Il Corriere della Sera: “Spread ancora su, trema tutta l’Europa”.
Il Sole 24 Ore: “Borse sotto attacco, spread Btp-Bund a 516”.
Il Giornale cita un titolo di qualche mese fa del Sole 24 Ore: “Fate presto”.
La Repubblica: “Euro, sotto attacco Spagna e Italia. Anche la Germania nel mirino di Moody’s: Outlook ‘negativo’, peserà la crisi del debito. Mattinata drammatica sui mercati internazionali, poi leggera ripresa. Milano perde il 2,7 per cento. Berlino abbandona la Grecia. Obama: la Ue mantenga gli impegni”.
La Stampa: “Mercati choc, l’accusa di Monti. Il premier in Russia: troppe esitazioni sulle misure europee anti-crisi. Spread a 516 per l’Italia, 632 per la Spagna. Piazza Affari crolla, poi chiude a -2,7 per cento con lo stop delle vendite allo scoperto”.
Libero: “Lo spread ci porta al voto. Disastro mercati. Ma chi sostiene Monti punta a elezioni in autunno per rifilarcelo altri 5 anni”.
Il Fatto quotidiano: “Qui crolla tutto, di corsa verso le elezioni”.
Sulle prime pagine anche la foto di James Holmes, il responsabile della strage di Denver (“Lo sguardo perduto di Joker”, La Repubblica, Vittorio Zucconi).
Crisi
“L’arsenale della Bce può aiutare l’euro”, titola Il Sole 24 Ore con una corrispondenza da Francoforte dove si spiega che il riacutizzarsi della crisi dell’eurozona ha rinnovato le pressioni per interventi della Bce per stabilizzare i mercati. Il ministro degli esteri spagnolo Maragallo ha chiesto esplicitamente che la Bce acquisti titoli del debito pubblico spagnolo, i cui rendimenti a dieci anni hanno superato ieri il 7.,5. Molti osservatori di mercato sono convinti che, dati i tempi di intervento delle altre istituzioni europee, la Bce sia la sola a poter agire rapidamente.
Sul Corriere: “La Bce discute la svolta sul modello della Fed” americana: le ipotesi a Francoforte sarebbero quelle di stampare moneta ed acquistare bond per la stabilità dei prezzi”.
Ancora sul Sole 24 Ore un commento del professor Pierpaolo Benigno sottolinea: “Si dice che la Bce non si possa sostituire ai governi e ai cittadini europei per dare maggiore europea, se questi non la vogliono realmente, mettendo a repentaglio la propria reputazione, quella anti-inflazionistica”, ma la Bce “è già un cardine importante” della integrazione, perché legittimata da più di 300 milioni di europei che ancora accettano l’euro come moneta fiduciaria e che implicitamente hanno scelto ‘più Europa’ da tempo”. Insomma “alla fine sarà proprio l’euro a salvare l’Europa”.
La Repubblica intervista l’ex premier spagnolo socialista Felipe Gonzàles, le cui dichiarazioni sono così sintetizzate: “I guai sono aumentati con Zapatero, Spagna ed Ue rischiano la deriva”. Ma un passaggio è dedicato alle potenzialità di intervento della Bce: “Oggi la California è uno stato che non può pareggiare i suoi bilanci. Ma come finanzia il suo debito? Tramite la Federal Reserve, e a un tasso di interesse negativo. Ovviamente, dovranno fare una ristrutturazione seria, ma la Fed impedisce che la speculazione rovini la California”, dice Gonzàles. E aggiunge: “La Spagna ha delle cifre di deficit e di debito inferiori a quelle della Gran Bretagna, eppure la GB si finanzia tramite la Banca d’Inghilterra, con tassi di interesse molto bassi, mentre la Spagna si finanzia con tassi insopportabili, perché la Bce non agisce come una banca centrale, ma impedisce che le banche centrali nazionali agiscano come tali”. Quanto alle responsabilità di Zapatero, Gonzàles risale ai dieci anni che precedettero il 2008, anno in cui esplose il sistema finanziario mondiale e in Spagna la bolla immobiliare. “La galoppata iniziò con la legge sulla liberalizzazione dei terreni, che si mise in movimento con il banale argomento che quanto più grande è l’offerta di terreni, più basso sarà il loro prezzo, come se i mercati fossero razionali”. Invece i terreni sono diventati sempre più cari e si è costruita una quantità di metri quadrati tre o quattro volte superiori alla domanda, fomentando le corruttele. Tali errori “non sono stati corretti dal governo Zapatero”.
