Il Corriere della Sera: “Terzi lascia, gelo di Napolitano. Lo strappo sul caso Marò: sbagliato rimandarli a casa. Il ministro degli esteri si dimette. Il capo dello Stato duro: irrituale. Interim a Monti”. A centro pagina: “Bersani sempre più in salita”, “ma si apre uno spiraglio sulle riforme istituzionali”, “M5S all’unanimità: no alla fiduicia”. “Alfano: il leader Pd cambi o si vota”.
In taglio basso: “L’assessore Battiato torni a cantare”.
La Repubblica: “Terzi lascia, caos sui marò”, “scontro tra ministri. L’ira di Napolitano: dimissioni irrituali”, “attacco a Monti e Di Paola: ‘Non volevo restituirli all’India’. L’urlo dei parenti alla Camera: riportateli a casa”. Di spalla, sulle consultazioni per il governo: “Pdl e Lega: meglio il voto, ma Bersani non si arrende. ‘Passi avanti, io ci credo’”.
La Stampa “Terzi lascia, l’irritazione del Colle”, “marò, il ministro degli Esteri si dimette in Aula. ‘Contrario al loro rientro in India’”, “spaccatura nel governo: Napolitano non era stato informato, ‘sconcertato e stupito’”. “L’interim della Farnesina a Monti”.
Sotto la testata: “Grillo non cede. Bersani: è difficile ma vado avanti”, “il segretario offre la Bicamerale al Pdl. Alfano e Maroni: o con noi oppure il voto”.
Il Fatto quotidiano: “Marò, dal dramma alla farsa. Terzi spara su Colle e Monti”. Sulle consultazioni: “Bersani all’ultima fermata, M5S aspetta un altro nome”. In taglio basso, la polemica tra Giancarlo Caselli e Pietro Grasso: “’Fango da Grasso, il Csm mi tuteli’”, titola il quotidiano evidenziando le parole di Caselli.
Il Giornale: “Monti naufraga sulla nave dei marò”, “il ministro Terzi si dimette a sorpresa: ‘Non dovevamo cedere all’India’. E Le Monde liquida superMario: per l’Europa è morto”. A centro pagina, “Caselli contro Grasso”, “la zuffa delle primedonne in toga”.
Su tutti i quotidiani rilievo alla vicenda del processo per l’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, perché ieri la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione per Amanda Knox e Raffaele Sollecito.
Terzi
Per Massimo Franco, che ne scrive sul Corriere della Sera, quella di Terzi è stata “una scelta polemica che aggrava la crisi e fomenta le divisioni”. “Dire che le consultazioni sono in salita sta diventando un eufemismo”, scrive Franco. Le dimissioni polemiche di Giulio Terzi, delle quali non aveva informato né il capo dello Stato né il premier Monti, sembrano fatte apposta per fomentare lo scontro: lo scarto di Terzi, “arrivato dopo pasticci ed errori a catena del governo, si presta ad un uso strumentale e quasi elettorale. Accelera la liquidazione del governo dei tecnici, cerca di scaricare su Palazzo Chigi la responsabilità di un comportamento ondivago tenuto sulla vicenda”. Franco sottolinea che in questo modo, tra l’altro, “Terzi tenta di porsi alla testa del fronte che era contrario al ritorno dei due marò in India, e accusa neanche troppo larvatamente Palazzo Chigi e Quirinale di aver cambiato idea”. Un articolo di Massimo Caprara sullo stesso quotidiano spiega la dinamica dei fatti: “Collocato oggettivamente sulla linea di tiro del Pdl, Terzi si è scansato sapendo che le bordate sarebbero arrivate su Monti. Lo stesso con il quale aveva trascorso buona parte della mattinata a Palazzo Chigi per preparare quanto andava detto a nome del governo nelle sedute pomeridiane di Camera e Senato. Il Pdl, partito al quale l’ormai ex titolare della Farnesina guarda con maggiore attenzione dai tempi nei quali ha perso potere chi gli aveva fatto ottenere il ministero, Gianfranco Fini. Verso la fine del suo intervento alla Camera, Terzi è uscito dalla rotta concordata a Palazzo Chigi, “coloro che conoscevano il testo preparato sono sobbalzati sulle sedie”.
