieri dal governo: “Jobs Act per partite Ive e un piano anti povertà”, “Malattia e maternità anche per gli autonomi”, “Cinema, un fondo da 400 milioni”.
Sul rimpasto: “Costa ministro, aumenta il peso dei centristi”, “Il Cdm ha nominato 12 fra viceministri e sottosegretari: torna al governo Gentile, che si era dimesso nel 2014”.
Sulla manifestazione di ieri a Milano con Salvini e la Le Pen: “Sulle ceneri della Lega nasce il lepenismo”, scrive Ugo Magri.
Sull’allarme di Parigi ieri: “Panico a EuroDisney, fermato un uomo armato e con il Corano”, “In valigia aveva il testo sacro dell’Islam, due pistole e un caricatore. ‘Mi servivano solo per difendermi’. Incensurato, era con la fidanzata, ora in fuga. La polizia francese segue la pista terroristica”.
Il Fatto, con foto del ministro dell’Economia Padoan: “La bad bank di Padoan funziona: crollano le banche”, “Per il secondo giorno sprofondano i titoli a Piazza Affari: gli investitori sono scettici sul sistema di garanzie pubbliche del governo per risolvere il problema dei crediti in sofferenza. L’unica alternativa rimasta è quella di integrare chi è in difficoltà. E tutto ruota introno all’istituto di Victor Massiah, ultimo pupillo di Bankitalia”, “Sofferenze. E’ già scattato il piano B: fusione con Ubi per salvare Mps”.
Più in basso e in maggior evidenza: “Con il Decreto Trasparenza tutto sarà segreto di Stato”, “Miracolo Madia. Dagli scontrini dei politici a Expo: documenti ‘blindati’”.
Sul rimpasto di governo: “Family Rimpasto: Ncd si prende 5 poltrone”, “Nel giorno in cui inizia il dibattito sulle unioni civili, Renzi imbarca un ‘pezzo’ di alfaniani. Costa è ministro per gli affari regionali con delega alla famiglia, Chiavaroli lo sostituisce alla Giustizia (con Migliore). Gentile va allo Sviluppo, Bianchi alla Cultura, Vicari ai Trasporti. Premiata anche Scelta Civica”.
Poi l’articolo di Antonio Padellaro sulle critiche al giornalista Massimo Giannini, conduttore di “Ballarò”: “Ce l’hanno con ‘Ballarò’ per il sondaggio in picchiata”.
A questo tema è dedicato l’editoriale del direttore Marco Travaglio: “Smamma Rai”.
A fondo pagina: “Fu molestato da un prete: la Curia gli offre 250 euro”, “L’obolo in una busta bianca”. Di Ferruccio Sansa.
Sulle polemiche per le statue coperte, le polemiche sul Cerimoniale di Palazzo Chigi e il caso Rolex in occasione delle visite saudite, Il Fatto intervista l’interprete dell’incontro coi sauditi (“Ho perso tanti soldi e il lavoro per consegnare il Rolex di Riad”).
E poi: “Inchino Iran”, “Parigi ci irride: ‘Statue velate, ma perché’?” (la seconda tappa del presidente iraniano è stata la Francia, ndr.). Infine, il capitolo “Scaricabarile” sulle responsabilità delle coperture delle statue: il quotidiano intervista l’ex ministro Scajola (“io, re dell”a mia insaputa?’. Non sapevo nulla”).
