Il Corriere della sera: “Paura e arresti a Bruxelles. Sotto assedio la capitale. Sedici fermati nel blitz, Salah braccato. Ancora chiuse scuole e metrò. Piano di sicurezza per il Giubileo”. E poi: “Obama verso il cambio di strategia: ‘distruggeremo l’Isis’”.
A centro pagina: “Carte di credito e auto, la rete dei jihadisti in fuga”. “Le tracce del passaggio in Italia”. Accanto: “’Noi senza Valeria. Il padre: quando ci penso mi si chiude il cuore”.
A fondo pagina: “Salvataggio per 4 banche, tasse rinviate. Agevolazioni per il sistema creditizio che sborsa 3,6 milardi, sfiorato il baratro”.
Da segnalare anche, sulla politica: “Mossa Pd anti-Bassolino. Niente ex sindaci alle amministrative. Voto possibile il 12 giugno”.
La Repubblica: “Bruxelles, città sotto assedio”, “Dopo due giorni di allarme, nella notte blitz della polizia in varie zone della capitale”, “Arrestati 16 sospetti jihadisti ma Salah è di nuovo in fuga. Metro e scuole restano chiuse”, “Tra i siriani passati dall’Italia anche un terzo terrorista. Obama: li distruggeremo”.
L’inviato a Bruxelles Daniele Mastrogiacomo racconta lo stato d’assedio; Bernard Guétta firma un’analisi dal titolo “La sfida di Hollande ferito dall’Is”; Chaima Fatihi offre la sua testimonianza (“Io musulmana rinnego quei killer”); il filosofo Jurgen Habermas, intervistato da Le Monde, dice “Il vero pericolo è la fine della tolleranza verso l’altro” e l’economista Nouriel Roubini, interpellato da Repubblica, sottolinea che è necessario “Investire contro la paura per evitare il crollo economico”.
Al tema sono dedicate anche le riflessioni di Adriano Prosperi (“Dio, l’orrore e l’etarna domanda”) e di Massimo Recalcati (“Anime morte che invidiano la vita e la libertà”).
Sull’Italia: “Sì del governo al salvataggio di 4 banche. Crisi edilizia evitata con 3,6 miliardi”.
E “il caso” raccontato da Tommaso Ciriaco e Carmelo Lopapa: “Primarie, il Pd gela Bassolino. ‘No a candidati che siano stati sindaci’”.
A fondo pagina, una lettera di Emiliano Fittipaldi, autore del libro-inchiesta sugli scandali in Vaticano “Avarizia” e rinviato a giudizio: “A processo insieme a me anche la libertà di stampa”.
Infine, “l’inchiesta” di Michele Bocci: “I furbetti del ticket: ‘Un italiano su 10 è falso esente’, 2 miliardi i danni”.
La Stampa: “Bruxelles, retata di terroristi”, “Blitz nella notte: 16 arresti. Il ricercato Salh avvistato a Liegi, in fuga verso la Germania”, “nella capitale belga anche oggi trasporti fermi e scuole chiuse. Parigi, il fidanzato di Valeria: è morta tra le mia braccia”.
Ne scrivono Vladimiro Zagrebelsky (“Democrazia, una debolezza che va difesa”) e Stefano Stefanini (“L’Italia decida il suo ruolo in campo”).
Lo “scenario” di Maurizio Molinari: “Siria, si pensa a una nuova spartizione”.
A centro pagina, foto di un pullman di studenti di Los Angeles che rievoca il gesto rivoluzionario di Rosa Park, che rifiutò di cedere il posto ad un bianco: “Obama critica i nipotini di Rosa Park”, “Il presidente: la lotta per i diritti civili non è intolleranza. E 60 anni dopo l’Italia la celebra con lezioni sui bus”.
Sulla politica italiana: “Ok del governo al piano salva-banche da 3,6 miliardi”, “’Ma senza soldi pubblici’”.
E sulle “tensioni nel Pd”, intervista al vicesegretario Lorenzo Guerini: “Guerini, stop a Bassolino: lasci ad altri il testimone”.
