La Stampa: “Emorragia cerebrale. Notte d’ansia per Bersani”.
Sotto la testata: “Orrore a Caselle: famiglia sterminata. Sotto torchio il figlio”.
La Repubblica: “La promessa di Saccomanni: ‘Nel 2014 caleranno la tasse’”. Si tratta di un’intervista al ministro dell’Economia.
Di spalla, con grande foto: “Paura per Bersani operato al cervello, ‘Intervento riuscito’”.
A centro pagina: “Pd, il caso Fassina riaccende lo scontro”.
Corriere della Sera: “Bersani, il malore e l’attesa”.
A centro pagina il titolo in grande evidenza sul destino del governo: “Letta ora vuole un patto chiaro”, “Venti giorni per un accordo di governo con Renzi. Fassina: Matteo come Berlusconi con Monti”, “Pd e Forza Italia trattano sul modello elettorale spagnolo”.
Il Giornale: “Oggi Forza Bersani”, “L’ex leader Pd operato al cervello dopo un’emorragia. Destra e sinistra unite nell’affetto: stavolta ‘votiamo’ tutti per lui”, “Caso Fassina, Renzi tira dritto. E sospetta dimissioni pilotate dai nemici del partito”.
A centro pagina, foto della responsabile riforme del Pd: “La primadonna di Matteo”. Un ritratto di Maria Elena Boschi che porta la firma di Giancarlo Perna.
In taglio basso: “Sulla casa patrimoniale da 50 miliardi”, “Tari, Tasi, Imu, catasto: sugli immobili una stangata che vale il 3% del Pil”.
L’Unità: “Forza Pier Luigi”.
In taglio basso: “Renzi-Fassina, nel Pd torna la tensione”.
Bersani
Le ultime notizie di agenzia questa mattina raccontano che Pierluigi Bersani si è risvegliato dopo l’intervento e che ha parlato con i familiari.
“Il mal di testa mi spacca”, avrebbe detto ieri Bersani che, come racconta La Repubblica, tornava dall’edicola con un pacco di giornali sotto mano e si apprestava a partecipare ad un pranzo con la famiglia. Il quotidiano intervista il neochirurgo emiliano Fabio Calbucci: l’ex segretario Pd -spiega- è stato colpito da una “emorragia subaracnoidea da aneurisma cerebrale. Un’arteria si è dilatata fino a formare una sacchetta che si è rotta, riversando il sangue nello spazio attorno al cervello. Non dentro, e questo è un fatto positivo”. Cosa si fa in questi casi? “Va subito eliminata la sacchetta danneggiata, escludendola dalla circolazione. Se si rompe una seconda volta l’effetto è mortale”. “Bersani, riuscito l’intervento”, titola La Stampa, aggiungendo che la prognosi resta riservata. Nella pagina di fianco Federico Geremicca racconta “L’anno più lungo del leader generoso rimasto troppo solo”: “dalla ‘non vittoria’ al disastro al Quirinale, tradito dal suo partito”. Doveva vincere le elezioni “e non andò così”; doveva guidare i governo “e non ci riuscì”; doveva eleggere un presidente della Repubblica “e invece naufragò”: “quell’inverno-primavera aveva liquefatto una generazione, un modo di intendere la politica e -forse- addirittura qualcosa in più. Pierluigi Bersani ha pagato per tutti” ma ora “si vede bene come il conto sia arrivato -stia arrivando- non soltanto per lui”. Su La Repubblica: “L’anno più difficile di Pierluigi, dalla ‘non vittoria’ elettorale alle dimissioni da segretario”, di Goffredo De Marchis, che ricorda come abbia lasciato la guida del Pd il 20 aprile, dopo la vicenda dei 101 franchi tiratori che fecero fuori Prodi dalla Presidenza della Repubblica.
Su L’Unità: “L’anno più difficile,dal voto alle dimissioni”
In prima pagina su Il Giornale, il direttore Alessandro Sallusti sottolinea come “la Rete dei cretini” sia sempre piena: si riferisce alle “migliaia di ignoranti frustrati” che ieri “hanno festeggiato la notizia del grave malore di Bersani”.
Governo, Fassina, Renzi
“Non ci si dimette per una battuta”: così La Stampa sintetizza la reazione del segretario Pd Matteo Renzi alle dimissioni da viceministro dell’Economia del suo compagno di partito, Stefano Fassina.(la battuta era “Fassina chi?”, ndr.) La replica di Renzi alla decisione del viceministro è stata affidata ad un post su Facebook che, racconta La Stampa, ha ricevuto 15mila “mi piace”. Scrive Renzi: “Stefano Fassina mi accusa di ‘avere una visione padronale del partito’: non me ne ero accorto quando si trattava di confermare i capigruppo o di scegliere il presidente dell’assemblea o di tenere aperta la segreteria anche a persone non della maggioranza. Certo, a differenza di quello che avrebbe fatto la politica tradizionale, il mio primo gesto non è stato chiedere il rimpasto, come Fassina mi ha chiesto su tutti i giornali”.