Svezia
Corriere della Sera, pagina 2: “La Svezia prepara 80 mila rimpatri. Naufragio nell’Egeo: 10 bambini morti”. Il ministro dell’Interno svedese Ygeman ha fatto sapere che prevede un rimpatrio di massa: 60 mila richiedenti asilo la cui domanda non è stata ritenuta ammissibile, “ma la cifra -ha aggiunto” potrebbe arrivare fino a 80 mila”. “E’ il segno -scrive Alessandra Coppola- di una crescente difficoltà per il governo socialdemocratico svedese. Il Paese, che conta meno di 10 milioni di abitanti, solo nel 2015 ha accolto 163mila richiedenti asilo. La media delle domande di protezione internazionale bocciate, ha sottolineato il ministro, è del 45%, per cui è legittimo attendersi oltre 70 mila dinieghi. L’apertura ai dissidenti politici o ai profughi di guerra è nel dna della sinistra scandinava, Stoccolma conta decenni di politiche di aiuto, impostate dallo storico premier Olof Palme. Dai cileni perseguitati da Pinochet ai rifugiati del conflitto nella ex Jugoslavia. L’arrivo in questi ultimi anni di centinaia di migliaia di profughi dalla Siria, dall’Iraq, dall’Eritrea, sta mettendo a dura prova un sistema finora rodato ed efficiente. L’uccisione della giocane impiegata Alexandra Mezher, accoltellata martedì da un ragazzino straniero in un centro per minori non accompagnati a Goteborg, ha esasperato le polemiche”. A pagina 3 il reportage proprio da Goteborg, di Marco Imarisio: “Goteborg, un ghetto in paradiso”, “Il sistema di welfare e accoglienza è un modello vecchio di trent’anni che produce nuove esclusioni”. Scrive Imarisio: “E’ come se ci fossero due Goteborg. La città da cartolina appartiene ai ‘biondi’ e ai turisti. L’altra, invisibile agli occhi di chi arriva da fuori è fatta dai quartieri degli immigrati che si chiamano Hammarkullen, Angered, Biskopsgarden, Bergsjon, per i quali è stato coniato da anni un termine che li raggruppa tutti, e che tradotto in italiano suona come ‘aree di esclusione’”. E il cronista intervista Sven-Ake Lingre, professore di sociologua all’università locale: parla di una generazione di “perdenti cronici e radicalizzati” che vedono da vicino un modello di vita agiata al quale sentono di non poter arrivare. Dice: “all’estero continuate ad ammirarlo, ma il nostro sistema di welfare e di accoglienza è vecchio di oltre trent’anni e produce ghetti suburbani dei quali non importa nulla a nessuno, basta che siano lontani dagli occhi degli altri residenti”. La più ricca città del regno scandinavo, scrive Imarisio, è un buon punto di osservazione per avere la misura di un fallimento. Dal 2013 ad oggi sono partite per la Siria oltre 120 persone, su una popolazione di circa mezzo milione di abitanti, duecentomila dei quali svedesi di prima o seconda generazione, “un numero che è valso a Goteborg il poco ambito titolo di capitale europea dei foreign fighters”.
Da La Stampa segnaliamo il reportage di Monica Perosino da Stoccolma. Che inizia con le parole di una 34enne libanese che lavora in un supermercato nell’estrema periferia della capitale: “Sono qui da 11 anni. E mai, prima di ora ho avuto paura. Adesso sì. Perché siamo noi e loro”. “Quando dice ‘loro’ volta la testa, guarda la biondissima Mia, sua collega del turno di notte da 5 anni. ‘Svedese da generazioni’, dice Mia. E aggiunge: ‘Abbiamo tutti paura, tutti noi e loro. Qualcosa in Svezia si è rotto’”. Il segno del cambiamento -scrive Perosino- del rischio di rottura di quel rodato ed efficace sistema di accoglienza che ha reso la Svezia famosa in tutto il mondo, si era manifestato in modo chiaro con un voto, quello delle elezioni dell’ottobre 2014, che aveva portato gli svedesi democratici, partito xenofobo di ultra destra, a diventare la terza forza politica del Paese. Avevano vinto con una promessa: “Svezia agli svedesi, fuori gli immigrati”. Poco più di u anno dopo è il governo socialdemocratico che “con mezzi dolorosi, ma necessari” (citazione del governo), sta cercando di fermare l’enorme flusso di richiedenti asilo nel Paese, il primo per numero di rifugiati pro capite in Europa. Il premier Lofven aveva resistito fino all’ultimo alla chiusura delle frontiere auspicate dalla destra radicale, ma la Svezia, che dal 2013 garantisce asilo e residenza a tutti i siriani, che offre lavoro, sussidi e una casa a circa 110 mila profughi all’anno, ha infine alzato bandiera bianca. Alla sospensione di Schengen sono seguite vaste operazioni di polizia per controllare chi avesse i requisiti necessari per stare nel Paese e alla fine, mercoledì, è arrivato l’annuncio del ministro degli Interni.