Secondo La Stampa il gesto di Terzi, “cui tutto il Pdl plaude, contiene una sfida non solo formale ma politica a Monti”. E poi: “La mossa irrita Napolitano”.
La Repubblica scrive che neanche apochi secondi dall’annuncio delle dimissioni in Aula, Terzi ha sentito il dovere di avvertire il suo collega alla Difesa Di Paola, che dopo di lui interviene per dire: “La posizione del ministro Terzi non è quella del governo, mai come in questa vicenda il conflitto tra emozioni personali e responsabilità istituzionale è stato così forte. Ma io non abbandono la nave su cui sono ancora Salvatore Girone e Massimiliano La Torre”.
Francesco Merlo sul quotidiano paragona il ministro Terzi al comandante Schettino e Di Paola al capitano De Falco che gli intimava di tornare a bordo della Concordia.
Il quotidiano parla anche di una “claque” del centrodestra in Aula ieri all’annuncio delle dimissioni: un altro articolo riferisce le parole di un collaboratore di Monti, che ipotizza si sia trattato di una “operazione politica orchestrata dal centrodestra”. Su Il Giornale i due personaggi vengono descritti così: Giulio Terzi, “l’ambasciatore che salva la dignità e smaschera gli errori di superMario”, Giampaolo di Paola, l’ammiraglio che “non molla la poltrona” ma “sfuma l’approdo in Finmeccanica” (le cronache dei mesi scorsi, scrive Il Giornale, lo davano infatti tra i papabili per la guida del gruppo). Vittorio Feltri scrive che “è preferibile abbandonare la nave che i militari”.
Anche per L’Unità “l’ultima tegola che cade sull’Esecutivo tecnico sembra gestita da una accorta regia politica” e dietro il caso si intravede l’obiettivo di ricavare vantaggi per la destra nella trattativa sul governo e il Quirinale. Scrive il quotidiano che da tempo i rapporti tra Terzi e Monti erano segnati dalla tensione: il ministro dimissionario ha lamentato di esser stato lasciato solo a gestire la vicenda, e di aver espresso più volte contrarietà al rientro dei marò in India. A Monti la Farnesina ha rimproverato di aver sottovalutato la portata del caso e le ricadute sulla credibilità dell’Italia, ma Palazzo Chigi ha attribuito alla Farnesina di aver annunciato troppo precocemente la decisione di massima di trattenere i marò in Italia, assunta senza che al premier fossero stati forniti i necessari elementi di valutazione per assumere una decisione collegiale. Solo il 21marzo, secondo L’Unità, di approfondì per la prima volta la materia: fu nel corso della riunione del comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, con Monti e ministri Terzi Cancellieri, Severino, Di Paola, Passera, e con Catricalaà e De Gennaro. In quella sede Monti decise che era necessario mantenere la parola e rimandare i due in India.
Il Foglio in uno dei suoi editoriali stigmatizza “le ambizioni meschine di Terzi”, che “si dimette tardi e scarica la colpa sui suoi colleghi per farsi bello con il Pdl”. Avrebbe potuto offrire le dimissioni prima, e per giunta non ha detto “ho sbagliato, me ne vado, scusate se lo faccio in ritardo”, bensì ha semplicemente espresso la sua “riserva per la decisione” sui marò, lamentando che la sua voce sia rimasta inascoltata, tentando di scaricare la colpa sul premier e sul suo collega della Difesa.
Bersani, M5S
Scrive Francesco Verderami sul Corriere della Sera che la strada per l’accordo per Bersani è la Commissione per le riforme guidata dal centrodestra. Ma per il Pdl resta il nodo del Quirinale. Bersani non può fare a meno del supporto del centrodestra per andare a Palazzo Chigi, e per ottenre l’appoggio ha 48 ore di tempo per dare una risposta a Berlusconi sul Quirinale. Ma l’azzardo del Pdl, secondo Verderami, potrebbe non pagare, perché restano ancora due carte coperte: la prima è che se l’intesa sul Colle non si realizzasse, Bersani potrebbe alzare la posta chiedendo a Napolitano di andare in Parlamento per cercare la fiducia (il Cav è certo che Napolitano non consentirà un governo senza numeri certi); la seconda, la più pericolosa per Berlusconi, è che senza una intesa con il Pd Bersani potrebbe pescare quelle che per il Cav sono le carte peggiori, ovvero Prodi, Zagrebelsky o Rodotà, che in principio verrebbero votati dai grillini.