Il Fatto, su Bruxelles: “Blitz e beffa, Salah fugge in Bmw”, “Sei arresti. Secondo i siti belgi, il boia di Parigi scappa verso la Germania”, “Raffica di operazioni delle forze di polizia nella capitale d’Europa semideserta. Ordine di silenzio ai media e ai social: ‘Le notizie aiutano i jihadisti’. Sulla sicurezza in Italia, il ministro Alfano se la prende con ‘Il Fatto’: ‘Professionisti dell’ansia’”.
Più in basso, il “documento”: “Dall’America alla Russia: dove prende le armi l’Isis”.
E un commento di Gianni Vattimo: “E se uccidessero per la noia o l’esclusione?”.
La “storia di copertina”: “Le prigioni della mente che non chiudono mai”, “Nel marzo 2015 una legge ha stabilito la fine legale degli ospedali per i detenuti malati di mente. Ma le sei strutture esistenti in Italia sono ancora regolarmente aperte (e in condizioni pessime)”. Di Silvia D’Onghia.
Sotto la testata, il Consiglio dei ministri straordinario di ieri: “Il governo ‘resuscita’ 4 banche: c’è anche quella di papà Boschi”, “ma niente soldi pubblici”.
Il Giornale: “Caccia all’uomo a Bruxelles.Blitz contro l’Isis. Maxi operazione nella notte in tutto il Belgio: almeno sette jihadisti arrestati, cellula sgominata. Ma Salah, uno degli attentatori in fuga, è ancora in fuga”. “E i militari italiani sono addestrati con le armi di 40 anni fa”.
L’editoriale, di Alessandro Sallusti: “Renzi da ventriloquo della Merkel a portavoce di Obama”.
A centro pagina: “Berlusconi: ‘Avanti con Salvini’. Il Cavaliere alla scuola della Lega”.
Il Sole 24 ore: “La Tasi esce di scena con gli ultimi rincari. Nelle delibere per il pagamento del 16 dicembre non si ferma la corsa delle aliquote. Per l’Imu gli aumenti maggiori su case sfitte e capannoni”.
A centro pagina: “Una famiglia su quattro rinuncia al nuovo Isee. L’effetto di criteri più severi e dell’incrocio dei dati su beni e risparmi”.
Due commenti in prima sulla “Europa dopo il 13 novembre”, firmati da Carlo Bastasin ed Adriana Cerretelli.
Bruxelles, Parigi, le indagini
La Stampa, pagina 2, corrispondenza da Bruxelles di Marco Zatterin: “A Bruxelles blitz e sedici arresti. La città resta chiusa anche oggi”, “Blocchi e perquisizioni. Evacuata una tv, l’hotel Radisson sigillato: ‘Restate in stanza’. Trasporti fermi, le scuole non aprono. Per la prima volta dal ’45 sinagoghe vuote al sabato”. Si dà conto delle cinque ore di caccia all’uomo nel cuore della capitale belga: “ma anche, e soprattutto, nel comune di Molenbeek”. Alla fine si sono contati diciannove blitz nella regione di Bruxelles, quindi nella vicina Charleroy e a Liegi. Sono entrate in azione truppe speciali col colpo in canna. Sedici gli uomini arrestati, uno è stato ferito, ma fra di loro non c’è il super-ricercato Salah Abdelslam, che è ancora in fuga. Lo hanno identificato a Rocourt, nei pressi di Liegi, prima che riuscisse a seminare gli inquirenti, allontanandosi sull’autostrada E40, verso la Germania.
E Alberto Mattioli firma il “retroscena”: “Corsa contro il tempo per bloccare Salah. Avvistato a Liegi, in fuga verso la Germania”, “Polemica sugli 007 che non hanno segnalato il basista Dahmani”. Quest’ultimo è un belga di 26 anni arrestato in Turchia, ad Antalya: è sospettato di aver fatto dei sopralluoghi a Parigi per preparare il terreno ai kamikaze. E’ arrivato in Turchia il giorno dopo gli attentati di Parigi con un volo da Amsterdam, si preparava a passare il confine siriano. Le autorità belghe non l’avevano segnalato a quelle di Ankara e Dahmani non compare nelle lunghe liste (oltre 25 mila nomi) dei “foreign fighters” cui la Turchia vieta l’ingresso sul suo territorio.
