La Repubblica: “Le primarie incoronano Bersani”, “Candidato premier con il 60% dei voti. Renzi: ho fatto errori ma era giusto provarci”. In taglio basso: “Sallusti, Napolitano pensa alla grazia”.
Il Corriere della Sera: “Bersani vince la sfida delle primarie. ‘Ora comincia la battaglia vera’. Renzi: ‘Provarci è stato giusto, sarò leale’. Il segretario Pd supera il 60 per cento nel ballottaggio e conquista la candidatura a premier per il centrosinistra. Votanti in calo”. A centro pagina: “Il governo tagli prefetture e questure. 70 sedi in meno”.
La Stampa: “Vince Bersani: ora il governo. Il segretario: spazio ai giovani. Renzi: sconfitta netta, sarò leale”. A centro pagina: “Sallusti, il Quirinale ‘valuta ogni ipotesi”. Accanto: “Taranto, il ministero indaga sui tumori”. Il ministero della salute ha annunciato che creerà un Osservatorio sull’area prossima all’acciaieria, insieme all’Organizzazione mondiale della sanità.
Pubblico: “Ma ora i Pd sono due. Il sindaco ammette la sconfitta e chiede al candididato premier un ‘segnale’ per dare spazio ai nuovi democratici. Ma il vincitore si limita e promettere ‘spazio e occasioni ai giovani’”.
Il Giornale: “Restano comunisti. Bersani batte Renzi. La sinistra non cambia: con il segretario continuano a comandare i soliti. Con l’ex Pci candidato premier si avvicina il ritorno del Cav”. A centro pagina, con foto: “Berlusconi: su Sallusti una follia. E Napolitano pensa alla grazia”.
L’Unità: “Tutti con Bersani”. L’editoriale, firmato dal direttore Claudio Sardo: “Cambiare l’Italia è possibile”. Di spalla “lo sconfitto”: “Renzi: siamo stati battuti, ma il tempo è con noi”.
Primarie
Sulle primarie Nichi Vendola viene intervistato da quasi tutti i giornali. A La Repubblica dice che “ha prevalso la sinistra”. Vendola riconosce a Bersani la corona di “candidato premier”, mentre ha perso Mario Monti, di cui il governatore dice: “Lo vedo in panchina, come molte altre personalità che hanno dato tanto al Paese”. Rappresenta un segnale per Monti? “E’ così. Il voto delle primarie chiede un governo che tuteli la pubblica istruzione, che oggi viene percepita come ferita e agonizzante. Chiede politiche che possano sostenere la domanda interna, che consentano l’apertura di cantieri, che liberino la spesa in conto capitale dai vincoli del patto di stabilità”. Ci sarà posto per Renzi nel centrosinistra, che parla all’Italia cui fa cenno Vendola, ovvero “quella del ceto medio, delle partite Iva, dei lavoratori e delle lavoratrici che vivono un inedito e drammatico sentimento di solitudine”? Vendola: “Quanti hanno scelto Renzi perché l’Italia non è un Paese per giovani hanno bisogno di sapere che questa domanda di ricambio sarà accolta. Ma il problema prevalente, oggi, è la giustizia sociale. All’anima liberal che si è manifestata con il voto a Renzi dobbiamo dare soddisfazione dal punto di vista dei diritti civili e della libertà”. Alla domanda se il risultato renda più concreta la possibilità di una lista unica tra Sel e Pd risponde “la considero abbastanza fantapolitica”, e insiste invece su un “cantiere” in cui “discutere del soggetto politico dei progressisti”.
Arturo Parisi, che si era espresso a favore di Renzi, intervistato da La Stampa, dice: “Bersani deve ascoltare la voce di Renzi, ma anche del 40 per cento di democratici che riconoscendosi in lui hanno mandato un messaggio potente”.
Rosy Bindi, intervistata da La Repubblica: “Ora Bersani è candidato a guidare il Paese, e con lui lo è tutto il partito, e il nuovo centrosinistra”. Tutto il partito, quindi Renzi va coinvolto? Bindi: “Quello che ha conseguito è un risultato indubbiamente significativo e, come lo stesso Renzi ha sempre detto, ora dovrebbe essere messo al servizio della campagna elettorale per vincere le elezioni”. Se vincerete Renzi deve avere un posto al governo? “Renzi ha sempre detto che se perdeva sarebbe tornato a fare il sindaco e avrebbe dato una mano al vincitore. Quanto a un posto nel governo, lo deciderà Bersani, ma mi pare che lui stesso in questi giorni abbia detto niente ticket. Ed è lo stesso Renzi che in questi giorni ha voluto sottolineare ‘noi e loro’. Adesso il programma che ha vinto fa l’unità del partito e del centrosinistra. Bersani è una persona inclusiva, ma tra i due programmi c’erano grandi differenze”.