Lo stesso Fassina viene intervistato dal Corriere della Sera, che riassume così il suo pensiero nei titoli: “Matteo come Berlusconi alla fine del governo Monti”. Dice Fassina: “La battuta è soltanto la forma”, “Renzi è un uomo brillante e parla con le battute. Io sono un grigio burocrate e parlo con i documenti. Il punto però sono i contenuti di quello che viene detto. E Renzi con quella battuta ha mandato un messaggio chiarissimo, ponendo una questione irricevibile di dignità personale e politica”. Fassina spiega il motivo delle dimissioni: spera che “in questo modo si possa sciogliere l’ambiguità della posizione della segreteria rispetto al governo”. Di quale ambiguità parla? “Dell’atteggiamento del segretario del partito. Chiariamo: Matteo Renzi non solo ha il diritto, ma grazie al suo mandato così netto, ha il dovere di incidere sulla posizione del governo. Però un conto è lavorare in positivo, per imprimere una svolta. Un altro sono le caricature distruttive da campagna pre elettorale, con il Pd di Renzi che rischia di comportarsi come il Pdl di Berlusconi negli ultimi mesi del governo Monti”. Renzi deve imparare “ad avere rispetto per tutti i componenti del partito, soprattutto per chi ha idee diverse dalle sue”.
Fassina viene intervistato anche da L’Unità: “Matteo irride il dissenso. Ora ricostruirò la sinistra”. Il quotidiano spiega che Fassina, ex responsabile economico del Pd, non ha alcuna intenzione di lasciare il partito: vuole lavorare dall’interno, come alfiere dell’opposizione interna: “lavorerò come deputato e dentro il partito. La sinistra ha bisogno di un lavoro profondo di ricostruzione culturale e politica”. Dice di aver ricevuto “una valanga di messaggi e telefonate di sostegno”. In prima pagina un commento di Claudio Sardo: “Le risposte che il segretario non ha dato”. Dove si legge che “nessuno può chiedere al segretario di cambiare un registro comunicativo che si è rivelato fin qui vincente. Il problema però è che, da leader, non può pensare di eludere le domande che appartengono al normale confronto democratico”; “una leadership forte è certamente un valore aggiunto, a condizione però che non consideri il partito come un peso”. E per quel che riguarda il rapporto con il governo Letta: questo esecutivo “non può (e non deve) diventare un esecutivo ‘tecnico’ o un governo ‘amico’”; “se la minaccia di far saltare tutto oppure di ricorrere alle maggioranze variabili è soltanto la tattica di Renzi per strappare condizioni migliori ad Alfano, vuol dire che abbiamo scoperto un abile negoziatore”, comunque “più il programma di Letta per il 2014 avrà l’impronta del Pd, più il suo governo acquisterà un carattere politico”. “L’alternativa a questo scenario -scrive Sardo- è quello di un Renzi che, invece, tira la corda per spezzarla. O meglio, per costringere Alfano a spezzarla. In questo caso il gioco di sponda sarebbe con Berlusconi: riforma elettorale e subito al voto”.
Un retroscena su Il Giornale firmato da Laura Cesaretti descrive invece “il sospetto su Fassina”: “’Dimissioni già pronte per incastrare Matteo’”. E si spiega che “i fedelissimi di Renzo” sono convinti che quello delle dimissioni del viceministro siano solo un pretesto “per costringere il segretario a scendere a patti con Letta”.
