Le aperture
Il Corriere della Sera: “Il nuovo patto Pdl-Lega. Siglato l’accordo. Maroni: al Nord resterà il 75 per cento delle tasse. Il caso Passera scuote i centristi”. E poi: “Berlusconi: sul premier decideremo dopo il voto”. A centro pagina: “’Il redditometro non significa Stato di polizia’”. Si tratta di una lettera al quotidiano milanese di Attilio Befera, direttore della Agenzia delle entrate.
La Stampa: “Lega-Pdl, accordo per il Nord. Il passo indietro del Cavaliere: ‘Se vinciamo, Alfano premier’. Ma i leghisti rilanciano: ‘il nostro nome è Tremonti’”. A centro pagina: “Sei anni di carcere per l’assalto al blindato”. “Gli scontri di Roma dell’ottobre 2011, condannati i teppisti che attaccano i carabinieri”.
Il Giornale dedica il titolo di apertura alle parole di ieri di Nichi Vendola (“I ricchi vadano al diavolo, e Putin ha le sembianze del diavolo”, in risposta ad una domanda su Depardieu): “’I ricchi all’inferno’ se vince la sinistra. La promessa di Vendola. Il primo, e indispensabile alleato di Bersani annuncia la guerra di classe. E contro i partiti delle tasse torna l’asse del Nord: Pdl e Lega alleati”.
Libero: “Quanto vale Forza Nord. L’alleanza può portare Maroni alla presidenza della Lombardia e Berlusconi al pareggio in Senato: seggio per seggio, ecco come Bersani rischia di perdere le elezioni ‘già vinte’”. A centro pagina: “Vendola prepara l’inferno per i ricchi”. Di spalla si parla anche della “mossa a sorpresa” di Berlusconi: “Vendetta di Silvio contro la Chiesa: sì alle unioni gay”.
L’Unità: “Pdl-Lega, da tragedia a farsa. Berlusconi. ‘Alfano premier’. Maroni: ‘No, Tremonti’. Firmato l’accordo dei disperati”.
Il Fatto quotidiano: “Ora anche Bersani scopre gli impresentabili del Pd”, i vincitori delle primarie per i parlamentari di cui aveva scritto il quotidiano nei giorni scorsi. “’La Commissione di garanzia li esaminerà uno ad uno’, promette il segretario in tv. ‘Abbiamo altri dieci giorni di tempo’. Intanto apre a Monti sul programma e candida l’ex direttore di Confindustria, proprio mentre l’alleato Vendola spedisce ‘i ricconi all’inferno’”. I
La Repubblica: “Bersani: vincerò e sarò premier. Il segretario Pd: la candidatura Monti non è una buona notizia per il Paese”. E poi: “Tra il leader del Carroccio e Berlusconi lite su Tremonti. Accordo fatto tra il Pdl e Maroni: è la nostra ultima chance”. A centro pagina: “Lega, tutte le spese con i soldi del Senato”. “Ristoranti, hotel, benzina. Calderoli e Bricolo dai pm”.
In prima pagina un articolo di Vittorio Zucconi: “Guidare la Cia al tempo delle macchine volanti”. Si parla della nomina di John Brennan a capo dell’Agenzia americana.
Il Foglio “LA Cia di Obama riparte dall’uomo dei droni e della guerra giusta. Il Presidente nomina Brennan a capo degli 007. Il repubblicano debole Hagel completa il tema della sicurezza. Il mix di falchi e di colombe”.
Anche su Europa: “Hagel e Brennan, il nuovo security team obamiano”.
Il Sole 24 Ore: “Casa, nelle casse del fisco il 60 per cento dell’affitto. Per i proprietari effetto incrociato di tributi centrali e locali. Record a Genova, dove il prelievo arriva all’80 per cento”.