Salah avrebbe partecipato al blitz sullo Stade de France al volante di una Clio nera. Ci si sofferma sul fatto che non si sia fatto esplodere come il fratello Brahim. Non ha avuto coraggio? Non ha funzionato il suo giubbotto esplosivo? Il fratello di Salah si è detto convinto che abbia avuto un ripensamento e lo ha invitato a costituirsi. E si fa l’ipotesi che a cercarlo non siano solo le polizie europee, ma la stessa Isis: se non si è fatto saltare, andrebbe punito e in ogni caso è bene che non parli.
Sul Corriere un ritratto: “Il fantasma Salah. La polizia ha ricevuto almeno sessanta segnalazioni. ‘Lo vedono ovunque ma non è da nessuna parte’. Il nuovo appello del fratello: ‘Spero si arrenda’”.
Anche su IL Giornale (“Caccia all’uomo a Bruxelles”) si leggono le dichiarazioni del fratello di Salah: “Preferiamo vederlo in prigione a vita piuttosto che morto”. Si legge anche che “le indagini vanno a rilento e tra falsi allarmi”. Per esempio è stata evacuata la sede di una tv fiamminga, Vtm, poi di una radio. Poi l’allarme ad un Radisson Hotel.
Anche sul Corriere Fiorenza Sarzanini scrive che la “caccia” per catturare Salah Abeslam riparte da “una Citroen con targa belga” intestata a un marocchino residente a Bruxelles e da una carta di credito utilizzata in Italia la scorsa estate e ancora attiva fino al 13 novembre scorso, il giorno della strage di Parigi. Secondo le indagini Abdeslam potrebbe aver trovato rifugio ad Anderlecht, in attesa di partire per la Siria. Si teme che alcuni dei fuggiaschi – forse sei – potrebbero entrare nuovamente in azione. Sarzanini si sofferma anche sugli arresti in Turchia di presunti terroristi Isis.
Su Il Giornale: “La Ue non segnala alla Turchia il basista di Parigi”. Dove si legge che “i clamorosi abbagli dei servizi di intelligence europei non finiscono mai” e che sulla presenza di Dahmani nessuna segnalazione è venuta dai servizi di intelligence europei.
Su La Repubblica, a pagina 2, Daniele Mastrogiacomo da Bruxelles: “Stato d’assedio a Bruxelles, blitz in centro e a Molenbeek, ‘Arrestati 16 sospetti jihadisti’. Salah di nuovo in fuga”. Dove si legge che tra le 19 abitazioni perquisiste c’è anche quella dello zio del superlatitante. Azioni militari intorno alla Grand Place, forse come diversivo, scrive Mastrogiacomo. E le autorità chiedono di non twittare i dettagli.
E alla pagina seguente: “Il ricercato scappato da Liegi verso Est. Il fratello: consegnati”. Anche qui si ipotizza che Saleh sia braccato tanto dalla polizia che dall’Is, che non gli perdonerebbe il tradimento o la codardia.
