La Repubblica: “Dalla Germania attacco a Draghi”, “Intervista alla Merkel: ‘Grecia nell’euro, ma la Bindesbank ha ragione'”.
A centro pagina, in evidenza, un’intervista al presidente della Camera: “Fini: ‘Pdl come Grillo, i moderati siamo noi'”
La Stampa: “Berlino, stop a Draghi. ‘Niente tetto agli spread’. Merkel: la Bce è indipendente ma rispetti il mandato”. Il quotidiano scrive anche che “la Cancelliera frena i falchi anti-Grecia: ‘Atene fuori dall’Euro? Pesare bene le parole'”.
Il Corriere della Sera: “Una grande rissa a sinistra”. “Dopo che il segretario del Pd ha bollato come ‘fascisti’ gli attacchi di Idv e 5 stelle. Grillo risponde a Bersani: fallito e amico dei piduisti”. A centro pagina il richiamo ad una intervista al ministro della Funzione pubblica Patroni Griffi: “Province, lavoro, pensioni. Così garantiremo l’irreversibilità delle riforme”. Solo un piccolo richiamo, invece, per “l’altolà della Bundesbank” alla Bce, che “rischia di dare droga ai governi”.
Il Giornale: “Sinistra allo sfascio. Guerra civile tra anti Cav. ‘Zombie’, ‘fascisti’, ‘falliti’, ‘piduisti’. Bersani litiga con Grillo, ‘Repubblica’ col ‘Fatto’: è tutti contro tutti”.
L’Unità: “Grillo non fa più ridere”
Euro, Merkel, Buba
Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, in una intervista al settimanale Der Spiegel “attacca Draghi”, come sintetizza La Repubblica, che spiega come abbia detto no all’acquisto di titoli sovrani da parte della Banca centrale europea con queste parole: “Perché i finanziamenti della Banca centrale assomiglierebbero a un finanziamento degli Stati stampando moneta, e renderebbero i governi tossicodipendenti, “come da una droga”. Il quotidiano riferisce anche come Weidmann si opponga all’idea che la Bce fissi un tetto “confidenziale o dichiarato” allo spread o differenziale tra gli interessi dei titoli sovrani, bassi o nulli quelli tedeschi, e alti quelli italiani o spagnoli, perché è una idea “scabrosa”. Il quotidiano ricorda che questo contrattacco rigorista arriva a pochi giorni dal vertice tra la Cancelliera Merkel e il presidente del Consiglio Mario Monti a Berlino.
“Il consiglio della Bce” dice ancora Weidmann, non è un politburo alla sovietica, una trasparenza nel dibattito è un bene”; non si tratta di egemonia del modello tedesco, ma di rispetto dei trattati di Maastricht, poiché fino a che non c’è l’unione politica i trattati impediscono che le conseguenze di una cattiva politica di bilancio di uno Stato siano gettate sulle spalle di altri.
Da segnalare su Il Giornale una lunga analisi di Renato Brunetta (“Bundesbank contro tutti. Ma il tetto anti spread non batterà questa crisi”), in cui l’economista ed ex ministro scrive che questa volta “la Buba ha perfettamente ragione”.
Il Corriere della Sera punta l’attenzione su quella che considera una difesa della Grecia dai “falchi” da parte della Merkel: dapprima si è occupata delle “intemperanze” di Alexander Dobrindt, segretario dei cristiano sociali bavaresi, che si augurava l’uscita di Atene dall’euro, poi ha lanciato un doppio messaggio al presidente della Bundesbank: la Bce, ha detto la Merkel, “è indipendente e ha un mandato molto chiaro e strettamente limitato per contribuire alla stabilità della valuta”, ma Weidmann fa bene a “mettere in guardia i politici”. Ed ha aggiunto: “Lo appoggio, e credo che sia un bene che lui, in quanto capo della Bundesbank, abbia molta influenza nella Bce”.
La Repubblica riproduce integralmente l’intervista della Cancelliera alla prima rete televisiva Ard, riassumendo così il suo pensiero: “Bene le pressioni della Buba, ma la Bce saprà essere indipendente”, “in Grecia impegno serio, dopo due anni avevo perso fiducia”. Sulla Grecia dice che è necessario aspettare il giudizio della Trojka: il suo rapporto dovrà dirci “a che punto è l’attuazione delle condizioni poste per il secondo pacchetto di aiuti già concesso”. In Europa, dice la Merkel, ognuno ha il suo compito, “la nostra responsabilità di politici è di correggere gli errori originari dell’unione con una maggiore integrazione politica”.