Pdl, Lega
Il Sole 24 Ore offre ai lettori un sondaggio Ipsos commissionato dal quotidiano, i cui risultati vengono analizzati dal professor Roberto D’Alimonte. Dove si legge che l’accordo tra Pdl e Lega rende incerta la possibilità del Pd di avere la maggioranza assoluta a Palazzo Madama. Perché in Lombardia, Campania e Sicilia l’esito del voto è totalmente incerto, con una sostanziale parità tra la coalizione Pd-Sel e quella guidata da Berlusconi. La Campania appare la vera sorpresa del sondaggio, poiché sembrava una regione sicura per il centrosinistra: ma l’arrivo sulla scena della formazione arancione sponsorizzata dal sindaco di Napoli De Magistris e guidata da Ingroia sembra aver cambiato lo scenario. La stima Ipsos con le intenzioni di voto per gli arancioni sarebbe all’11,2 per cento. E nella lotteria del Senato la Campania pesa molto, poiché dopo la Lombardia è quella che conta di più, con 29 seggi totali di cui 16 vanno al vincente e 13 ai perdenti, che qui saranno relativamente tanti, visto il numero di liste in grado di superare la soglia di sbarramento. Secondo D’Alimonte, a beneficiare dell’incertezza che regna nelle regioni chiave potrebbe essere la lista Monti che, al momento, non ha né la possibilità di vincere alla Camera né in alcuna regione al Senato. Dovrebbe sperare, per poter pesare nella formazione del prossimo governo, che Berlusconi vinca in alcune delle regioni in bilico: “Se questo accadesse i seggi del ‘partito di Monti’ diventerebbero decisivi al Senato per fare il governo sulla base di una alleanza di centrosinistra”.
La Stampa intervista Renato Brunetta, che si dice contento dell’accordo con la Lega, perché “con quello parallelo con Grande Sud riproduce lo schema del 1994, il doppio accordo con la Lega al Nord ed An al centrosud. Certo, sono passati 19 anni, però l’assonanza c’è”. Le condizioni della Lega, sul 75 per cento delle tasse in Lombardia, non sono altro che “l’applicazione del federalismo fiscale e del principio dei costi standard già definiti dal governo Berlusconi”. Su Berlusconi premier “non c’è nessun veto. Si è concordato che Berlusconi è il leader della coalizione. E che in caso (auspicabile) di vittoria, Pdl, Lega e gli altri partner della coalizione determineranno congiuntamente il nome del leader, naturalmente tenendo conto del risultato delle elezioni e del peso relativo dei partiti. Questo ipone la legge elettorale, la Costituzione, la democrazia”. Sulla indicazione di Maroni per Tremonti: “Berlusconi ha parlato di Alfano, Maroni di Tremonti. Tremonti è un esponente di un altro partito che si è alleato con la Lega, che ha tutto il diritto di fare le proposte che ritiene più opportune”.
Su Il Giornale una intervista a Gianfranco Micciché, che parla del sud. “Quando ero ancora al governo e litigavo con Berlusconi perché cedeva alla Lega lui mi diceva ‘Loro sono un partito. Tu no’. Ecco, io il partito l’ho fatto. Oggi il ritorno della Lega a fianco di Berlusconi crea la possibilità di realizzare una scommessa vincente, quella dei due grandi partiti territoriali nell’ambito del centrodestra. Il nostro ritorno è giustificato, il Sud crede in questa sfida, da Fitto, Scopelliti, Caldoro ricevo un aiuto appassionato”. Domanda: “Vincere in Sicilia può dare al Pdl la maggioranza in Senato”. Risposta di Micciché: “Non solo al Senato. La partita non è chiusa, si può vincere anche alla Camera. Monti, nell’immaginario collettivo, non esiste più, siamo tornati a centrodestra contro centrosinistra, anzi contro sinistra pura”.
Nelle pagine successive il quotidiano dà rilievo al “sì alle coppie gay” di Berlusconi, che “fa un’altra fuga in avanti e apre sul riconoscimento giuridico alle coppie omosessuali. Lo fa per radio, con cautela, ma anche con coraggio. A una domanda del direttore di Rtl che lo sta intervistando, afferma che il via libera alle coppie gay può diventare realtà, ‘se si ha una maggioranza che consente di cambiare il codice civile’. E scuote la testa in senso affermativo quando il giornalista gli chiede se lui sia d’accordo. Un gesto forte, per qualcuno dell’elettorato tradizionale del Cavaliere perfino scioccante”. La mossa serve secondo il quotidiano a mandare un “chiaro messaggio alla Chiesa”, che nei giorni scorsi “si era schierata apertamente dalla parte di Mario Monti. Un endorsement che non è andato giù al Cavaliere, il quale già prima di Natale aveva mandato un avviso ai naviganti. ‘Credo che l’influenza della Chiesa sia assolutamente presente, auspico si ricorda cosa abbiamo fatto per la Chiesa negli anni del mio governo, e si tenga presente cosa farebbe la sinistra se andasse al governo”, disse il 20 dicembre. Ora, scrive il quotidiano, lo scenario è “parzialmente modificato”. E comunque “il contropiede di Berlusconi” “non legittima affatto le coppie gay”, e va verso una proposta che fu presentata qualche mese fa dal senatore Giovanardi.