Alle pagine 6 e 7, il punto sull’inchiesta firmato da Carlo Bonini, Giuliano Foschini e Fabio Tonacci: “Ecco il quadrilatero del terrore che ha beffato i Servizi europeo. In Italia anche un terzo kamikaze”, “Per mesi i membri del commando si sono mossi senza problemi tra il nostro Paese, la Francia, il Belgio e la Grecia”. La Procura di Parigi ha diffuso l’immagine del terzo kamikaze morto allo Stade de France, ma l’inchiesta “afferra una seconda e scomoda verità. Che interpella Francia, Belgio, Italia e Grecia e l’incapacità di mettere a fattor comune informazioni cruciali di polizia e intelligence che forse avrebbero potuto rendere meno agevole l’orrore dell’Is. Perché è in questo quadrilatero, appunto, che il califfato ha pianificato, venerdì 13 e perché si scopre ora -stando a quanto accreditano fonti dell’inchiesta a Parigi- anche Ismael Omar Mostefai, uno dei macellai del Bataclan, transitò in Italia. Nel settembre del 2013. Proveniente da Marsiglia e diretto in Siria via Grecia e Turchia”. E con Mostefai arrivano a tre i transiti nel nostro Paese di uomini con un ruolo nelle stragi. Salah e Dahmani erano noti almeno all’inizio del 2015 alla polizia e all’intelligence belga come islamisti radicali e, come tali, mai segnalati agli apparati antiterroristi (né dei Paesi Schengen, né della Turchia). Mostefai era già stato identificato dal sito francese Médiapart nel 2009 come appartenente a un gruppo salafita di Chartres: è stato inspiegabilmente “perduto” dall’intelligence interna francese proprio quando entrerà in Siria.
Guerra all’Isis
Sul Corriere Ernesto Galli della Loggia scrive del “senso di lutto” dopo le stragi di Parigi che è stato “sublimato” in Europa in “un autocompiacimento al limite di un’insulsa arroganza culturale”. Colpire dei luoghi pubblici è stato trasformato in un attacco “’al nostro modo di vivere’, alla ‘nostra possibilità di uscire la sera per andare a un concerto, a un ristorante, a divertirci’: come se queste medesime cose non facciano parte della vita quotidiana di quasi tutto il mondo, Paesi islamici inclusi (e infatti in tutto il mondo, dall’Iraq alle Filippine, il terrorismo predilige esattamente gli stessi bersagli che ha colpito a Parigi)”. E all’impegno “roboante” in base alla parola d’ordine “non cambierete le nostre abitudini” corrispondeva la restaurazione di “barriere e controlli abbandonati da anni”, e persino “una quisquilia come lo ‘stato d’emergenza’”. Galli della Loggia cita anche le parole di un uomo cui è stata uccisa la moglie, parole prese “mielosamente come esemplari, quasi il prototipo obbligatorio della reazione politicamente corretta: ‘Non vi farò il dono di odiarvi’”. “Se s’intende che non bisogna scendere in strada a organizzare pogrom antislamici, non mi pare proprio che siano cose di cui fortunatamente (ripeto per chi non voglia capire: fortunatamente) esista la minima avvisaglia. Ma di fronte a certi crimini non esiste, non deve esistere, non è moralmente degna, una collera della giustizia?”. Ma “da noi la parola ‘guerra’, come ha capito benissimo il nostro presidente del Consiglio, è diventata una parola impronunciabile. E se no del resto come potremmo sentirci così buoni?”.
Di Renzi si occupa Alessandro Sallusti, sulla prima de Il Giornale. Dove si legge che il presidente del consiglio “da ventriloquo della Merkel sui temi economici” è diventato “il portavoce di Obama” sui temi di politica internazionale. “Dà l’impressione di attendere ordini rinunciando alla minima autonomia di giudizio e iniziativa”.
Su La Repubblica, un intervento del filosofo tedesco Jurgen Habermas con copyright Le Monde. Dice: “Combattiamo la barbarie salvando la libertà”, “Non dobbiamo cercare fantomatici nemici interni. Il pericolo vero non è l’asservimento a una cultura straniera, ma la fine della tolleranza verso l’altro”, “Il fondamentalismo jihadista ricorre a un codice religioso, ma non è una fede. E’ ideologia pura”. Secondo Habermas “nel suo modo di esprimersi il fondamentalismo jihadista ricorre a tutto un codice religioso, ma non è affatto una religione. Al posto dei termini religiosi di cui fa uso potrebbe usare qualunque altro linguaggio devozionale, o anche mutuato da una qualunque ideologia che prometta una giustizia redentrice”.