Saccomanni
Il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, in un’intervista a La Repubblica, risponde anche ad una prima domanda sulle dimissioni di Fassina: “le ragioni del suo gesto sono tutte politiche e non sono riconducibili al rapporto tra di noi, che è sempre stato ottimo. Stefano è stato leale e collaborativo, abbiamo lavorato bene insieme, pur nella diversità di idee su alcuni aspetti specifici della politica economica. Per questo mi dispiace molto che si sia dimesso, anche se spero che questo non abbia ripercussioni sulla vita e sull’azione di governo”. Il cronista sottolinea che c’è stato un calo record dello spread sotto quota 200 e Saccomanni commenta: “Sono molto soddisfatto, perché è un riconoscimento dei progressi del Paese”. Ma Renzi dice che è tutto merito di Draghi: “Nessuno può negare l’importanza delle dichiarazioni di Mario Draghi e delle azioni della Bce a sostegno dell’euro. Ma nessuno può ignorare che quelle dichiarazioni e quelle azioni seguono scelte precise compiute dai governi dell’Eurozona, in termini di risanamento finanziario e di contenimento dei debiti pubblici”. Il premier e Sacomanni sono convinti che il 2014 sarà l’anno del calo delle tasse. E lo stesso Saccomanni conferma: “le famiglie, i lavoratori e le imprese pagheranno meno tasse. Capisco che la gente si aspettava di più. Ma quest’anno la riduzione dell’Irpef non sarà insignificante. E nel prossimo triennio le tasse si ridurranno di ben 9 miliardi”. Dove troverete i soldi? “Dalla spending review e dal provvedimento sul rientro dei capitali, che vareremo all’inizio di febbraio. E anche dal recupero dell’evasione fiscale, che anche nel 2013 ci ha consentito di far emergere 12 miliardi, e che nel 2014 intensificheremo. Certo, anche su questo serve consenso politico: non si può sempre invocare la lotta all’evasione, e poi scandalizzarsi quando la Guardia di Finanza fa un certo tipo di interventi, gridando allo stato di polizia”. Quanto al populismo anti-europeo che aumenta in vista delle elezioni della prossima primavera, Saccomanni dice che “i partiti anti-europeo non capiscono che, senza Europa, la crisi sarebbe stata ancora più grave”. I leader di partito, Renzi compreso, ripetono che l’Italia può convincere l’Ue ad allentare i vincoli di bilancio e il limite del deficit al 3 per cento. Saccomanni risponde: “Le posso assicurare che non esiste una maggioranza di Paesi dell’Unione che vada nella direzione di un allentamento dei vincoli del Patto di Stabilità. Ne dobbiamo prendere atto. Del resto noi stessi abbiamo introdotto in Costituzione il pareggio di bilancio. Dunque, l’Italia e gli altri Paesi possono fare pressione sull’Europa perché faccia di più sulla disoccupazione e le infrastrutture. Ma sui vincoli di bilancio il 3% non è in discussione. Possiamo anche sforarlo, ma dobbiamo sapere che ne pagheremmo le conseguenze, in termini di maggior costo del debito e di perdita di autonomia nella gestione dei nostri conti. Può non piacerci, ma questa è la realtà. E non si tratta di andare a Bruxelles a sbattere i pugni, come troppo spesso sento dire”.
E poi
Il Papa andrà in Terra Santa a maggio, come spiega La Stampa: lo ha annunciato ieri all’Angelus. Andrà ad Amman, Betlemme e Gerusalemme. Il quotidiano interpella Aaron David Miller, ex negoziatore americano sul Medio Oriente, che parla di una possibile “diplomazia parallela” da parte del Pontefice, pur senza avere alcun ruolo formale, sia sul negoziato israelo-palestinese che sul destino dei fedeli cristiani nella regione.
Il Corriere della Sera ricorda peraltro che è in corso il viaggio del segretario di Stato Usa in Medio Oriente proprio per sollecitare progressi nei negoziati israelo-palestinesi: ieri ha incontrato i monarchi giordano e saudita, tentando di superare gli ostacoli sul percorso di pace emersi dai colloqui con il premier israeliano Netanyahu e il presidente palestinese Abbas.
Sullo stesso quotidiano, grande attenzione per la situazione in Iraq, “nuovo rebus per l’America”: dopo la caduta di Falluja nelle mani di Al Qaeda, Washignton esclude l’invio di truppe, ma pensa ad aiuti per contrastare i qaedisti, perché il vuoto di potere favorisce radicalismo e conflitti locali.
Su La Repubblica: “La rinascita di Al Qaeda. Ora la strategia del terrore riparte da Siria e Iraq”, “ma la rete dell’organizzazione si estende dall’Africa al Caucaso”. Il quotidiano intervista Bruce Riedel ex consigliere di Clinton e consulente della Casa Bianca, oltre che ex analista Cia. Quale è il nuovo epicentro del jihadismo? “E’ la Fertile Mezzaluna, dove il ramo di Al Qaeda più pericoloso e violento si è radicato in un santuario che va da Baghdad a Damasco a Beirut, con cellule dormienti ad Amman: un unico grande campo dove si combatte la guerra civile tra sciiti e sunniti. I jihadisti dello Stato islamico di Iraq e Al Sham (Levante, ndr.) si spostano liberamente. Hanno cancellato i confini di Sykes-Picot tracciati da Londra e Parigi dopo la Prima guerra mondiale”.