Alle pagine seguenti del Corriere, il quirinalista Breda scrive che “senza numeri o intese esplicite il Colle darà l’incarico ad un altro”. L’ipotesi è quella di inviare subito una personalità alle Camere per la fiducia. Si cita quindi l’esempio del governo della “non sfiducia” guidato da Andreotti nel 1976, che si reggeva sull’astensione del Pci negoziata tra l’uomo guida della Dc Moro e il comunista Berlinguer: quel modello, che permetterebbe di contrattare a tutto campo il ricorso alle uscite mirate per abbassare il quorum in aula e conquistare il via libera di volta in volta, fondava, ricorda Breda, su un accordo politico esplicito.
La Repubblica parla di “spiragli per l’intesa” descrivendo l’offerta di Bersani al Pdl, che così viene sintetizzata: “Insieme solo per le riforme, ma niente governissimi”. E per il quotidiano “Berlusconi studia l’uscita dall’aula”. Bersani, senza tanti giri di parole, come scrive il quotidiano, l’ha chiamata “costituente” ed ha spiegato: “In quella sede tutte le forze politiche devono avere una responsabilità. Io e il governo ci mettiamo al servizio di questa grande operazione di cambiamento”. Si lascia inalterata la prima parte della Costituzione e si modifica la seconda. Con il contributo di tutti”. Scrive il quotidiano che in concreto, il giorno dell’eventuale voto di fiducia a Bersani, la proposta si realizzerebbe con l’uscita dall’Aula di Pdl e Lega al Senato, in modo di abbassare la soglia della maggioranza per far sì che il governo ottenga i voti necessari. Il quotidiano scrive che nell’incontro con il Pdl Bersani ragionava sapendo che esiste ascolto tra la Lega e Berlusconi. Riferisce che Maroni sta facendo pressioni sul segretario Pdl Alfano perché il partito accetti l’offerta: presidenza della Convenzione a un uomo del centrodestra, nuovo capo dello Stato non ostile al Cav, partecipazione alla costruzione della Terza Repubblica con un occhio attento al federalismo.
Il Fatto descrive così la situazione: “Si chiama ‘convenzione’ la trattativa con Berlusconi”, “i Democratici offrono la Presidenza al Pdl o al Movimento”: “In pratica, al Pdl il leader del centrosinistra offre la guida della convenzione per le riforme, compresa la legge elettorale. La stessa offerta dovrebbe essere fatta al Movimento 5 Stelle. Chi accetterà dovrà dare in cambio il via libera all’esecutivo Bersani.
L’editoriale in prima pagina su Il Giornale è firmato da Alessandro Sallusti, che sottolinea come “responsabilità è dire no a Bersani”, “senza ulteriori esitazioni”. E’ meglio il voto, secondo Sallusti. Alle pagine interne del quotidiano si riferisce di un sondaggio Tecné secondo cui la coalizione del Cavaliere sarebbe al 31,3 per cento, ovvero due punti sopra alla sinistra. Il retroscena del quotidiano sintetizza così il punto di vista del Cavaliere: “Berlusconi insiste, ok al leader Pd se al Quirinale sale uno dei nostri”. I termini dell’accordo, per Berlusconi, hanno una unica pregiudiziale insormontabile, scrive il quotidiano: la scelta del successore di Napolitano deve spettare al Pdl, e l’accordo deve essere certificato per iscritto.
Oggi intanto Bersani incontrerà esponenti del Movimento 5 Stelle. La Repubblica riferisce le parole della capogruppo alla Camera Roberta Lombardi: “A Bersani in diretta streaming dirò di no anche se si butta in ginocchio”. Ma dietro quel no, secondo il quotidiano, si agitano molte cose. Alla Camera i fautori della linea dura sarebbero 60 su 109. Nei corridoi di Palazzo Madama, invece, un cronista della agenzia Dire ha intercettato due senatori grillini che parlavano di una sorta di Aventino, più esattamente della possibilità di uscire dall’Aula per abbassare il quorum. “L’unica è non venire proprio, non presentarci, sai se è stata chiesta la presenza di tutti e 53?”, diceva uno di loro.
