Il Corriere della Sera: “‘Non crescete, conti a rischio’. La Bce sferza l’Italia. Draghi: riforme per gli investimenti”. “La proposta del ministro dell’Economia Padoan: un piano in tre punti contro la crisi”.
L’editoriale è firmato da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi: “Promesse finite, il tempo scade”. “Renzi alla prova della verità”.
In alto l’inchiesta su Eni: “I Pm: ‘Scaroni e Descalzi hanno diretto la corruzione’. L’accusa: i 215 milioni sequestrati erano ‘diretti anche ai manager'”. Sergio Rizzo commenta “il coraggio mancato in quelle nomine”, in riferimento alle scelte del governo sui vertici delle compagnie pubbliche.
A centro pagina, oltre alla storia dell’orsa in Trentino, la lotta al terrorismo: “Un fronte contro l’Isis. Dieci Paesi arabi con gli Usa”. “Siria, Iran e Russia: è un’aggressione”.
La Repubblica: “Draghi: ‘Investire o niente spesa’. Rivolta sulla Sanità”, “Allarme Bce sui conti italiani: fate come la Spagna”, “Le Regioni contro i tagli, il premier: basta sprechi”, “Riforma lavoro, contratti di solidarietà per assumere”.
In grande evidenza la foto del presidente Usa con a fianco la moglie Michelle, alla commemorazione dell’11 settembre: “Obama attacca l’Is, gli arabi con lui. L’Europa si divide sui raid in Siria”.
A centro pagina, “Atlante politico” di Ilvo Diamanti: “Il Pd resta al 41%. Renzi perde punti”.
La colonna di destra rimanda all’inserto R2 cultura, con l’intervento che Gustavo Zagrebelsky pronuncerà al Festival della Filosofia di Mantova: “Elogio della dignità, la virtù anti-barbarie”.
In taglio basso: “Muore Daniza, lacrime e polemiche”, “L’orsa del Trentino stroncata dai narcotici”.
La Stampa: “Sanità, allo studio i nuovi ticket”, “Meno esenzioni e legate al reddito con correzioni per le famiglie numerose”, “Consulta, altra fumata nera: Violante e Catricalà bocciati dai franchi tiratori”.
A centro pagina, grande foto di Daniza: “L’uccisione dell’orsa è un affare di Stato”, “Daniza è morta durante la cattura. Animalisti in rivolta, il ministro: la Provincia di Trento chiarisca”.
Sotto la testata: “La coalizione di Obama”, “Dieci Paesi arabi per la guerra all’Isis”.
E, con foto del presidente Putin: “Europa, da oggi sanzioni alla Russia”.
Il Fatto: “Bce: l’Italia sempre peggio. Ma Renzi pensa alle poltrone”, “Da Francoforte Draghi avverte il governo: con la crescita bassa i conti sono a rischio e il deficit può sforare il 3 per cento. Intanto a Palazzo Chigi sono finite le idee: licenziato Cottarelli, Matteo si dedica alle nomine (per i suoi) mentre scarica ai ministeri il compito di trovare i soldi che servono”.
In prima il richiamo ad un’intervista a Piercamillo Davigo, già pm del pool di Mani pulite ed ora giudice di Cassazione: “’Riforme inutili, gride (sic) manzoniane. Il sistema premia chi viola la legge’, ‘Invece di occuparsi delle nostre ferie, ignorando che ci servono anche per scrivere sentenze, l’esecutivo dovrebbe scoraggiare i colpevoli dal resistere in giudizio con appelli pretestuosi, sfidando la lobby degli avvocati’”.
In taglio basso, l’affaire Nigeria: “Eni: grossi guai per Descalzi, l’Ad del premier”.
Il Sole 24 Ore: “Draghi: investire per crescere. Bce: crisi dell’Italia peggiore del previsto, a rischio il 2,6 per cento di deficit”. “Il Presidente di Eurotower: meno ostacoli alle imprese, professioni da riformare. Padoan: nella Ue pochi sforzi per la ripresa”.
A centro pagina: “Eni in Nigeria, il nodo bonifici e il mistero del conto svizzero”. “Indagati Descalzi e Scaroni. L’azienda: nessun illecito”.
