Il Corriere della Sera: “Il Movimento di Grillo nel caos. Espulsi 4 dissidenti al Senato. In 10-15 potrebbero lasciare”. “Il voto sulla Rete. Il leader: in meno ma più forti. Esordio del premier con il progetto scuola”. A centro pagina: “Putin avverte Kiev muovendo le truppe. L’irritazione Usa”. A fondo pagina la sentenza della Cassazione sul delitto di via Poma, “senza colpevoli”.
La Repubblica: “Cacciati i dissidenti, M5S nel caos”, “Minaccia di scissione dopo il verdetto del web. I ribelli: ‘Peggio dei fascisti’”. A centro pagina: “Renzi: possibile tagliare l’Irap del 30%”.
La Stampa: “Lo strappo dei grillini”. A centro pagina, una grande foto dedicata al dramma siriano. Risale al 31 gennaio ma è stata diffusa ora: “Damasco, la coda biblica per il pane”. Migliaia di profughi aspettano il loro turno per ricevere cibo e acqua.
Il Fatto: “I 5 Stelle perdono i pezzi. Ora Renzi ha 3 maggioranze”, “I parlamentari e il web espellono 4 senatori dissidenti. Almeno altri 10 pronti a lasciare tra Camera e Palazzo Madama. Grillo: ‘Erano un corpo estraneo’. Il Pd vuole usarli come nuova stampella al governo, in aggiunta all’alleato occulto B.”. In taglio basso: “Matteo e il giallo del Pd: chi ha ucciso Letta jr?”.
“Dai Grillo, sfascia i tuoi”, titola Il Giornale. “Voleva uccidere la casta, sta uccidendo i suoi adepti creduloni. 4 espulsi, dieci in fuga”.
L’Unità: “Grillo fa esplodere le Stelle”. “La Rete approva la linea dura: espulsi 4 dissidenti critici con il leader. In tre lasceranno il Senato. Movimento spaccato tra urla e pianti: verso l’addio altri parlamentari. Bignami: ‘Democrazia violata’”.
Il Sole 24 Ore: “Mercati, corsa ai BOT: tassi in asta allo 0.45”. “Rendimenti al minimo storico”. Di spalla: “Renzi: taglio all’Irap possibile fino al 30 per cento”. “Padoan, ora un fisco più orientato alla crescita”. A centro pagina: “Unione bancaria, vertice Draghi-Merkel. ‘Entrambi interessati e rafforzare e stabilizzare l’eurozona’”. “Il presidente della Bce e la Cancelliera a colloquio dopo la sentenza della Corte Costituzionale tedesca”.
5 Stelle, Pd, Pse
Il gruppo del M5S al Senato ieri – scrive il Sole 24 Ore – è statro privato di 4 componenti, i senatori Battista, Orellana, Campanella e Bocchino – a seguito di due assemblee di parlamentari e del voto in rete di oltre 40 mila “iscritti certificati” al Movimento, che – a maggioranza, quasi 30 mila sì contro 13.500 no – hanno decretato l’espulsione dei 4. La “Rete” votava dopo che nella nottata di martedì l’assemblea dei parlamentari aveva proposto l’espulsione.
Alcuni degli espulsi – sicuramente Battista, Orellana e Bocchino – hanno annunciato le dimissioni dalla carica di senatore prima della ufficializzazione del risultato, e altri senatori del gruppo sarebbero orientati a fare lo stesso. Sarebbero nove in tutto, scrive il quotidiano di Confindustria. Il Corriere dà conto delle dichiarazioni del senatore Maurizio Romani: “Io esco dal gruppo, mentre altri 5 ci pensano. Stesse idee, stesse battaglie, solamente, da stasera fuori da un Movimento non democratico”.
Uno vale uno? Grillo vale più degli altri e poi uno vale l’altro”, ha detto il senatore Orellana.
Il Corriere scrive che alla Camera ci sarebbero uscite dal gruppo. Il deputato Alessio Tacconi lo ha annunciato alla trasmissione radiofonica “La zanzara”: “Con questo voto si è dimostrato che non è possibile andare contro il parere di Casaleggio e Grillo. Il sistema di voto è in mano alla Casaleggio Associati e ci dobbiamo fidare. Se fosse affidato a terzi sarebbe più trasparente”.