Il quotidiano descrive anche i deputati del Movimento 5 Stelle in rivolta contro la capogruppo Lombardi perché, prendendo la parola in Aula lunedì pomeriggio, non avrebbe letto l’intervento concordato insieme. Qualcuno nel gruppo avrebbe addirittura chiesto le sue dimissioni. Ieri peraltro la Lombardi, nel corso dell’intervento sulla istituzione sulla Commissione speciale per i debiti della Pa, ha parlato di “una porcata di fine legislatura” perchè parte dei soldi verranno restituiti alle banche e non direttamente alle imprese. Un senatore grillino riferisce che i commenti al suo intervento, sul sito 5 Stelle, la stanno massacrando e che la critica spiega come sia un meccanismo obbligato, visto che si tratta di debiti che le imprese hanno già contratto con le banche. La motivazione offerta dai 5 Stelle è che il movimento chiede che partano le Commissioni permanenti, criticando l’istituzione di questa Commissione Speciale.
Anche su La Stampa: “Niente fiducia a Bersani, ma processo alla Lombardi”, “alcuni deputati la attacano: su Cipro ha letto un discorso di testa sua”. Secondo il quotidiano, peraltro, a Palazzo Madama ci sarebbe solo una senatrice indecisa.
Il Foglio scrive che c’è anche chi, tra i grillini, si rende conto che riandare al voto a breve espone non solo al rischio di risacca, ma anche ai capricci del web: i parlamentari del Movimento 5 Stelle, già precari alla roulette delle parlamentarie (sono bastati pochi clic per emergere) restano precari, ché gli scontenti e gli sconfitti sono in allerta.
Pierluigi Battista sul Corriere dedica la sua attenzione alla decisione di trasmettere in diretta l’incontro di questa mattina tra il presidente del Consiglio incaricato e il M5S. “Al vertice come al grande fratello, se la trasparenza uccide la trattativa”, “con lo streaming il confronto diventa fiction, per poi parlarsi davvero di nascosto”. “Bersani e i grillini non si diranno la verità, ma reciteranno una fiction in cui si racconta di due soggetti che fanno finta di dire la verità”.
Su Europa Giovanni Cocconi scrive che “con lo streaming della trattativa sul tredicesimo emendamento gli Usa non avrebbero mai abolito la schiavitù e Steven Spielberg non avrebbe mai girato Lincoln. Tra Pd e 5 Stelle è nata una strana rincorsa a chi ha meno paura della diretta web”.
La diretta streaming non rappresenta di per se una alterazione della democrazia, ma cambia le regole del gioco: ognuno recita una parte a favore di telecamera, e il fatto stesso che la diretta incentivi alcuni comportamenti e non altri contraddice l’idea della trasparenza assoluta.
Internazionale
La Stampa si occupa del summit dei Brics in corso a Durban: summit che promette di scompaginare parte dell’assetto economico mondiale, con la creazione annunciata di una nuova banca dello sviluppo, capace di rivaleggiare con la Banca Mondiale. Non è ancora noto dove avrà sede la nuova banca, né come sarà organizzata, ma quello che appare chiaro è che dovrebbe garantire la capacitàò di finanziare la costruzione di nuove infrastrutture e approvigionamenti energetici. In una analaisi da New York: “Parte la sfida agli Usa, così Mosca e Pechino si dividono il mondo”. Maurizio Molinari, il corrispondente de La Stampa, scrive che i cinesi sono leader in Africa e i russi sono tornati in Medio Oriente.
Su La Repubblica si dà conto della indicazione di Obama della prima donna a capo del Secret Service, la squadra che deve proteggere il Presidente. Se ne occupa anche Il Fatto. E’ Julia Pierson, ed arriva dopo gli scandali degli agenti sorpresi con alcune squillo in Colombia.