I quotidiani riferiscono anche di una “bocciatura” da parte della agenzia di rating Moody’s su Berlino: ha infatti ridotto l’Outloook (prospettive e aspettative) della economia tedesca, da stabile a negativo, pur conservando ancora a Berlino il rating massimo, la tripla A. Ma – sottolinea La Repubblica – ora è “un rating indebolito, insieme a quelli di Olanda e Lussemburgo”. La reazione del ministro delle finanze tedesco Schauble: la Germania resta l’ancora di stabilità dell’eurozona, e lavorerà con i suoi partner per superare il più rapidamente possibile la crisi del debito europeo.
l quotidiano sottolinea che si tratta di una “doccia fredda” per Berlino. E che minaccia di aiutare più i falchi che le colombe, nello scontro tra favorevoli e contrari al salvataggio di Grecia ed altri Paesi deboli dell’eurozona. Ieri mattina la Suddeutsche Zeitung aveva scritto che per la Cancelliera Merkel è impensabile chiedere al Parlamento nuovi aiuti alla Grecia. E per la prima volta Berlino ha dovuto rispondere alle agenzie di rating anglosassoni difendendosi, usando parole che finora avevano potuto impiegare solo gli altri.
Mario Deaglio, su La Stampa, in una analisi dal titolo “Il duello tra finanza e democrazia”, ricostruisce le ultime, concitate fasi della crisi finanziaria europea. La “incredbile” presa di posizione del Fondo Monetario Internazionale della scorsa settimana, con l’apparente scopo di dare consigli, si schierava nettamente dalla parte dei pessimisti sul futuro dell’euro. I mercati hanno letto l’espressione relativa alla crisi dell’Euro che, secondo il FMI, aveva “raggiunto nuovi livelli di criticità”, come un incitamento a disfarsi della moneta europea. Ieri poi le Borse cadono, si impenna il famigerato spread, e i meccanismi di difesa approvati dai vertici europei non possono dare il loro contributo perché avrebbero dovuto entrare immediatamente in azione, ma sono intrappolati nel lungo processo delle approvazioni parlamentari. “Non è possibile continuare così, con ondate speculative basate sul nulla che devastano le economie di mezzo continente, mentre le ben maggiori debolezze finanziarie e reali dell’economia americana non vengono poste sotto vera osservazione”. Ora, a prescindere “dalle misure tecniche per smorzare le punte speculative dei mercati, gli europei avrebbero naturalmente molte altre carte da giocare, ma tutte queste implicherebbero penalizzazioni e limitazioni alla finanza internazionale che i Paesi debitori non si sentono di approvare, nel timore che la stessa finanza non acquisti più i nuovi titoli dei debiti pubblici quando quelli vecchi arrivano alla scadenza. Tale scontro può anche essere inteso come un duello tra finanza e democrazia, in quanto nella valutazione del debito pubblico di un Paese la finanza utilizza sempre più parametri politici, ossia la propria valutazione, o meglio il proprio gradimento per determinati politici o determinate politiche”.
Spending review
Secondo La Repubblica i 500 milioni di tagli ai comuni proposti dal governo hanno la caratteristica di essere, come si dice, “lineari”. E come tali non avrebbero convinto neanche il ministro per i rapporti con il Parlamento Piero Giarda, che ha scritto al vicepresidente dell’Unione delle province: “Ho cercato invano di far cambiare quella norma. E’ contrario a tutto quel che ho sempre pensato in materia di finanza locale. Speriamo che il Senato sia più saggio del governo”. Il fatto è che le Province hanno lanciato l’allarme: a rischio la riapertura di 5000 scuole di gestione provinciale, già sofferenti da anni per mancanza cronica di fondi.