Sulla politica economica: “Tagli alla Sanità, dalle Regioni un muro di no.
Il Giornale: “Ci tolgono altri soldi. Mentre la Bce lancia l’allarme sulla ripresa che non arriva, la Ue vara nuove sanzioni anti-Russia. L’Italia aderisce e così taglia le gambe alle aziende. Tessile e ortofrutta, ci rimettiamo un miliardo”.
E poi: “Il governo paga i debiti delle imprese ma la burocrazia blocca tutto”.
Di spalla: “I pm contro l’Eni, così si fa a pezzi l’industria italiana”.
A centro pagina “l’orsa uccisa dalla idiozia umana” e poi “il primo poliziotto con la tbc”, uno “scoop di Virus che smentisce i buonisti” perché l’agente sarebbe stato contagiato durante gli sbarchi dei clandestini.
Bce, Europa, conti
“Se l’Europa rischia la resa dei conti” è il titolo dell’editoriale del Sole 24 Ore, firmato da Carlo Bastasin, che scrive di un “inizio” per l’Europa che “non promette molto di buono, dalla Francia che ha annunciato “lo sfondamento dei conti, senza però presentare il dettaglio del bilancio che sarà noto solo tra un mese” alla dura reazione tedesca, alla difficile posizione italiana, a quella del Presidente della Bce Draghi. Bastasin scrive che l’Europa deve tornare concentrarsi sui “tre motori – domanda, riforme, investimenti” per ripartire, e che questo progetto “è realizzabile all’interno del Patto di stabilità”. E tocca a Juncker e alla nuova Commissione lavorare su questo.
Sullo stesso quotidiano ci si occupa del discorso pronunciato da Mario Draghi ieri a Milano : “Non ci sarà ripresa sostenibile nell’Eurozona senza una ripresa degli investimenti”. Secondo il Presidente della Bce serve “una combinazione di politiche monetarie, di bilancio e strutturali, che ‘si rafforzino a vicenda’, per far ripartire l’economia dell’area euro, secondo il copione svelato il mese scorso a Jackson Hole, quello che l’economista Nouriel Roubini ha definito ‘Draghinomics’. Ma il tema dell’acquisto diretto di titoli pubblici continua ad essere difficile: la Bce è “riluttante”. Per la Bce sono i governi che possono fare la differenza, “anche con una politica di bilancio favorevole alla crescita: trovare, nel contesto delle regole esistenti del Patto di stabilità, lo spazio per sostenere gli investimenti produttivi e conseguire una composizione delle politiche di bilancio più favorevole alla crescita, riducendo l’onere fiscale e la spesa corrente improduttiva”.
La Repubblica, pagina 6: “Appello Bce all’Italia, ‘Obiettivi a rischio, rafforzate la manovra. Spagna esempio da seguire’”, “Draghi: siamo pronti a intervenire ulteriormente, ma non basta. Visco: da quelle misure 0,5% in più di Pil. Btp, tassi ai minimi”. E si riferiscono le parole del presidente della Bce: Servono più investimenti, la Bce è pronta a intervenire ulteriormente, ma non può essere solo Francoforte a rilanciare la crescita”, “soltanto se le politiche strutturali, di bilancio e monetarie procedono di pari passo, l’area dell’euro assisterà al recupero degli investimenti”. E, invitando a seguire l’esempio spagnolo: “Si prevede che la Spagna registri una ripresa degli investimenti vigorosa nei prossimi due anni per le riforme favorevoli alle imprese e la riduzione delle imposte sui redditi delle persone fisiche e delle società”. In mattinata era stato diffuso il bollettino semestrale della Bce, dove, in riferimento all’Italia, si leggeva: “restano rischi sulle possibilità del governo di centrare l’obiettivo di un deficit pari al 2,6% del Pil nel 2014, soprattutto dopo che il quadro economico è risultato peggiore del previsto”. E gli esperti Bce, secondo il quotidiano, “raccomandano il via libera effettivo alle riforme strutturali, condizione indispensabile anche per far marciare il dibattito sulla flessibilità, assai caro al premier”. E il “retroscena” di Federico Fubini: “Il ritorno del rigore. Berlino a deficit zero accusa Roma e Parigi e chiede ancora austerità”. Si ricorda che al vertice dei banchieri centrali di Jackson Hole due settimane fa Draghi aveva lasciato intendere che la Germania poteva osare qualche investimento pubblico in più a sostegno della crescita, mentre i Paesi in deficit stringono la cinghia sui conti con effetti recessivi. Ma la risposta della Germania è molto probabilmente un “no”: la Germania continua a non spendere e a parcheggiare in titoli a rendimento zero un surplus negli scambi con il resto del mondo. Quindi “la campagna pubblica di Matteo Renzi in questi mesi per la ‘flessibilità’ contro l”austerità’ non è stata solo un fallimento. E’ stata anche controproducente. Non ha fatto che alimentare il sospetto già diffuso nei confronti dell’Italia”.