Ancora sul Corriere della Sera, una intervista Lorenzo Battista, uno dei senatori espulsi ieri dal Movimento. “La mia colpa? Nominare il nome di Beppe invano”. “Non abbiamo mai violato il regolamento e non abbiamo votato la fiducia a nessun governo. Ma se anche avessimo detto una stupidaggine, è possibile essere espulsi per il reato di stupidaggine? E se fosse così quanti altri parlamentari 5 Stelle avrebbero dovuto essere espulsi per questo reato in tutti questi mesi?”.
Le dimissioni – ricorda il Sole – richiedono tempi lunghi, visto che devono essere votate dall’Aula. E nel frattempo “c’è già chi parla della nascita di un gruppo autonomo di ex grillini. Con annessi corteggiamenti”, a partire dai possibili rapporti con i parlamentari vicini a Giuseppe Civati, che immagina un nuovo gruppo di centrosinistra.
E’ lo stesso quotidiano a parlare di “Pd in agitazione tra Pse e logo di Civati”, perché ieri il parlamentare Pd ha diffuso – ma ha detto che si trattava di una provocazione – il logo del Nuovo centrosinistra, sulla falsariga del Ncd di Alfano. Oggi una riunione della Direzione Pd deciderà (con il solo voto contrario di Beppe Fioroni) l’adesione del Partito al PSE, che riunirà il suo congresso a Roma nel fine settimana per ufficializzare la candidatura di Martin Schulz alla presidenza della Commissione europea, ricorda Il Sole.
Anche su La Repubblica si ricorda che oggi la Direzione del Pd ratificherà una scelta: “il Pd entra nel Pse”. E Renzi, scrive il quotidiano, sarà vice. E’ probabile che il Pd, in occasione delle elezioni europee, metta sulla scheda il nome del candidato che sostiene, ovvero il socialdemocratico tedesco e presidente dell’Europarlamenro Shulz. Rimane nel simbolo la scritta Pes, rimane il quadratino rosso con la virgola ma si aggiunge ‘socialist and democrats’. L’adesione verrà festeggiata al congresso Pse che inizia oggi a Roma con le donne: domani workshop tematici e vertice della Feps, l’associazione culturale del Ps presieduta da Massimo D’Alema.
Il Giornale: “Nel Pd di opposizione prove tecniche di scissione a sinistra”, dove si scrive che “Civati vuole aggregare i suoi senatori a Sel e agli ex grillini”. “Ncd ha un simbolo che è un quadrato azzurro, e noi facciamo un simbolo con un bel bollino rosso”, ha detto ieri Civati. Che ha aggiunto: “Se Renzi andasse a chiedere la fiducia ai singoli senatori, non la otterrebbe”, essendo in Senato solo 15 circa i renziani. Il gruppo parlamentare potrebbe arrivare a 35 senatori, tra Sel, grillini espulsi o dissidenti, e “civatiani”, scrive Il Giornale.
Su La Repubblica: “La scissione dei dissidenti, pronti gruppi autonomi, ‘Possiamo sostituire l’Ncd’”, “l’ipotesi dell’appoggio a Renzi: ‘Siamo 23’”. Tommaso Ciriaco scrive che almeno dieci senatori hanno sbattuto la porta in faccia a Grillo e che altri cinque sono pronti all’addio: “un magma per ora indistinto, informe, caotico”, ma pronto nelle prossime settimane “a strutturarsi in gruppo insieme a Sel e civatiani. Con un sogno che prova a farsi progetto politico: sostituire il Ncd di Alfano, dando vita a una diversa maggioranza di governo. Pippo Civati, per dire, già si lecca i baffi: ‘L’area del nuovo centrosinistra è a quota 23 senatori’. E, come se non bastasse, anche alla Camera una manciata di deputati lavora a una mini-fronda”. Il senatore Pd Corradino Mineo dice: “’Se serve, possiamo aiutarli a costituire un gruppo’”.
Su La Stampa: “Civati apre la porta ai fuoriusciti: ‘C’è spazio per fare un gruppo’”. E uno dei transfughi, che resta però anonimo, spiega al quotidiano: “Se Civati avesse più coraggio, saremmo già con lui”. Sulla stessa pagina, intervista al renziano Roberto Giachetti: “E’ difficile dialogare con loro. C’è troppo bullismo”, “Io pontiere? Mai fatto inciuci”.