Anche su Libero si legge della “vendetta di Silvio contro la Chiesa.
Pd
La Stampa si occupa della candidatura nel Pd di Giampaolo Galli, già direttore generale di Confindustria. Silenziare Stefano Fassina, ma controbilanciarlo sì, scrive il quotidiano per spiegare questa decisione: Galli “sembra fatto apposta per correggere l’immagine del Pd in questo momento. Sarebbe stato benissimo anche nella lista Monti – in una intervista del luglio scorso, appena lasciata la direzione generale di Confindustria, si augurava che Monti continuasse a governare ‘anche dopo il 2013’ – ed invece eccolo a fianco di Bersani. Tutti e due, Galli e Fassina, si sono laureati alla Bocconi di Milano, a distanza di una quindicina d’anni. Entrambi studenti bravi e allo stesso tempo impegnati a sinistra. Galli, dati i tempi – primi anni 70 – era addirittura segretario della Cellula Pci ‘Ho chi min’. Ma dal marxismo di allora è passato, anche per via degli studi in America, a un liberismo piuttosto sostenuto. E Nichi Vendola, che ogni giorno se la prende con il neo-liberismo mettendoci dentro un po’ di tutto, dovrà accettare che nell’alleanza di centro-sinistra militino anche sostenitori tenaci del mercato”.
Gli studi americani Galli li ha compiuti con docenti progressisti come Franco Modigliani o Robert Solow dell’Università di Boston. Per quel che riguarda il mercato del lavoro, La Stampa lo descrive come un personaggio “assai più in là” di Pietro Ichino, uno cui la riforma Monti-Fornero pareva poco incisiva.
Il Sole 24 Ore scrive che nel listino del segretario Bersani ci sarebbero cento nomi che il segretario ha voluto tener fuori dalle primarie per dar spazio alle candidature della società civile. E ieri, due annunci di peso: l’ex direttore generale di Confindustria Galli e il numero due della Cisl Giorgio Santini. Commenta il quotidiano: si tratta di candidature che, come quella di Carlo Dell’Aringa, vogliono dare una connotazione più aperta e moderata del Pd, che con l’operazione Monti rischia di restare schiacciato a sinistra. Nella stessa direzione vanno le tre o quattro candidature cattoliche che Bersani annuncerà nelle prossime ore, tra cui quelle di Emma Fattorini e Alberto Melloni.
Internazionale
I quotidiani si occupano delle nomine decise dal presidente Barack Obama al Pentagono e alla Cia. Nel primo caso la scelta è caduta su un Repubblicano, Chuck Hagel, pluridecorato dal Vietnam e per due volte senatore del Nebraska. Per la Cia, John Brennan, che nella Agenzia è dagli anni 70. E’ stato il primo direttore del centro antiterrorismo a partire dal 2004 ed è stato il principale consigliere di Obama su questa questione. La Stampa scrive di Brennan che è un agente operativo e arabista per passione. Da metà degli anni 90 è in Arabia Saudita, quando nel 1996 un attacco suicida uccide 19 soldati Usa alle Khobar tower. Dopo l’11 settembre sostiene le tecniche di interrogatorio “rafforzate” incluso il waterboarding, per ottenere dai detenuti di Al Qaeda informazioni per sventare nuovi attentati e, nel 2004, inizia a creare con George W Bush il centro nazionale per il controterrorismo. Punta sulla eliminazione dei terroristi con l’uso dei droni, proseguendo con le operazioni con la Cia, come avviene ad Abottabad nel blitz che elimina Osama Bin Laden, per arrivare alla Kill list, la lista di terroristi di uccidere su indicazione diretta del Presidente. Ed è proprio Brennan che in aprile svela l’esistenza della kill list stessa. Per La Stampa è la conferma della scelta di Obama per una militarizzazione della intelligence, poiché è agli 007 che viene affidato il compito di condurre la guerra al terrore.