Su Il Giornale, in un retroscena, “imbarcare Renzi o no: i problemi di Bersani sono appena iniziati”, “tra i fedelissimi di Pierluigi è già scontro sul futuro del sindaco”. Secondo Il Giornale la squadra del vincitore in queste settimane si è sotterraneamente divisa in due partiti: quello del “non faremo prigionieri” e quello degli aperturisti, che vogliono usare la “risorsa Renzi” per rafforzare il partito, prevedendo un suo coinvolgimento nel futuro del Pd e della coalizione. Un partito nel quale, a sorpresa, si inserisce anche l’antagonista simbolo del rinnovamento renziano, ossia D’Alema, che ieri ha dichiarato: “Il consenso di Renzi è fondamentale per andare al voto”. L’ex premier non ha certo cambiamento sentimenti nei confronti di Renzi ma, come è avvenuto in Puglia nello scontro con Vendola, il punto di arrivo è stato quello di “neutralizzare la spinta dirompente che, un anno fa” veniva attribuita al governatore pugliese, “che ora accetta il ruolo di collettore dei propri voti militanti sul segretario del Pd”.
Sul Corriere, un analogo articolo: “La trattativa con Matteo già divide i democratici. Lui: ora ho altro da fare. Anche D’Alema tra chi intende ‘coinvolgerlo’”. E si riprende la opera di neutralizzazione di Vendola, messa in atto da D’Alema, ricordando che, malgrado i dissidi del passato, ora il governatore è diventato il più strenuo sponsor dell’attuale presidente del Copasir: “Massimo deve andare agli esteri”; con D’Alema che ha prontamente ricambiato la cortesi: “Vendola sarà ministro”.
L’Unità fa sapere che oggi inizia con la Libia un lungo tour diplomatico di Bersani: dopo la tappa africana sarà in Germania e poi a Parigi (“Comincia la corsa del candidato premier”). Anche sul Corriere: “E subito comincia il tour nelle cancellerie europee. Stasera parte la prima missione: andrà a Tripoli”. “Il segretario dei Democratici intende dimostrare che i rapporti internazionali non li ha solo Monti”.
Su Il Corriere della Sera ci si occupa delle reazioni in rete: “Su twitter parte l’hashtag PalazzoPigi”, ovvero le iniziali di Bersani per la conquista alla sede del governo.
Retroscena su Il Giornale: “Il Cav pensa a sfidare Bersani: ‘La sinistra è sempre la stessa. Berlusconi tentato dal ritorno: gli avversari non cambiano mai. Renzi? E’ finito stritolato dalla vecchia burocrazia del partito comunista”.
Su La Repubblica, ancora sulle primarie e la reazione nel centrodestra: “Il risultato sprona Berlusconi: ‘Senza Renzi io posso correre’”.
Sul Corriere della Sera: “L’effetto Bersani allontana il passo indietro di Berlusconi”. Le considerazioni che il Cavaliere avrebbe fatto sarebbero queste: nello schieramento del centrosinistra non c’è stato rinnovamento generazionale o politico (Bersani viene dal lungo corso Pci-Pds-Ds-Pd) e quindi non c’è alcuna necessità perché il fondatore del centrodestra si faccia da parte. Il Cavaliere avrebbe osservato che Bersani è in politica da più tempo di lui.
La Stampa scrive che la vittoria di Bersani consente al Cavaliere di tornare in pista, “ma deve decidere prima che svanisca l’effetto primarie”.
Il Fatto quotidiano ricorda che da oggi gli attivisti del Movimento 5 Stelle voteranno per scegliere i candidati al Parlamento. I requisiti per candidarsi: “quelli che hanno accettato si sono in precedenza presentati alle elezioni comunali o regionali per il Movimento, non hanno precedenti penali, non sono in carica come sindaci o consiglieri, non hanno fatto due mandati”. Ogni votate ha a sua disposizione tre preferenze da attribuire a candidati della circoscrizione elettorale cui appartiene, al cui elenco viene indirizzato al momento del voto, “tutto in maniera automatica”.