Il presidente dell’Unione delle province italiane Giuseppe Castiglione, riferendosi ai tagli, ha detto che porteranno “la metà delle province in dissesto”. E poi ha aggiunto: “anzi, tecnicamente lo siamo già”. L’allarme che arriva dall’associazione nazionale comuni italiani è dello stesso tenore:”c’è un problema di crisi di liquidità dei comuni. C’è un problema di cassa. Come le imprese faticano a trovare denaro, così i comuni. Molti hanno problemi di crediti non riscossi, come il comune di Napoli”, ha detto il presidente dell’Anci Graziano del Rio. Del Rio ha parlato anche della capitale: “andrà in grande sofferenza”, “si rischia che arrivi un commissario che faccia una serie di provvedimenti, come l’aumento delle tasse e la sospensione del Consiglio”. In serata ha poi spiegato che si tratta di un “esempio generico”, ma problemi simili sembrano averli anche Palermo e Salerno.
Lo stesso quotidiano intervista il ministro della funzione pubblica Patroni Griffi per parlare della rivolta delle Province contro l’accorpamento e i tagli: “Il governo rifletterà sulle proteste, ma per i campanili non c’è scampo”. Il ministro spiega: “Dobbiamo uscire dall’ottica di province cancellate o soppresse. In realtà tutte sono cancellate, e tutte si devono riordinare avendo dei requisiti minimi. Debbono cercare aggregazioni diverse”.
La Stampa ricorda che oggi i sindaci scenderanno in piazza. Saranno 2000, davanti al Senato.
Elezioni
Su Libero Maurizio Belpietro scrive che “se fino a ieri le elezioni erano il peggiore dei mali”, oggi “sono diventate la miglior soluzione contro i nostri problemi”. Si cita l’editoriale di domenica scorsa di Eugenio Scalfari, e gli articoli dei giorni scorsi de L’Unità e del Corriere.
Su L’Unità una lunga intervista a Massimo D’Alema: “La situazione non è più sostenibile per colpa del Pdl. Devono saperlo tutti”. Dice D’Alema che la situazione di paralisi parlamentare non può durare a lungo, che “si fa sempre più insostenibile”, e che “questo deve esser chiaro a tutti, compresi il presidente del Consiglio e il presidente della Repubblica”.
“Perché non si vota in autuno” è il titolo del commento di Stefano Menichini, sulla prima pagina di Europa. Scrive Menichini che la prospettiva di elezioni anticipate “rimane remota. E poco auspicabile” perché l’unica logica di un voto anticipato consisterebbe nella blindatura del governo Monti, sostenuto da una maggioranza politicamente uguale alla attuale. Non a caso il Pdl “non ha alcuna fretta” di andare al voto, e anche Pd ed Udc “non dovrebbero avere alcuna fretta”.
Stefano Folli, sul Sole 24 Ore, scrive che comunque “parlare di elezioni in forma inconcludente” è “un altro dono fatto ai mercati aggressivi”. Anche secondo Folli eventuali elezioni in autunno porterebbe “quasi inevitabilmente a un altro governo guidato da Mario Monti. Un governo poplitico, si intende, co nministri in tutto o in parte espressi dallanuova maggioranza parlamentare”. Ma se Pd, Udc e Pdl “fossero pronte a garantire la coesione nazionale” avrebbero già scritto “da un pezzo la riforma elettorale”. Non è accaduto perché “quasi nessuno sa cosa fare dopo, e tutti si tengono le mani libere”. La riforma insomma quasi sicuramente non si farà ora, e “i tempi per votare in autunno scadranno”.
Il quirinalista del Corriere della Sera scrive dei “dubbi del Quirinale” sulla ipotesi di una “crisi pilotata”, cioé un percorso verso il voto in autunno anziché nel 2013 con la prospettiva di un nuovo governo Monti. L’ipotesi sarebbe stata quella di votare il 4 novembre, ma a condizione che entro agosto si vari la riforma elettorale e che si anticipi la manovra finanziaria 2013. E, a parte la perplessità di Berlusconi, che sembra restio ad accorciare la legislatura, anche le altre due condizioni mancano. In particolare, sulla legge elettorale.
Il Foglio offre un editoriale di Ferrara (“Novembre, il voto sotto la pioggia”) che chiede: “E’ vero che tutto cambia con la legittimazione popolare di un governo? La risposta è: no, no e poi no. La legittimità elettorale di un governo politico è un valore in sé, con la neve o con la pioggia”.