Su La Repubblica a pagina 2: “Linea dura della Svezia, ‘Saranno espulsi ottantamila profughi’”, “Anche Olanda e Finlandia limitano gli ingressi dei migranti. Naufragi nel mediterraneo: 30 morti, fra cui 10 bambini”. E il quotidiano intervista lo scrittore svedese Bjorg Larsson, che dice: “Ci scopriamo intolleranti come gli altri”, “La Svezia sta cambiando, il nostro sistema funziona ancora, ma crescono le disuguaglianze economiche. Dieci anni di governo di destra hanno diffuso individualismo ed egoismo, venduti come idea di libertà di scelta”. E’ la paura a generare l’intolleranza nei confronti dei migranti? “In parte. Ma c’è un problema di strategia: il governo ha dapprima scelto la politica dell’accoglienza, per scoprire poi che 160mila profughi in un Paese di 10 milioni di persone possono diventare un problema. Troppo tardi, direi”.
Su La Repubblica l’analisi di Lucio Caracciolo: “la crisi migratoria rivela chi siamo veramente”. “La pulsione xenofoba -scrive- particolarmente diffusa tra Mar Baltico e Mar Nero -la fascia continentale più sfidata da imponenti flussi migratori- investe persino le due maggiori democrazie continentali: Francia e Germania. A Parigi, un governo di sinistra, nel finora malriuscito tentativo di sottrarre consensi al Fronte Nazionale, si spinge a rivedere la Costituzione in senso securitario sull’onda emotiva delle stragi del 13 novembre. Le dimissioni del ministro della Giustizia Christiane Taubira -contro la proposta revoca della nazionalità ai cittadini con doppio passaporto, nati in Francia e colpevoli di terrorismo- sono un’eccezione che non modificherà la regola. A Berlino, dopo i fatti di Colonia, i sondaggi danno Alternativa per la Germania ben oltre il 10 per cento: nel prossimo Bundestag avremo per la prima volta dopo la fine della Seconda guerra mondiale una forte destra ipernazionalista e antieuropea”. In tutta Europa “vige ormai la prassi dello scaricamigrante, secondo una rigorosa direttrice Nord-Sud”. Nelle prossime ore, poi, il clima è destinato a peggiorare, per via della nuova spedizione militare franco-britannica-americana, con qualche partecipazione italiana, “in quel che resta della Libia”, con l’obiettivo di sradicare l’Is, che non aspetta di meglio per ostentarsi campione della resistenza libica contro i “crociati” e scatenare “le sue cellule europee contro gli ‘invasori’. Gettando nuova benzina sul fuoco delle xenofobie nostrane”.
Le rotte dei migranti
Su La Repubblica, a pagina 3, il “Dossier” di Vladimiro Polchi., In Europa -scrive- scatta il risiko delle espulsioni. In una giungla di accordi, in cui ogni governo fa da sé. Paese che vai, regole che trovi. Un esempio? Se sei senegalese, dall’Italia non ti caccia nessuno: con il tuo Stato, infatti, non c’è “accordo di riammissione”. Nel Nord Europa, invece, la storia cambia: da qui verrai più facilmente allontanato. Espulsioni e sospensioni di Schengen rischiano così di trasformarsi in un mix esplosivo. Al Viminale lo sanno bene: la “chiusura” delle frontiere non fermerà l’ondata di profughi, ma ridisegnerà la mappa delle rotte. E tre Paesi avranno molto da perdere: Grecia, Spagna e Italia. Pochi i bilaterali firmati dall’Ue con i paesi d’origine: meno del 40% degli irregolari allontanati se ne va.
Sul Corriere a pagina 2: “In Italia più di metà dei migranti resta nonostante il divieto. Il piano studiato dal Viminale”. Si tratterebbe di far partire i migranti che non hanno diritto all’asilo con un charter a settimana con 50 persone a bordo. Ma -scrive Fiorenza Sarzanini- è un piano difficile da far rispettare, anche perché gli accordi bilaterali che consentono il rimpatrio sono stati siglati solo con 4 governi: Egitto, Tunisia, Marocco e Algeria.