Per tornare al Pd e all’Europa, su La Repubblica, alle pagine R2, quello che viene presentato come “l’appello degli intellettuali del Vecchio Continente ai cittadini per le elezioni del prossimo maggio”. Lo firmano, tra gli altri Zygmunt Bauman, Angelo Bolaffi, Jacques Delors, Anthony Giddnes, Jurgen Habermas, Edgar Morina, Alain Touraine. “Votate Europa”. Si ricorda nell’appello che questa volta, la novità è costituita dalla presenza di diversi candidati alla carica di presidente della Commissione europea: “vogliamo il ‘meno Europa’ di un David Cameron, dettato dagli imperativi del mercato, oppure ‘un’altra Europa’, che sottopone il mercato a regole democratiche, come ha in mente il presidente del Parlamento europeo Martin Shulz?”.
Renzi, economia
Ieri Matteo Renzi è tornato con altri dettagli sulla proposta di riduzione della tassazione su lavoro e imprese, accennando ad una riduzione dell’Irap. Intanto, il ministro dell’Economia Padoan ha ieri incontrato il Commissario alla spending review Cottarelli. Il Corriere parla di un “certo ottimismo sui margini di manovra disponibili per rilanciare l’economia. Gli sgravi fiscali sul lavoro, ripetono i collaboratori di Renzi, ‘non sono un libro dei sogni’.” Ieri ha parlato Filippo Taddei, stretto collaboratore di Renzi, ed ha detto: “Il Piano di Cottarelli, quando verrà presentato, apporterà cambiamenti radicali rispetto al passato. E accanto a Cottarelli il Pd ha svolto un lavoro parallelo di revisione della spesa: secondo i nostri calcoli è possibile recuperare 5-6 miliardi di euro nell’arco di 12 mesi”. Altre risorse verranno dalla revisione dei sussidi alle imprese e dall’esercizio della delega fiscale, spostando il carico delle imposte dal lavoro alla rendita. Il piano di revisione delle aliquote sulle rendite finanziarie resta in piedi. ‘Noi dobbiamo spiegare che se uno compra Bot viene tassato al 12,5%, se va a lavorare, viene tassato almeno al 23%’, ha detto Taddei.
Sullo stesso quotidiano Enrico Marro (“I conti in tasca ai piani di Renzi”) firma l’editoriale, e scrive tra l’altro: “Va benissimo promettere un taglio del cuneo fiscale per allegerire di 10 miliardi le tasse su imprese e lavoratori, ma se si dice che questo verrà coperto con il taglio della spesa pubblica per 3 o 4 miliardi bisogna spiegare come”: si può avere “la massima fiducia” in Cottarelli ma è un dato di fatto che altri come Bondi o Giarda ci hanno provato prima di lui con “scarsi risultati” . E ancora: se si dice che una parte del taglio del cuneo si finanzierà con un aumento delle tasse sulle rendite finanziarie, “bisogna che il governo non lasci i mercati nell’incertezza” e “chiarisca subito cosa si appresta a fare”. Insomma, dice Marro: “Se Renzi non darà presto risposta a questi interrogativi, che del resto lui stesso ha suscitato mettendo così tanta carne al fuoco, l’entusiasmo con quale sembra esser stato accolto dai cittadini, dalla maggioranza e dai mercati lascerà il posto a tensioni crescenti. E a danni rilevanti”.
In prima su La Repubblica Roberto Mania scrive: “Enrico Letta, con la sponda di D’Alema, ‘conquista’ il ministero dell’Economia, il più importante, lì dove ancora si decide, per quanto sotto sorveglianza dell’Europa. Perché il ministro Padoan, già direttore del think tank dalemiano Italiani Europei, ha scelto la sua squadra”. Spiega ancora Mania che capo di gabinetto è Roberto Garofoli, già segretario generale di Palazzo Chigi con Enrico Letta; vicecapo di gabinetto è Luigi Ferrara, che collabora con Letta dai primi anni Duemila; capo della segreteria tecnica è Fabrizio Pagani, consigliere economico di Letta: “un’operazione che -per quanto è trapelato- non dispiace al Quirinale, dal momento che offre la garanzia della continuità e della stabilità”. Su Il Fatto: “scoppia la guerra tra Renzi e il Tesoro, ridotta dei ‘lettiani'”, “Il premier sta creando a Palazzo Chigi un suo staff personale che gestisca anche la poilitica economica. Intanto gli uomini di letta si trasferiscono da Padoan”.
Su La Stampa: “Renzi-Padoan, prima grana sui debiti”, “Il presidente del Consiglio: subito 60 miliardi per pagare le imprese. Ma il ministro non è convinto”. E sulla stessa pagina: “Il sogno dei consiglieri renziani, la Ragioneria a Palazzo Chigi”, “obiettivo, la trasformazione in un organismo consultivo”.