La Stampa riassume invece così le parole di Draghi: “Senza riforme niente investimenti”. Sembra quasi un’ultima chance -scrive Marco Zatterin – quella che Draghi fa calare sulla due giorni di vertice informale per i ministri economici europei che si apre stamane a Milano: “È il triangolo delle politiche virtuose che deve sostenere gli investimenti, attirare i soldi nell’economia che langue. Il flusso è calato del 20% dal 2008, il miglioramento è ‘lento’ e ‘non ci sarà ripresa sostenibile finché la situazione non cambia’”. Il “retroscena” alla pagina seguente sottolinea come, con il passare dei giorni, la strategia italiana, diverga sempre di più dalle richieste di Banca centrale europea e Commissione Ue: il ministro dell’Economia Padoan si dice “stupefatto” che l’Europa non abbia fatto nulla per fermare la stagnazione. “Keynesiano mai pentito, insiste nel chiedere ‘un cambio di approccio radicale’”, scrive il quotidiano.
Il Fatto: “Immobili tra rigore e crisi”, “La Bce di Draghi avverte: dovete fare subito qualcosa o sforate gli obiettivi di deficit. Ma il governo non sa dove tagliare. Visco: imprese strozzate dal credito troppo costoso”.
Europa quotidiano: “La Bce avverte che l’Italia, secondo le stime europee, ha un deficit strutturale dello 0,7% quando dovrebbe essere pari a 0,1%, mentre l’Italia ha concordato con Bruxelles di raggiungere il pareggio di bilancio in termini strutturali entro il 2015. Di qui l’invito a tagliare il deficit dello 0,6% nel biennio 2014-2015 per arrivare al pareggio almeno alla fine del prossimo anno. Se l’Italia era intenzionata a chiedere all’Ecofin di Milano più tempo per il pareggio del bilancio in vista della legge di stabilità in preparazione per il 2015, anche in cambio con il vasto piano di riforme messo in campo dal governo, il monito di Francoforte è chiarissimo sia per quest’anno che per l’anno prossimo riducendo al minimo la possibilità per Renzi-Padoan di far lievitare quest’anno al 2,8%-2,9% il rapporto deficit-Pil a causa delle avverse condizioni economiche”.
Sul Corriere gli economisti Alesina e Giavazzi scrivono che è difficile aspettardi di più dalla Bce e dalla politica monetaria europea, e che “ora tocca ai governi agire. Con il medesimo senso di urgenza che ha guidato le decisioni della Bce. Ma se non si troverà un accordo per un’azione coordinata, ciascun Paese dovrà agire da solo”. L’Italia – oltre a fare le riforme che richiedono tempo, come quelle dei 1000 giorni – deve “entro tre settimane – fare “una riduzione aggressiva delle imposte”, dei “tagli di spesa” da almeno 10 miliardi, e “affrontare” il tema della riforma del mercato del lavoro. Alesina e Giavazzi citano il precedente delle riforme Hartz del governo tedesco di Schroeder, che furono “l’inizio della riscossa tedesca”.