Su La Repubblica una lettera di Chaima Fathi, studentessa musulmana italiana di 22 anni: “Io, musulmana e italiana, dico ai terroristi: non ci avrete mai”, “Se qualcuno di voi mira a fare proseliti, sappia che migliaia di noi sono pronti a difendere il Paese”.
Su La Repubblica, intervista all’economista Nouriel Roubini: “Ma la vera sfida è investire contro la paura evitando la crisi”, “Tra le conseguenze degli attacchi c’è anche il crollo della fiducia, che in economia è tutto. Hollande e Merkel si giocano la riconferma”.
Su La Stampa: “Determinato e rassicurante, Hollande capo di guerra funziona”, “Dopo gli attentati a Parigi il presidente non ha perso la testa. Sempre più francesi lo apprezzano e i giovani vogliono arruolarsi”.
Su La Stampa: “Corani bruciati, insulti e aggressioni, in Francia scatta l’allarme islamofobia”, “Già registrati 24 atti offensivi. Le comunità: ‘Per colpa dei terroristi siamo nel mirino’”.
Su La Repubblica Federico Rampini racconta di quali “privilegi” pare godano gli “emiri della propaganda” dell’Is: un salario sette volte superiore ai combattenti, una casa di rappresentanza, la Toyota di servizio, l’esenzione totale dalle imposte. Ne ha parlato in una inchiesta il Washington Post: sarebbe questo l’esito delle interviste realizzate con detenuti islamisti in un carcere del Marocco e con ex militanti che hanno tradito la causa e si sono rifugiati all’estero. “’Luci soft ed effetti speciali’. Per i video dell’orrore registi pagati più dei soldati”, “Sul Washington Post le voci di cameramen e produttori fuggiti dalle città dello Stato islamico”.
Su La Repubblica il reportage di Giampiero Caladanu: “A Sinjar liberata, la città martire yazida che ha battuto la jihad”, “Rasa al suolo dagli uomini di Daesh, fuggiti dopo l’attacco dei peshmerga: ‘Qui ormai sono morti tutti’”, “’Li abbiamo sconfitti, ma ci sono ancora trappole esplosive. E’ pulito solo metà del centro’”, “In una fossa comune trovati i corpi di 78 donne trasformate in schiave sessuali”.
Guerra in Siria, Obama, Europa
Per tornare al Corriere un intervento di Bernard Herny-Lévy (“Perché la pace a Parigi passa dalla guerra”) scrive che nella guerra contro il terrorismo “è il fronte esterno che è quello principale”, ovvero quello che passa per Raqqa e Mosul e le altre città irachene e siriane” occupate da Daesh perché non si può “guarire da un cancro prendendo di mira solo le metastasi e lasciando proliferare il tumore principale”. Ad oppporsi a questa guerra da una parte “l’atteggiamento alla Monaco 1938”, dall’altra il timore di finire in un pantano (ma “se così fosse perché gli unici che sono per adesso gli unici a opporsi allo Stato islamico vincono a mani basse tutte le battaglie che intraprendono?”). Ma soprattutto c’è “la reticenza di Obama” “tormenato da quella che saremmo tentati di chiamare sindrome di Oslo” perché “sembra domandarsi ogni mattina come dovrebbe agire un vero premio Nobel per la pace”.
Sullo stesso quotidiano Massimo Gaggi racconta che domani Obama incontrerà Hollande e che nel suo ultimo discorso, fatto in Malaysia, il presidente Usa ha accennato “a un cambio di passo nella lotta contro l’Isis”. Un cambio di passo che non significa cambiamento di strategia: “Non parla di truppe combattenti in Siria”, “rinnova le pressioni alla Russia” perché si unisca alla coalizione occidentale contro l’Isis. “’Per battere l’Isis dobbiamo avere un Siria pacificata e lì i combattimenti continueranno fino a che ci sarà Assad al potere”. Il cambiamento di toni di Obama riguarda soprattutto la politica interna: era partito per la Malaysia attaccando i repubblicani per il loro no alla accoglienza ad altri rifugiati siriani. Torna dopo che al Congresso è stato votato il provvedimento per bloccare 10 mila rifugiati è stato votato anche da 47 democratici. Per questo sposta l’accento sulla lotta al terrorismo ribadendo che “non possiamo alzare barricate” e che comunque il sistema di controlli degli Stati Uniti è il più “accurato del mondo”.