L’Unità si occupa dell’idea di Angela Merkel di una Convenzione dei leader europei che faccia nascere l’unione politica. E sottolinea come una Europa integrata politicamente farebbe svanire dal tavolo il problema, enorme e non risolto neppure dal fiscal compact, di chi e come controllare che i governi si comportino bene: “Niente trojke e memorandum of understanding”, sarebbero le autorità dell’Unione, cioé tutti”. Gli aspetti positivi, però, secondo l’Unità, finiscono qui, perché per perseguire il suo progetto la Cancelliera propone quello che chiama un Konvent, ovvero una “Convenzione” composta da esponenti dei governi, rappresentanti (forse) dei Parlamenti nazionali, esperti e giuristi. Un organismo che dovrebbe essere insediato da una conferenza speciale dei leader Ue: uno scenario “rigorosamente intergovernativo” ed “assai poco democratico”. Il movimento federalista europeo e la Spd tedesca propongono invece una assemblea costituente da eleggersi contestualmente al Parlamento europeo nella primavera del 2014. Ed a spiegare questa idea è lo stesso segretario Pd Pierluigi Bersani, con un intervento su L’Unità: “é imperativo rimettere al centro della partita i cittadini, gli elettori”, dimostrare “che solo con la loro partecipazione attiva il motore di una Europa giusta e democratica può ripartire e finalmente portarci al traguardo di una integrazione politica, sociale ed economica sana ed equilibrata” (“Alle elezioni del 2014 nasca una Costituente europea”, riassume il quotidiano titolando il suo intervento).
Politica
Un “dietro le quinte” del Corriere della Sera spiega che la frase di Bersani sui “linguaggi fascisti”, rivolta a Grillo e forse anche a Di Pietro, non sia stata una frase sfuggita o una gaffe, ma una scelta del segretario Pd, che ha “sopportato insulti e invettive” ma che alla fine, pur avendo “fatto il chierichetto da piccolo”, ha deciso di “non porgere l’altra guancia”. Il quotidiano spiega anche che l’uscita di Bersani “non ha convinto tutti i dirigenti” del partito. Matteo Renzi per esempio, pure non tenero con il movimento 5 stelle, ritiene che quella frase rappresenti un “clamoroso autogol”: “Altre tre dichiarazioni del genere – osserva Renzi – e il movimento 5 Stelle arriva al 20 per cento. Per sconfiggere i grillini bisogna dimezzare il numero dei parlamentari e la loro indennità, ed eliminare sia il vitalizio di senatori e deputati che il finanziamento pubblico dei partiti”. Di parere opposto Matteo Orfini: “Io sono sempre stato per la linea dura, perché un altro tipo di condotta con i grillini non produce nulla”. Malgrado le riserve di chi considera un errore andare allo scontro con Grillo, secondo il Corriere la linea del Pd è decisa: l’obiettivo è dimostrare che Grillo è di destra, che lui e i suoi seguaci ragionano come il Pdl su molti argomenti, dalle critiche all’euro all’ostilità nei confronti degli immigrati.
Alle accuse di fascismo e alle liti a sinistra è dedicata una analisi di Antonio Polito, che ricorda come vi fosse “intimità”, “complicità”, “affetto” verso “questi cosiddetti nuovi fascisti”, accolti per anni in quel “campo della sinistra” che ora li scomunica: in fin dei conti Di Pietro cominciò la sua carriera politica in un collegio del Pds di D’Alema, con i voti dei comunisti del Mugello; e siede nel Parlamento solo per la benevolenza di Veltroni, che cacciò Bertinotti dall’alleanza ma volle a tutti i costi Di Pietro. Quanto a Travaglio, malgrado le sue origini di destra, è stato per anni editorialista di punta de L’Unità, e tuttora scrive su L’Espresso. E, conclude Polito, è sconsigliabile la riesumazione dell’accusa di “fascista”: prima o poi qualcuno potrebbe essere tentato di riesumare quella di “comunista”.
Su Il Giornale: “A sinistra fascisti contro comunisti”.
Per tornare al Corriere, si occupa anche di Matteo Renzi: il 13 settembre annuncerà la propria candidatura alle primarie. Durante l’estate il sindaco di Firenze ha girato l’Italia lontano dai riflettori delle cronache nazionali, mettendo in piedi una vera e propria area fatta da sindaci e amministratori locali, soprattutto ex ds secondo i suoi. Dice che sarà una campagna all’insegna del fair play, “non attaccherò mai personalmente il segretario”. Andrà a Gallipoli, storico feudo dalemiano, a Ferrara (città di Dario Franceschini), girerà l’Italia in camper e volerà a Charlotte, negli Usa, per partecipare alla convention democratica. Ha ricevuto un invito da Madeleine Albright per un dibattito tra sindaci di diverse città del mondo.