Il Sole 24 Ore si occupa anche della nomina di Chuck Hagel, che va al Pentagono. Il Presidente “sceglie un Repubblicano” perché si dovranno tagliare molte spese alla Difesa. E un Rep è il “ponte” giusto per dialogare con l’opposizione. “Il problema è che Hagel non è molto amato dai Rep: troppo soffice contro l’Iran, troppo duro contro Israele”. Anche La Stampa scrive che alcuni membri del Partito Repubblicano lo accusano di aver criticato la guerra in Iraq e di aver offeso la “lobby ebraica” americana, oltre ad esser debole con l’Iran.
Il Foglio scrive che Brennan ha avuto un ruolo non secondario sulle politiche di sicurezza di Bush, ma ha sempre negato il suo ruolo nelle politiche di rendition e waterboarding, dichiarandosi un forte oppositore delle politiche di quella Amministrazione, come la guerra preventiva all’Iraq e gli interrogatori duri, in risposta alle critiche che gli venivano dai Democratici: l’associazione Human Rights Watch, secondo quanto riferisce Il Foglio, era a tal punto scandalizzata dal ruolo “opaco” di Brennan nella sicurezza, che ha chiesto il passaggio delle operazioni dell’antiterrorismo sotto l’ala del Pentagono.
Su La Repubblica Renata Pisu si occupa dell’annuncio che avrebbe dato – ma il condizionale è d’obbligo – colui con in Cina fino al mese scorso è stato ministro della Pubblica Sicurezza, relativa alla decisione di cancellare entro l’anno in corso i campi di rieducazione attraverso il lavoro, i cosiddetti LaoJiao. Si attende una conferma ufficiale, poiché ieri l’agenzia Nuova Cina si è limitata a comunicare che il governo andrà avanti nella riforma del sistema penale senza citare l’abolizione dei campi di lavoro, che esistono da 56 anni. Per essere condannati non serve un processo, basta che la polizia lo voglia e lo sanzioni con una pratica amministrativa di reclusione fino a un massimo di tre anni, aumentabili a discrezione fino a otto. Negli ultimi anni, la stampa, scrive Renata Pisu, anche quella più vicina al potere, ha svolto inchieste per denunciare la barbarie di un metodo che forse andava bene negli anni caotici della Cina rivoluzionaria, ma che non è ammissibile in un Paese che aspira alla leadership mondiale. Anche La Stampa se ne occupa, ricordando gli editoriali apparsi sui giornali e le lettere aperte sui LaoJiao, che avevano iniziato a circolare senza incappare nella censura. Il quotidiano scrive che le fila dei campi di lavoro sono state ingrossate in particolare da centinaia di adepti del gruppo spirituale dei Falun Gong, dichiarati fuorilegge dai cinesi. Il quotidiano intervista lo scrittore Khang Zhengguo, che è stato detenuto in un campo per quattro anni, ed è autore del libro “Esercizi di rieducazione”. Ricorda di esser stato rinchiuso nel campo perché aveva chiesto alla biblioteca una copia del Dottor Zivago, proibito in Cina. Ricorda anche che i campi sono stati creati nel 1957, durante la “campagna contro gli elementi di destra”, imitando quel che accadeva in Unione Sovietica. Sottolinea che nei campi “la pena non ha limiti”, poiché se l’atteggiamento del detenuto è considerato sbagliato, viene prolungato. Da chi è composta la popolazione dei campi? “Lo scrittore, che è stato rinchiuso nel 1968, spiega: “All’epoca in cui c’ero io eravamo soprattutto ‘elementi di destra’. Dopo, al novanta per cento si trattava di piccoli criminali. Il resto erano prigionieri politici. Dagli anni 80 in poi però finirci è diventato facilissimo. La polizia ci sbatteva tutti quelli che non voleva vedere in giro, e negli anni 90 hanno cominciato di riempirli di seguaci del Falun Gong. Ma ci va gente che non ha santi in Paradiso: gli sconisciuti, quelli che chiedono aiuto al governo centrale contro gli abusi, imbestialendo le autorità locali, chi si oppone agli espropri di case e terreni”, “ora dicono che smettono di usare queste strutture, non che le aboliscono: stiamo a vedere, ma se è vero sarebbe già una buona idea”.