La Repubblica, corrispondenza da New York di Alberto Flores D’Arcais: “’Distruggeremo l’Is. Assad si faccia da parte’. Obama chiama gli aleati, anche Londra farà i raid” , “Il presidente americano lancia l’offensiva: ‘Più cooperazione con i partner’”. Le parole di Obama: “Li distruggeremo, li cacceremo dalle terre in cui si trovano, taglieremo le loro fonti di finanziamento e le linee di rifornimento, decapiteremo i loro vertici e smantelleremo le loro reti”. Nessun dettaglio -sottolinea il quotidiano- “ovviamente”, su come questo accadrà, ma il presidente Usa, criticato in patria e all’estero per una politica diplomatico-militare fin qui piuttosto fallimentare, dopo il massacri a Parigi e in Mali, rilancia la guerra al terrorismo con alla guida la Casa Bianca. Un appello agli alleati per un maggior impegno nella coalizione, una critica aperta al presidente russo Putin per le operazioni militari in Siria, mirate a colpire più gli avversari del dittatore Assad che le roccaforti dello Stato islamico. Sarebbe “molto utile”, ha detto, se con il Cremlino si arrivasse in tempi brevi a un accordo sull’uscita di scena di Aassd e sulla transizione verso un nuovo governo in cui coinvolgere l’opposizione moderata.
Su La Stampa la corrispondenza da New York di Paolo Mastrolilli: “’Distruggeremo l’Isis’. Obama cambia marcia per aiutare la Francia”, “Ancora escluso l’intervento di terra ma appoggerà eventuali blitz”.
E, sulla Gran Bretagna, La Stampa pagina 7: “Cameron accelera e va in parlamento per il via ai bombardamenti”.
Su La Repubblica, alle pagine 12 e 13, una lunga analisi di Bernard Guétta: “Hollande, Putin e il Califfo, cronaca dei dieci giorni che hanno cambiato il mondo”, “Gli attentati di Parigi hanno rivoluzionato la scena e convinto l’Occidente a fare qualcosa per la Siria: è qui che tutto ha origine e da qui si deve partire per modificare le cose”, “L’accordo tra Russia e Iran da una parte e Occidente e sunniti dall’altra è fondamentale”.
Su La Stampa uno scenario relativo allo “scacchiere internazionale” è firmato da Maurizio Molinari: “Salta il tabù dei confini intangibili. ‘Dividere Siria e Iraq in Stati etnici’”, “Diplomatici e analisti studiano quello che fino a poco tempo fa sembrava impensabile: un nuovo equilibrio in Medio Oriente che superi l’assetto attuale. Modello Bosnia o ancora più spinto?”.
Il Messaggero dà conto della dichiarazione di Donald Trump: “Credo che il waterboarding sia nulla in confronto a quello che ci farebbero”, ha detto il candidato repubblicano rispondendo ad una domanda se userebbe i metodi di interrogatorio duro con i sospetti terroristi.
Altre armi contro il terrorismo
Sul Messaggero Francesco Grillo parla di una possibile “arma non convenzionale” di lotta al terrorismo: la digitalizzazione. Purché ci sia “concretezza”, perché alla “ipertrofia” di convgni come quello tenutosi alla reggia di Venaria corrisponde una “anemia di realizzazioni e risultati tangibili”; E poi “buon senso”, “coraggio” e maggiore “democrazia e trasparenza”. Nel caso della lotta al terrorismo insomma sarebbe pericoloso “buttare il bambino delle libertà individuali e della riservatezza per sciacquare via l’acqua sporca del terrorismo”.