Tagli
“Si apre con la rivolta dei governatori il difficile autunno del governo Renzi” è il titolo del commento che Marcello Sorgi, su La Stampa, dedica alla rivolta dei governatori, capeggiata da Sergio Chiamparino, politicamente da sempre tra i più vicini a Renzi sul piano nazionale, “segna il fischio di inizio di una partita assai complicata per il governo: i venti miliardi di tagli alla spesa pubblica che servono per riequilibrare i conti e varare la legge di stabilità che dovrebbe consentire all’Italia di restare entro gli stretti limiti imposti dalle autorità europee”. Chiamparino ha ricordato che l’accordo di giugno per il 2015 e il 2016 verrebbe messo in discussione (si tratta delle risorse stanziate per il biennio con il “Patto per la Salute”., che il governo ipotizza di rivedere).
La Repubblica: “Governatori e sindacati contro i tagli alla Sanità. Il premier: tagli anti-sprechi”, “Centrali di acquisto di pagamenti con sconto e stop ai piccoli ospedali. Malumore dei ministri di spesa: 3% non è sostenibile”. E le parole del ministro della Salute Lorenzin: “Non risparmierò oltre i 40 milioni”. Con un’intervista al presidente della Regione Lazio Zingaretti: “I livelli di assistenza sono a rischio, saranno toccati i diritti dei cittadini”.
Su Mattino e Messaggero un commento di Oscar Giannino: “L’inefficienza dietro il totem della salute”, dove si ricorda tra l’altro che la Sanità “resta un sistema in cui i capi delle Asl sono uomini dei partiti politici” e dove “le forniture sanitarie continuano ad essere un mercato parallelo e opaco”.
Renzi
L’Atlante politico di Ilvo Diamanti su La Repubblica offre ai lettori un grafico, compilato con i dati del sondaggio Demos, in prima pagina, sul gradimento dei leader. Matteo Renzi, che a giugno di quest’anno raggiungeva il 74 per cento, a settembre scende al 60 per cento. Nello stesso periodo, Alfano è passato dal 25 al 34, Salvini dal 24 al 38, Berlusconi dal 22 al 27, Grillo dal 18 al 30. Alle pagine interne il sondaggio viene sintetizzato così: “Renzi ispira meno fiducia e perde 15 punti in tre mesi, il Pd resta al 41 per cento”, “Il PdR di Renzi non è più in grado di attrarre tutti i settori elettorali, è divenuto soggetto di centrosinistra, più di centro che di sinistra”, “Crisi e delusione le cause della flessione. Il leader ha privilegiato le riforme istituzionali, ma agli elettori interessano lavoro e fisco”.
Csm e Consulta
Sul Sole 24 Ore, Stefano Folli (“Il gioco dei veti incrociati”) si occupa dell’ennesima fumata nera nella elezione di due membri della Corte Costituzione. I candidati Violante e Catricalà non hanno avuto i voti necessari. Prova che l’accordo tra Renzi e Berlusconi non sarebbe così ferreo, sia perché “i gruppi parlamentari siano sempre meno propensi a seguire le indicazioni dall’alto”, cosa che renderebbe “impervio” il percorso di Renzi, sia perché forse “qualcuno nei palazzi che contano” non vuole realmente sostenere i due candidati.
Anche sul Corriere Giovanni Bianconi parla dei “veti”, in Parlamento e tra “politica” e magistratura, dopo la scelta di candidare anche Giovanni Legnini, sottosegretario del governo Renzi, come vicepresidente del Csm, cosa che “suona come un’imposizione” per i magistrati toghati. Ma anche all’interno dei partiti, perché – anche sulla elezione dei due giudici costituzionali – sia in Fi che nel Pd “le indicazioni del premier-segretario e del suo entourage sono arrivate all’ultimo momento utile, vissute come un’imposizione”.
“Il Legnini va storto ai manettari” è il titolo di un articolo su Il Foglio, in prima pagina, dove la scelta di “un garantista al Csm” sarebbe uno “schiaffo di Renzi al partito delle Procure”.
Eni
Sul Corriere della Sera, sulla vicenda Eni: “I Pm: Scaroni e Descalzi hanno diretto la corruzione. I 215 milioni sequestrati erano diretti anche ai manager” dell’Eni. Il quotidiano pubblica ampi stralci della rogatoria internazionale disvelate ora nel sequestro di soldi disposto dalla Soutwark Crown Court di Londra. Oltre ai big di Eni, nelle carte c’è anche il nome di Luigi Bisignani, che viene definito nell’articolo “molto influente su Scaroni”.