Una delle più importanti pubblicazioni cinesi, il Southern Weekly, ha osato sfidare la censura: i giornalisti hanno scioperato e sono scesi in piazza perché il giornale, il primo gennaio, è stato costretto a pubblicare un editoriale a favore del Partito comunista, al posto di uno nel quale si chiedevano riforme. “Uno sciopero così in Cina non si vedeva dai tempi di Tien An Men”, scrive Il Foglio. Nell’editoriale di Capodanno si auspicava che anche la Cina potesse presto aprirsi ad un “sistema costituzionale”. Ma il capo della propaganda locale (si tratta di un influente settimanale del Guandong) ha riscritto di proprio pugno l’editoriale. I giornalisti hanno chiesto la rimozione di questo funzionario ed hanno proclamato lo sciopero. Oltre ai redattori, decine di cittadini si sono presentati davanti alla sede del giornale con cartelli in cui si chiedevano libertà di stampa, costituzionalismo, democrazia. La polizia si è tenuta in disparte ed ha permesso che i fotografi immortalassero i manifestanti, e che le autorità siano rimaste sorprese dalla protesta lo dimostra anche la quantità di messaggi di solidarietà apparsi sui servizi di microblogging cinese.
Economia
Su Il Fatto quotidiano si parla di Alitalia, che “diventerà straniera, ma dopo le elezioni”. Sabato prossimo scade il divieto di vendita delle azioni da parte dei “patrioti”, la cordata di imprenditori che cinque anni fa comprò la compagna per “salvarne l’italianità”. “Air France smentisce l’acquisto ma è pronta lla fusione. L’alternativa è l’araba Etihad”, scrive il quotidiano.
L’editoriale del Sole 24 Ore, firmato da Donato Masciandaro, è dedicato al rinvio dell’applicazione delle regole sulle banche denominate “Basilea 3”. Rinvio che è “una buona notizia, se il tempo guadagnato servirà ai politici e ai regolatori europei per riformare alla radice il sistema dei controlli bancari”, perché altrimenti il rinvio verrà ricordato come “l’ennesimo regalo per quelle banche che adottano o si ispirano al modello anglosassone, che ha creato la crisi finanziaria”.
E poi
Alle pagine della cultura del Corriere della Sera Paolo Mieli recensisce due libri su Giuseppe Dossetti, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita. Personaggio spesso non in sintonia con importanti settori della Chiesa e del suo partito, su cui in Vaticano alcuni espimevano forti dubbi: Giuseppe Siri, vescovo di Genova e allora cardinale, scriveva che la corrente “che fa capo dall’onrevole Dossetti” aveva una fede “piuttosto fanatica” nel suo ispiratore e capo, che l’organizzazione si distingueva per una “azione di punta per promuovere riforme sociali sulla cui piena giustizia non si è concordi e tutt’altro che sicuri” e per una “azione di critica nei confronti del partito e del governo, condotta in quella forma pubblica, spettacolare ed a tinta sabotatrice”. Il giovane Oscar Luigi Scalfaro si lamentava in una lettera a De Gasperi del 1951: “Ciò che mi ha profondamente addolorato è di sapere (e vorrei che così non fosse) che anche lei, Presidente, considera ciascuno di noi come un dossettiano travestito, come un criptodossettiano… Mi pare poco bello che ogni critica” venga “conglobata nell’accusa di dossettismo”. Dosetti diffidava dei laici, scrive Mieli, ma contribuì a portare Einaudi al Quirinale, fu accusato di filocomunismo pur essendo spesso in aspra polemica con il Pci. I libri recensiti sono a firma di Paolo Pombeni ed Enrico Galavotti.