Su La Stampa: “Per fermare gli arrivi dalla Turchia l’Olanda vuole redistribuirne 250mila”, scrive Marco Zatterin da Bruxelles. Il governo della coalizione che sostiene in Olanda il premier Rutte (che ha anche la presidenza semestrale dell’Ue) vorrebbe organizzare una redistribuzione di rifugiati già in Turchia, da 100 a 250 mila, in cambio della possibilità di rispedire sulle coste anatoliche tutti gli altri che arrivano. Ma -sottolinea Zatterin- la Commissione Ue è chiara: il quadro giuridico non permette di respingere chi ha diritto alla protezione internazionale. La proposta è stata annunciata dal leader del partito socialdemocratico olandese (Pvda) Diederik Samson, secondo il quale Rutte sarebbe d’accordo.
Europa a due velocità?
La Stampa intervista il nostro ministro degli Esteri Gentiloni: “Europa a due velocità? Possibile, ripartiamo dai sei Paesi fondatori”, “Gentiloni: sui migranti basta annunci, azione comune”. Chiede Francesca Schianchi: cosa pensa dell’annuncio di voli speciali svedesi per rimpatriare 80mila migranti? “I rimpatri devono far parte di un’azione comune europea e non di annunci a effetto”. E che impressione le fa la norma danese sul prelievo dei migranti? “E’ qualcosa che, sul piano culturale, l’Europa non dovrebbe mai vedere. Come far pagare l’Ici ai senza tetto”. Rischiamo la fine di Schengen? “Spero di no”, “Non possiamo proseguire con le regole di Dublino che scaricano sui Paesi di primo arrivo asilo o respingimento dei migranti. Servono un diritto di asilo europeo, un’azione di rimpatrio europea, una polizia di frontiera europea. Senza questo scatto, la conclusione rischia di essere il sacrificio della libera circolazione delle persone”. La soluzione alla crisi europea potrebbe essere l’ipotesi di un’Europa a due velocità? Risponde Gentiloni: “Qualche settimana fa ho scritto un articolo con il ministro degli Esteri inglese: la definizione di Europa a due velocità non è la migliore, ma è giusto discutere di livelli di integrazione diversa. C’è chi, come l’Italia, vuole un’unione bancaria, fiscale e politica crescente. E chi, come il Regno Unito, vuole solo un mercato comune più efficiente. Due visioni che devono e possono convivere”. In che modo? “Cominceremo a parlarne a Roma, in un incontro tra ministri degli Esteri dei sei Paesi fondatori a sessant’anni dai trattati istitutivi”. Sull’incontro di oggi tra Renzi e Merkel: “Una cosa è certa: Italia e Germania dono protagonisti della scena europea, hanno differenze sulle regole economiche ma possono lavorare a una visione comune sul futuro dell’Europa”.
In prima l’editoriale di Gian Enrico Rusconi fa riferimento alla rottura di un “tabù verbale” del ministro Gentiloni su un’Europa a due velocità: “non so se la pensa così anche Matteo Renzi -scrive Rusconi- In questo caso dovrebbe cogliere l’occasione della visita a Berlino per sondare la cancelliera Merkel. Ovviamente non ci aspettiamo nessuna dichiarazione ufficiale”.
A pagina 3: “Renzi affronta la battaglia contro Angela Merkel con i consigli di Napolitano”, “Oggi l’incontro con la Cancelliera su conti e Schengen. L’Europa non teme le sfuriate ma l’incertezza sul deficit”, scrive Fabio Martini. Che ricorda come tanto a Berlino che a Bruxelles non sia piaciuta la Legge di Stabilità costruita in deficit, con cui Roma ha chiesto l’applicazione di quattro clausole di flessibilità. E lasciano perplessi anche le richieste sulle spese anti-terrorismo e l’indifferenza di Roma per un debito pubblico che viaggia oltre il 130% del Pil.
Sul Corriere: “Renzi-Merkel, il faccia a faccia”. Visto dall’Italia: “La linea del premier: far valere il nuovo peso del’Italia in Europa (di Maria Teresa Meli). Visto dalla Germania: “La cancelliera proporrà un’Unione ristretta riservata ai ‘volenterosi’. Di Danilo Taino. Che scrive: “Le divisioni in Europa, oprattutto le chiusure di molti Paesi sui rifugiati, quelli dell’Est in testa ma non solo, e la prospettiva del referendum britannico sul rimanere nella Ue, stanno convincendo la politica tedesca che l’Europa a più velocità è possibile, che qualche forma di ‘coalizione dei volenterosi’ creerà il nucleo centrale di un’Unione diversa. La nuova Merkel chiederà a Renzi che l’Italia sia parte di questo nocciolo impegnativo”.