“Pagare gli intermediari è un reato soltanto da noi” è il titolo di una intervista su Il Giornale a Giuseppe Mazzei, presidente de “Il Chiostro”, associazione “per la trasparenza delle lobby” la “prima associazione di lobbisti italiani”. Dice che “una grande azienda ha tutto il diritto di esercitare la propria influenza sulle autorità pubbliche di un altro Paese per raggiungere i suoi obiettivi”. Ovviamente però bisogna vedere “se ci sono pagamenti di ritorno che vanno a vantaggio dei dirigenti dell’azienda. In quel caso il reato è evidente, punto”.
Isis
Mercoledì sera il presidente Obama ha parlato in diretta tv agli americani, per spiegare – scrive il corrispondente de La Stampa a New York Paolo Mastrolilli – la minaccia posta dall’Isis e la necessità di “distruggerlo”. Quindi ha illustrato la strategia in quattro punti che intende usare: allargare la campagna di raid aerei già in corso in Iraq anche alla Siria, per consentire alle forze locali di passare all’offensiva; aumentare il supporto “alle forze che combattono questi terroristi sul terreno” (per cui il Pentagono invierà altri 475 uomini in Iraq per aiutare le forze di Baghdad e i curdi); sul fronte siriano Obama chiederà al Congresso di stanziare 500 milioni di dollari per addestrare l’opposizione islamica moderata come il Free Syrian Army; potenziare poi l’assistenza umanitaria ai civili colpiti per togliere consenso all’Isis. “L’obiettivo politico – spiega Mastrolilli – è presentare l’operazione non come un’invasione degli americani – che infatti non daranno truppe di terra – ma come un regolamento di conti tra sunniti moderati ed estremisti. Obama non intende collaborare con il presidente siriano Assad perché i sunniti lo vedono come un nemico e non accetterebbero mai di combattere al suo fianco contro i sunniti dell’Isis.
Sulla stessa pagina, Maurizio Molinari dà conto del tour in Medio Oriente del segretario di Stato Usa: “Kerry conquista gli arabi. Dieci Paesi pronti a combattere il Califfo”, “Apertura di Riad, addestrerà i miliziani nelle sue basi”. A Gedda, Kerry ha quindi ottenuto di costruire il “motore” della coalizione militare che 40 nazioni di più continenti hanno promesso di sostenere. Il testo sottoscritto dai ministri di Arabia saudita Bahrein, Egitto, Emirati arabi uniti, Giordania, Iraq, Libano, Kuwait, Oman e Qatar recita: “Ci impegniamo a fermare i terroristi ed i loro finanziamenti”, così come a “partecipare sotto molti aspetti ad una coordinata campagna militare”. Anche la Turchia era presente ai lavori di Gedda, ma – scrive Molinari – pur condividendo il testo, non lo ha firmato perché si tratta di impegni bellici da condividere con i partner Nato.
La Repubblica: “Obama: ‘Ora raid a tappeto, colpiremo l’Is in Siria e in Iraq’. Nella coalizione 10 Paesi arabi”. Lo “scenario” tracciato da Federico Rampini descrive “il presidente riluttante” che ha deciso di cambiare strategia: ha evitato di pronunciare la parola “war” nel suo discorso alla nazione, ma questa sarà la sua guerra agli occhi del mondo. Prima c’era disinteresse, ora lo Stato islamico è un allarme nazionale. E il rischio per Barack era di apparire debole e ingenuo.
Il quotidiano intervista il presidente tunisino Moncef Marzouki, che dice: “Certo, un’azione armata è necessaria, ma non basta: il presidente Obama e i suoi alleati dovranno lavorare per far progredire la democrazia nei Paesi arabi, senza appoggiarsi a regimi autocratici”. Per Marzouki “nello spettro dell’islamismo politico l’Is è una forma di nazismo che utilizza elementi dell’islamismo senza essere Islam in nessun modo”.