La Repubblica intervista il presidente della Camera e leader di Fli Gianfranco Fini. Farete un partito con Casini? “Diciamo che in me e Casini c’è una comune consapevolezza di lavorare per dare una risposta a questi elettori che non sono di sinistra e non vogliono più votare per Berlusconi”. Fini parla di una visione liberal-democratica, quella che in un bipolarismo sano, quale non abbiamo in Italia per colpa di Berlusconi, sarebbe la naturale alternativa alla sinistra socialdemocratica. Se Bersani vincesse le elezioni lo sosterreste a Palazzo Chigi? “Su una cosa sono d’accordo con Bersani: il governo che uscirà dalle elezioni. Sarà il capo dello Stato a indicare il prescelto per Palazzo Chigi”.
Internazionale
La Repubblica spiega che in una Teheran blindata, con 100 mila agenti dispiegati per paura di mobilitazioni dell’opposizione, si è aperto l’incontro dei Paesi non allineati. Il summit ancor prima di iniziare è stato oggetto di controversie. Prima per l’adesione del segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon, poi per la retromarcia del leader di Hamas Ismail Haniye, di cui era preannunciata la partecipazione: l’Anp ha minacciato di disertare il vertice se ci fosse stato Haniye. Spiega il Corriere della Sera che Usa e Israele hanno tentato disperatamente di invitare che il capo dell’Onu si recasse in un Paese condannato all’isolamento dalla comunitàò internazionale per la violazione delle norme sulla non proliferazione nucleare, che perdipiù sta aiutando il sanguinoso regime di Assad: ma Ban Ki Moon non se l’è sentita di disertare un incontro al quale partecipano i leader di quasi due terzi dei 193 Paesi membri dell’Onu. Ha promesso che incalzerà i dirigenti iraniani, contestano loro le violazioni dei diritti umani e delle regole Onu. L’Occidente teme che finisca per fare involontariamente il gioco degli ayatollah. Quel che è certo è che il vertice lascerà comunque un segno nel rimescolamento di carte in Medio Oriente, dove cala l’influenza degli Usa mentre cresce quella della Turchia e dei Paesi petroliferi del Golfo, con un nuovo protagonista, il presidente egiziano Morsi, che rilancia il dialogo Cairo-Teheran interrotto dal 1979, e punta su un “direttorio” Turchia-Egitto-Iran-Arabia per la crisi siriana.
Tanto il Corriere della Sera che La Stampa si occupano di una inchiesta sul gruppo Unicredit avviata dalla Procura distrettuale di New York in coordinamento con l’ufficio del tesoro americano: le indagini riguardano il capitolo sanzioni a Teheran, e le autorità Usa sospettano una controllata tedesca di Unicredit (la Hvb) di transazioni vietate. Il primo istituto di credito italiano potrebbe perdere la licenza negli Usa.
La Repubblica si occupa dello stato di emergenza in Florida causato dall’arrivo dell’uragano Isaac, che imporrà il rinvio della convention repubblicana: “Minaccia la festa di Romney”. Il congresso che si apre oggi si è aggiornato a domani. Gli unici incuranti dell’allarme meteo sono i manifestanti: la polizia teme l’arrivo di almeno 15 mila ragazzi di Occupy Wall Street.
E poi
La Stampa si occupa di una “battaglia” al New York Times ingaggiata dal garante dei lettori del quotidiano, Arthur Brisbane che, nel suo articolo d’addio, imputa ai colleghi di “condividere una sorta di progressismo culturale e politico che pervade l’intera struttura del giornale”. La sua tesi è che l’approccio alle “posizioni liberal” su temi come le nozze gay o le proteste di “occupy Wall Street” è “tale da assomigliare più alla militanza politica che al lavoro di cronaca”. Il direttore del quotidiano, Jill Abramson, risponde alle critiche parlando di “tesi grossolane, prive di validità”, “nella nostra redazione siamo consapevoli che il giudizio che diamo su una singola vicenda non è necessariamente lo stesso di un’altra parte dell’America o del mondo”. Il direttore afferma di condividere il giudizio del precedente garante dei lettori, Dan Okrent, secondo il quale il NYT “riflette spesso le opinioni di uno zoccolo duro di lettori urbani e cosmopoliti”, ma è convinto che il suo quotidiano mantenga una direzione generale di marcia generale che è quella di “mantenere la credibilità”, come è dimostrato dalla presenza di commentatori conservatori.
Alle pagine R2 de La Repubblica i lettori troveranno anche il lungo commento di Roberto Saviano, pubblicato sul New York Times, dedicato alla crisi e ai capitali illegali: “la crisi è un business planetario per le mafie, i clan criminali entrano di prepotenza nelle banche Usa per riciclare milioni di dollari, in Grecia approfittano della corruzione e fanno affari con i carburanti. In Spagna si inflitrano nel mercato immobiliare e puntano a profitti colossali come il progetto Eurovegas”. Insomma, si spiega “perché i boss non fanno crack” e perché “per ripulire capitali illeciti non servono più paradisi fiscali, come le Cayman, ma la City e Wall Street”.