La Repubblica intervista Etienne Davignon, ex numero due di Jacques Delors: “Un nuovo patto per non morire, l’Europa così com’è non funziona più”, “Si è introdotto il concetto che la Ue potrebbe non sopravvivere: non ci si può stupire se oggi la gente ci crede”.
Lepenisti
Su La Stampa due intere pagine dedicate alla convention ieri a Milano del gruppo “Europa delle Nazioni e della Libertà” (ENF) con Marine Le Pen e Matteo Salvini: “La destra anti-Ue riunita a Milano. Le Pen: ‘Schengen è finito’”, “Salvini accoglie gli alleati di Bruxelles: ‘Siamo l’internazionale della gente normale’”. E Marco Zatterin descrive i protagonisti dei partiti, “Quei leader che vogliono le frontiere chiuse”. Heinz-Christina Strache, Austria, Fpo, “l’erede austriaco di Haider che difende solo il kebab” (per contestare le accuse di xenofobia); Toma Van Grieken, Belgio, Vlaams Belang, “il trentenne fiammingo che vuole dividere il Belgio”; Marcel De Graaf, Paesi bassi, Vvvd, “il braccio destro di Wilders, ‘Niente soldi ad Ankara’”; Michal Marusik, Polonia, Nkp, “l’ultra-liberista anti-gay, ‘L’Europa è una malattia’2; Janice Atkinson, Uk, indipendente, “la londinese rimasta sola dopo la cacciata dallo Ukip”; Tomio Okamura, Repubblica ceca, Spd, “l’imprenditore nato a Tokio che vuole cacciare gli stranieri” ; Laurentiu Rebega, Romania, indipendente, “l’ex membro dei socialisti, ‘Distinguiamo romeni e Rom’”.
E il reportage di Alberto Mattioli a Milano: “La platea nemica dell’euro e dell’Unione che sogna di cacciare gli immigrati”, “i leghisti hanno superato la distinzione destra-sinistra. Ma vogliono ancora la Padania”.
A questo tema è dedicata l’analisi in prima di Ugo Magri: “Sulle ceneri della Lega nasce il lepenismo”: 2da ieri il ‘lepenismo’ ce l’abbiamo in casa. La Lega si propone come ‘dépendance’ italiana del Front National francese”, “da tempo Salvini ha chiuso in soffitta, insieme con i poster del Senatùr, pure l’indipendenza del Nord”.
Usa
Sul Corriere, a pagina 9, intervista a Robert Reich, che è stato ministro del Lavoro di Bill Clinton. Dice: “Non contate sul traino Usa. Troppi squilibri nel capitalismo e noi rischiamo la recessione”, “qui il ceto medio guarda ai campioni dell’antipolitica”, “il reddito medio degli americani, al netto dell’inflazione, è sceso rispetto al 2000. Lo scontento è lo stesso nel campo democratico e repubblicano”, “Il rallentamento ci sarà di certo. Dietro i 300 mila posti in più registrati a dicembre c’è la realtà di mestieri sicuri ad alto reddito che spariscono”.
Sul Corriere, a pagina 16, la riproduzione dell’intervista di Tim Dickinson a Bernie Sanders, il senatore del Vermont candidato delle primarie democratiche che si autodefinisce “democratico socialista”. Dice: “Hillary? E’ la vecchia politica. Con me meno tasse e più diritti”, “è necessario che milioni di persone scendano in campo chiedendo che il governo rappresenti tutti i cittadini non solo l’1%”.
Su La Repubblica: “L’attacco di Obama: ‘Putin corrotto’”, “La Casa Bianca rilancia le accuse fatte al presidente russo da un funzionario del Tesoro Usa in un’intervista. ‘E’ la linea dell’Amministrazione’. E le relazioni tra le due superpotenze tornano al minimo storico”, scrive Federico Rampini.