Internazionale
La Repubblica si occupa di Siria e della sua ammissione, per la prima volta, di possedere un arsenale di armi chimiche e batteriologiche. Il portavoce del ministro degli esteri ha spiegato che potrebbero essere usate soltanto per fermare un intervento straniero, ma “mai e poi mai contro il popolo siriano”, a prescindere dagli sviluppi della crisi. Queste armi vengono conservate e messe in sicurezza dalle forze armate siriane, e non saranno mai usate se non in caso di intervento esterno. In questo caso saranno i generali a decidere quando e come usarle.
Il portavoce del ministro degli esteri ha anche risposto alla offerta della Lega Araba, riunita in Qatar, di offrire ad Assad una “uscita sicura” in caso di abbandono del potere: l’ha definita una “palese ingerenza”.
Sul Corriere della Sera un reportage di Lorenzo Cremonesi tra i ribelli siriani: “Zaino e kalashnikov contro elicotteri”. Dicono di non volere la Nato come in Libia: “Vinceremo da soli”. Dicono anche: “L’opposizione siriana all’estero non ci rappresenta affatto. Per noi conta solo chi combatte. Alla fine faremo le elezioni tra noi”.
Anche La Stampa ha un reportage dalla Siria. Ha copyright Le Monde ed a firmarlo è Florence Aubenas: “Nell’Aleppo insorta, la rivoluzione in ciabatte e t-shirt”, “fucili contro tank”. Sulla stessa pagina un articolo rammenta che quella di ieri, in Iraq, è stata la giornata più sanguinosa da due anni: una ondata di attacchi, autobombe, colpi di mortaio, ha colpito caserme, checkpoint, uffici pubblici, mercati, moschee. Trecidi le città colpite, 111 le vittime, 268 i feriti, in gran parte poliziotti e militari. Ma sono decine anche i morti civili, in maggioranza sciiti, colpiti nei quartieri di Sadr city e Hussainia di Baghdad. E’ l’offensiva del ramadan, lanciata da Al Qaeda per scatenare la guerra civile tra sciiti e sunniti e trasformare il Paese “in un’altra Siria”, come ha detto un ufficiale del ministero dell’interno. Ma una Siria alla rovescia, perché qui gli sciiti sono la maggioranza e governano “più o meno democraticamente” con il premier Al Maliki, dopo esser stati oppressi dalla minoranza sunnita ai tempi del partito Baath.
E poi
Sui quotidiani troviamo una notizia di cronaca di malasanità: in un ospedale di Roma, il San Giovanni, un bimbo nato prematuro da un colf filippina è morto perché gli hanno iniettato latte al posto della flebo fisiologica. La Procura di Roma ha indagato per omicidio colposo due dirigenti e cinque medici della struttura sanitaria. Le indagini vertono anche sul ritardo con cui sarebbe partita la denuncia. E’ nato prematuro il 29 maggio, è morto il 29 giugno, la direzione dell’ospedalòe viene informata dell’incidente soltanto il 2 luglio, e soltanto il 3 denuncia il fatto alla Procura. “La morte nascosta per cinque giorni. Stavano per cremarlo”, come aveva chiesto la famiglia, scrive il Corriere della Sera.
Alla vicenda è dedicata un lungo commento di Adriano Sofri (La Repubblica).
Da La Repubblica segnaliamo anche un commento di Nadia Urbinati dedicato al tema della concertazione, metodo che ha incontrato “durissime resistenze” anche in passato, anche nell’800 in Inghilterra: su opposte sponde erano i liberali della vecchia scuola, ostili al metodo; ma furono i liberali della “nuova scuola”, come John Stuart Mill, a contestare il dogma della contrattazione individuale e a difendere l’unione dei lavoratori proprio per riparare allo squilibrio di potere tra le classi. Il Paese dove si è più affermata la pratica della concertazione, e dove si più scongiurato il conflitto sociale, è stata la Germania, nazione oggi economicamente dominante in Europa dove è nata la teoria della democrazia deliberativa: una idealizzazione della pratica delle relazioni sociali basate sullo scambio delle ragioni tra le parti fino a trovare una convergenza ampia su posizioni alle quali tutti hanno contribuito e che tutti sentono come proprie. E la Urbinati ricorda come Habermas abbia messo in filosofia l’ethos della concertazione come superamento degli squilibri di potere nelle decisioni collettive. “Non è un caso che si torni a rilanciare l’utopia tecnocratica, per la quale la politica è spesso un problema più che una risorsa, perché vive di mediazione e compromesso”, scrive Urbinati.