La Stampa intervista il politologo liberal Michael Walzer: “Non è una crociata americana – dice – Serve una larga coalizione”, “Ma la risposta non può essere solamente militare”, “L’Islam è la fede che sembra più colpita da questo estremismo religioso, ma se guardiamo bene il problema è più ampio” e riguarda anche induismo, giudaismo, buddismo, per via della crescita di nazionalismo e intolleranza.
Il Corriere intervista Richard Haas, capo del Council on Foreign Relations, commentatore conteso dopo il discorso di Obama, chiamato dalla Casa Bianca insieme ad altri esperti per discutere il piano di lotta all’Isis. “Il Presidente si è convinto che quella dell’Isis è una minaccia strategica”, dice Haas ma “con gli attacchi dal cielo si può fare molto ma non tutto”, ed in Siria l’Occidente “non ha un referente sul terreno”, e non si può certo consentire che ad occupare il territorio eventualmente liberato sia il regime di Assad. Non resta che “armare le tribù curde e sunnite” in Siria oppure – “opzione peggiore ma forse inevitabile” – scendere a patti con Assad lasciandolo al potere nella parte di Paese occupata dagli alawiti. Quanto all’Iraq, Haas non è ottimista sul futuro governo: non sono ancora riusciti a nominare un ministro della Difesa, “temo che la stagione dei governi settari sciiti a Baghdad non sia affatto finita”.
“La vasta coalizione di Obama ha già crepe” è il titolo di un analisi sul Sole 24 Ore, dove si ricorda che la Turchia “si è già tirata fuori”, annunciando che parteciperà solo sul piano umanitario, anche perché 60 ostaggi turchi sono nelle mani dell’Isis. L’Arabia Saudita si offre di addestrare miliziani da schierare contro il Califfato ma anche contro Assad. E neppure l’Iran partecipa alla coalizione, nonostante siano proprio i pasdaran “i più agguerriti avversari dello Stato islamico”. Insomma, scrive Alberto Negri: “la realtà è che Obama non cambia di un centimetro la fallimentare politica americana in Medio Oriente, Siria e Iraq”.
Sul Giornale: “Obama in guerra contro l’Isis, ennesimo schiaffo a Mosca. La strategia anti-jihadisti annunciata alla Casa Bianca è piena di buchi. ‘Raid pure in Siria’. E Putin: ‘Saranno considerati una aggressione'”. Anche su Il Giornale si elencano alleati e non alleati della coalizione, si ricorda che “i turchi di Erdogan” davano “ospitalità” ai miliziani dell’Isis, e che a giugno “negarono” agli Usa il passaggio per tentare di liberare l’ostaggio Foley, e si ricorda che il Qatar è “sospettato di aver finanziato” al-Baghdadi.
E poi
Sul Corriere della Sera, Dario Di Vico racconta la vicenda di Alison Deighton, imprenditrice che non riesce a far nascere un “resort turistico da 70 milioni di euro in Puglia”. “Io non sono una speculatrice. Adoro l’Italia, adoro il Salento. Sono più interessata all’estetica che ai mattoni. A Nardò volevo solo fare qualcosa di bello da cui guadagnassero tutti…”. Ha già un albergo in Umbria, dove “mi hanno ascoltata”. In Puglia invece “non c’è solo la mancanza di certezze nell’iter burocratico, che per un imprenditore è la morte. Un’altra cosa frustrante è la mancanza di interesse. Come se un progetto di ecoturismo da 70 milioni non interessasse alla regione. I gruppi ambientalisti, a livello nazionale, l’hanno definito stellare”. “L’area era edificabile. L’abbiamo presa con l’idea di fare qualcosa che valorizzasse l’ambiente e attirasse una clientela alta, in modo da creare anche sviluppo, con una scuola di cucina, un centro legato a Slow Food Italia… Il Comune di Nardò era entusiasta. Poi è cambiata l’amministrazione, abbiamo perso gli interlocutori, ci siamo rivolti alla Regione, ci siamo impantanati”. Ora il progetto aspetta ricorsi e controricorsi. “Ho investito troppa passione per chiudere del tutto la porta. Ma quando l’incertezza si prolunga, per un investitore è meglio cambiare. Il mondo è grande”.