Sul Sole 24 ore Carlo Bastasin si sofferma sul tema sicurezza e sforamento di criteri del patto di stabilità dopo le dichiarazioni di Hollande e Juncker. “In poche ore molti commentatori hanno concluso che le regole europee non esistono più e che una nuova era è cominciata segnata da politiche fiscali e monetarie più espansive, rispondenti a priorità più rilevanti di quelle contabili. Nell’ipotesi migliore si tratta di un’illusione, in quella peggiore di un errore”. Scrive Bastasin che “l’espansione delle attività terroristiche dentro i confini europei richiede invece progetti di medio e di lungo termine molto più precisi, intesi a migliorare le condizioni di sicurezza e a definire il ruolo europeo nello scacchiere geopolitico. Ciò non significa affatto aumentare la spesa in armamenti, bensì prima di tutto investire nel ‘controllo’ del territorio europeo”. E così, su Schengen: “rialzare i confini nazionali non garantisce il controllo del territorio che richiede invece sorveglianza comune sulle frontiere esterne europee. Anche in questo caso indebolire il ruolo delle politiche condivise rischia di essere autodistruttivo. Non c’è Paese (forse Grecia esclusa) che come l’Italia avrebbe bisogno di un miglioramento tecnologico nel controllo del proprio territorio, un apporto esterno che garantisca libertà degli individui e correttezza nell’esercizio delle politiche di sicurezza, nonché un concreto aiuto nel controllo delle frontiere marittime. Invocare un’attenuazione delle regole europee è solo un altro parto della confusione polemica della politica italiana”.
Sul Corriere Ricardo Franco Levi: “Servono decisioni rapide per i costi della sicurezza Ue”.
Politica italiana
Sul Corriere Maria Teresa Meli: “Le primarie e la norma anti Bassolino. L’idea del Pd: vietarle agli ex sindaci. Renzi pensa a una scelta fuori dal partito. Amministrative il 12 giugno”. Si legge che le elezioni amministrative, per quanto riguarda il Pd, saranno precedute da elezioni primarie, il 20 marzo. “Alla fine infatti si è deciso che queste consultazioni si faranno dovunque”. Si cita Renzi: “’Non mi farò certo dire da chi magari le ha sempre osteggiate che proprio io non le ho volute’”. Per evitare “primarie complicate” con Marino a Roma o Bassolino a Napoli però si sarebbe deciso di “porre regole vincolanti per tutti” e che una di queste regole sarebbe “chi è stato sindaco non può ricandidarsi alla primarie del Pd”. Vale per Marino e Bassolino ma “varrebbe anche per Renzi a Firenze o per Veltroni o Rutelli a Roma”. La regola “ovviamente non vale per i sindaci in carica che si cimentano in un secondo mandato”, come Fassino a Torino.
Il Messaggero intervista il sottosegretario alla Funzione Pubblica Angelo Rughetti. Dice che “Bassolino non esaurisce le candidature”, che “il Pd presenterà altri candidati e altre idee”, che “già in passato abbiamo avuto ex sindaci che sono tornati in campo pensando che la loro candidatura avrebbe avuto effetti salvifici”.
Il Mattino intervista Stefano Caldoro: “La rottamazione è fallita, è giusto che l’ex sindaco ritenti”. Caldoro ha inviato un tweet di in bocca al lupo a Bassolino. Spiega che “si tratta di rispetto, posso dirlo io che sono sempre stato avversario di Bassolino, non solo di recente”. Bassolino ha avuto “momenti di grande amministrazione e grandi fallimenti”.
Sul Giornale: “Il ritorno del viceré: l’ex inquisito farà neri i compagni del Pd”. “Da rottamato a riciclato, ‘o governatore vuole riprendersi il trono di Napoli e regolare i conti con De Luca e De Mita. Ma trema anche il premier per la faida delle primarie”. Si legge che “dopo sei mesi di tira e molla che sono bastati a farlo dipingere come un conte di Montecristo” Bassolino “Masaniello è tornato, sta tornando”. Segue ritratto del personaggio dai suoi esordi alla caduta “lungo la via crucis dei rifiuti e di una politica asfittica”.