Internazionale
“Abu Mazen, ritorno da eroe”, titola La Stampa, scrivendo che dai palazzi della diplomazia il braccio di ferro tra palestinesi ed israeliani sul riconoscimento della Palestina come Paese osservatore non membro delle Nazioni Unite, si è trasferito sul terreno, tra Cisgiordania e Stato di Israele. Ieri è stato il grande giorno del riscatto di Abu Mazen, presidente Anp, il cui ruolo sembrava uscito irreparabilmente ridimensionato dopo il conflitto di Gaza a vantaggio degli intransigenti di Hamas. Invece ha fatto ritorno a Ramallah da eroe. Ha arringato la folla al grido “ora abbiamo uno Stato”. Da parte sua il “bentornato” ad Abu Mazen da parte del primo ministro israeliano Netanyahu è stata la costruzione di 3000 nuovi alloggi. Il segretario di Stato Usa Clinton ha parlato di una decisione che “ritarda il processo di pace”. Scrive La Stampa che Abu Mazen sa di dover cogliere l’attimo per parare l’offensiva dei “signori di Gaza” ovvero Hamas, spalleggiata dall’Egitto: fa un bagno di folla a Ramallah, menziona Arafat, i “martiri”, i detenuti nelle carceri israeliane.
Anche su La Repubblica: “Abu Mazen in trionfo a Ramallah”, “’ora riconciliazione tra i Palestinesi’”. Queste le parole di Abu Mazen: “Nei prossimi giorni verranno fatti dei passi per la riunificazione di tutte le fazioni palestinesi”. Ma da Gaza, fa notare il quotidiano, non è arrivata nessuna telefonata. Solo un’ora prima si era tenuta l’abituale riunione domenicale del governo israeliano: Netanyahu ha confermato l’intenzioen di costruire 3000 nuovi alloggi nella Cisgiordania occupata ed a Gerusalemme est. Le costruzioni previste riguardano la zona E1, che sitrova tra Gerusalemme e l’insediamento di Maale Adumin, nella zona lungo la strada che scende lungo la valle del Giordano, dove Israele si era impegnato con gli Usa a non costruire. Il progetto crea una contiguità territoriale tra Maale Adumin (dove abitano 30 mila coloni) e i quartieri di colonizzazione di Gerusalemme est come Pisgaat Zev (dove già vivono 50 mila israeliani) compromettendo la fattibilità di un futuro Stato palestinese perché taglia la Cisgiordania in due. E sempre ieri il ministro delle finanze israeliano ha annunciato il blocco del trasferimento delle tasse doganali che Israele raccoglie per conto dell’Anp per le merci destinate alla Cisgiordania: si tratta di più di 120 milioni di dollari al mese, senza le quali le casse dell’Anp non ce la fanno a pagare i dipendenti pubblici.
Zeev Sternhell, intellettuale israeliano, storico e docente di scienze politiche a Gerusalemme, in una intervista a L’Unità dice che “riconoscere la Palestina è un regalo per Israele”. E spiega: “Solo attraverso la fine della occupazione è possibile preservare le fondamenta democratiche dello Stato e la sua identità ebraica”. Sul voto all’Onu e la dura reazione del governo israeliano Sternell dice: “invece di gridare al tradimento, paventando chissà quale congiura internazionale, Netanyahu e Lieberman (il ministro degli esteri, ndr) farebbero meglio a interrogarsi sulle ragioni che hanno spinto Paesi non certo ostili a Israele, ad esempio l’Italia, a sostenere la richiesta palestinese. Il muro contro muro porta all’isolamento, e questo è un male per Israele”. E ancora: “Francamente non vedo cosa ci sia di provocatorio nella richiesta di essere riconosciuti dalle nazioni del mondo. Certo, un accordo di pace lo si raggiunge negoziando direttamente, ma Israele dovrebbe avere tutto l’interesse a non delegittimare una controparte moderata, disposta al compromesso”. “Mi lasci aggiungere che essere ‘Stato’ consegna ai palestinesi e alla loro leadership non solo diritti ma anche doveri. Il primo dei quali è quello di non costituire una minaccia per i vicini, in questo caso Israele”. Sulla reazione di Netanyahu, ovvero il via libera ai 3000 nuovi alloggi in Cisgiordania e a Gerusalemme est, e sulle dure parole che Sternell ha sempre avuto verso il movimento dei coloni, dice: “Ho sempre fatto riferimento alle frange più estreme dei coloni. Guai a generalizzare. Le frange estreme non riconoscono nessun potere costituito – il consiglio di Giudea e Samaria – visto come un manipolo di traditori che dialoga con ‘il nemico’, lo Stato ebraico. Queste persone calpestano la legge e fanno uso di violenza contro i palestinesi come contro i rappresentanti del potere ebraico – soldati, poliziotti, funzionari – che sono lì solo per proteggerli”. L’atteggiamento da evitare nei confronti di queste frange estremiste è “l’indulgenza” poiché essa ha portato “ad una situazione degenerativa che non si ferma ai territori”. “L’aggressività, la violenza, il concepire chi la pensa diversamente come un ‘traditore’. Al di qua della linea verde è stato esportato un metodo di comportamento che quando viene compiuto contro i palestinesi nei Territori viene tollerato, spesso neppure indagato”.