Banche
Sul Corriere della sera Federico Fubini spiega che il governo ieri ha varato un decreto che consente il pagamento differito delle imposte alle banche che interverranno per il salvataggio di 4 istituti bancari in crisi: si tratta della Carichieti, della CariFerrara, della Popolare dell’Etruria e di BancaMarche. Il salvataggio “completamente a carico del sistema creditizio”, costerà 3,6 miliardi. Fubini spiega che se il Parlamento avesse votato prima le nuove regole europee sui dissesti bancari si sarebbero risparmiati almeno 700 milioni di euro, che hanno perso azionisti e obbligazionisti subordinati delle banche in questioni. “Qualuno dirà che il governo punisce i risparmiatori” ma di fatto quei soldi erano già persi, “erano azzerate dalle perdite delle banche”. Sono al sicuro invece i correntisti. L’operazione – se fosse stata portata a termine da tutto il sistema bancario – sarebbe stata meno pesante ma “molti dei piccoli banchieri” hanno preferito “passare la mano” alle grandi banche, che invece sono intervenute anche per evitare possibili “contagi”.
La Stampa: “Via libera al piano salva banche”, “Operazione da 3,6 miliardi, ma il governo assicura: nessun finanziamento pubblico. Quattro ‘nuovi’ istituti presieduti da Nicastro (ex Unicredit). E Bruxelles approva”.
Il Fatto: “Renzi cede a Bruxelles. Le banche si salvano da sole”, “Nascono quattro nuove ‘good bank’ con la parte sana di quelle commissariate”, “Il premier non vuole conflitti con la Commissione europea. Fallisce il tentativo di Padoan e Visco di intervenire con soldi pubblici”. La grande operazione di salvataggio dei quattro istituti malati e commissariati (Banca Marche, Popolare dell’Etruria, Cassa di Risparmio di Chieti e Cassa di Risparmio di Ferrara) sarà pagata completamente dalle altre banche italiane, chiamate a versare in tempi brevi 3,6 miliardi. Quello che è successo ieri -scrive Il Fatto- con un insolito Consiglio dei ministri domenicale, si può sintetizzare così: il governo si inchina alle obiezioni della Commissione Ue e rinuncia a soccorrere il settore bancario con denaro pubblico. Vista la delicatezza del caso, il ministro Boschi, figlia del vicepresidente di Banca Etruria, ha preferito andare a Milano a inaugurare la Torre Isozaki.
Il Giornale: “Colpo di spugna di Renzi: salvate 4 banche in crisi”. Il quotidiano scrive che tra le quattro banche “c’è Banca Etruria del papò della Boschi, assente in Cdm”.
La Repubblica: “Crisi creditizia evitata con 3,6 miliardi”, “Ok del governo al salvataggio di Cariferrara, Carichieti, Etruria e Marche. Pagano gli altri istituti bancari privati. Nicastro presidente delle quattro nuove aziende. La Ue: ‘Distorsione della concorrenza ridotta al minimo’”.
E sulla stessa pagina il “retroscena” di Rosaria Amato: “Rabbia dei banchieri, ‘E’ stato un miracolo, l’Europa remava contro il Paese’”, “Le soluzioni bocciate da Bruxelles avrebbero permesso di rendere meno oneroso l’intervento”.
Su La Stampa: “Quattro storie nere di provincia incrinano il mito del sistema sano”, “Crediti facili, buchi di bilancio nascosti ai soci e ostacoli alla vigilanza. Così sono arrivati avvisi di garanzia e carcere per alcuni top manager”. Di Alessandro Barbera.
E poi
Sul Corriere: “Svolta in Argentina. Vince il liberale Macri, è la fine del peronismo. Sconfitto Scioli, l’erede della presidente Kirchner”. Ne scrive Rocco Cotroneo. I risultati definitivi ancora non ci sono ma ieri sera erano tutti d’accordo nell’accordare la vittoria a Macri, leader di un nuovo partito, Pro, Proposta Repubblicana.