Il Giornale intervista Alessandro Cattaneo, sindaco di Pavia, esponente di Forza Italia: “Che delusione, Matteo non ha avuto coraggio”, il titolo. Cattaneo, “da molti considerato il Renzi azzurro”, dice che Renzi ha datto bene a promettere il taglio del costo del lavoro, ma ora dovrebbe dire che “fare queste riforme è doloroso”, che “quando taglieremo la spesa pubblica ci troveremo la gente in piazza”, sarà “una fase inevitabile ma dura”. Insomma, “deve essere sincero”, perché altrimenti “prima o poi andrà a sbattere”. Anche sulla squadra di governo Cattaneo dice che si aspettava di più, dice che alcune scelte (Orlando alla giustizia, Madia alla Pa) sembrano “scelte al ribasso e condizionate dall’esterno”, e su Poletti al lavoro dice: “Ma dai… Un po’ come se Berlusconi avesse messo Confalonieri”.
Salva-Roma
Su La Repubblica: “Capitale sull’orlo del fallimento, salta il decreto salva-Roma”, “Ostruzionismo Lega-M5S”. Prevedeva il trasferimento di 485 milioni di euro del debito di Roma sulla gestione commissariale, scrive il quotidiano. Il governo, di fronte all’ostruzionismo in Parlamento di Lega e grillini, ha deciso di ritirare il decreto -che sarebbe scaduto domani- e di ripresentare il provvedimento in un nuovo disegno di legge. Il quotidiano intervista il sindaco di Roma Ignazio Marino: “Lunedì bloccheremo la città, ma io non farò il liquidatore”, “pronto a dimettermi, è da ottobre che c’è l’emergenza”.
Anche La Stampa intervista Marino: “C’è chi invoca Nerone, ma io non farò il liquidatore”. Anche qui ribadisce un concetto contenuto nell’intervista a La Repubblica: “se mi si chiede di vendere ai privati le azioni di Acea, vendere il trasporto pubblico dell’Atac, l’azienda di nettezza urbana, l’Ama, e di licenziare 4 o 5 mila dipendenti, questo non è un mestiere da sindaco, serve un ufficiale liquidatore”.
Internazionale
Le ultime notizie di agenzia parlano di un assalto di persone armate alle sedi di governo e Parlamento in Crimea. Avrebbero issato bandiere russe.
Quanto ai resoconti e alle analisi dei quotidiani, segnaliamo La Stampa: “Nuovo governo a Kiev. Il Cremlino allerta le truppe al confine”. Soprattutto, segnaliamo un’intervista di Lucia Sgueglia ad un personaggio che ha acquisito anche da noi una certa notorietà, ovvero lo scrittore Eduard Limonov. Dice: “In Crimea è guerra civile. Andrò a difendere i nostri russi”, “Lo scrittore recluta volontari e accusa Putin: leader debole, non farà nulla”.
Su La Repubblica, l’analisi di Bernardo Valli: “Il governo di Kiev tra duri e moderati”. Si spiega che nella notte il presidente della Repubblica ad interim Turhynov ha presentato la composizione del nuovo governo, che i deputati voteranno oggi. Primo ministro potrebbe diventare Arseny Yatseniuk, capo del partito di Yulia Tymoshenko da quando lei è stata arrestata. E’ stato direttore della banca centrale e ministro degli Esteri, è apprezzato in Occidente e potrebbe esser accettato anche dai russi, come uomo di fiducia della Tymoshenko.
Sul Sole 24 Ore: “Putin allerta le truppe”. E poi: “Yatseniuk, molto vicino alla Tymoshenko, designato primo ministro”.
Sul Corriere: “Putin muove le truppe. Manovre d’aria e di terra ai confini con l’Ucraina. Scontri in Crimea tra tartari e filo-russi”. Il quotidiano spiega anche che nel frattempo Ue e Fondo Monetario lavorano a un piano di aiuti per Kiev, visto che nelle casse della Banca centrale sono rimasti 15 miliardi, ma che “il problema è che per salvarsi l’Ucraina dovrebbe adottare riforme che sarebbero dolorosissime per la popolazione”, che né Yanukovich né gli altri governi sono riusciti a fare. “Kiev usa dieci volte l’energia adoperata nei principali Paesi industrializzati”, e si sprecano quantità enormi di gas nelle case e nelle industrie. E il gas costa una frazione di quanto lo Stato paga alla Russia. “Ma cambiare tutto cià provocherebbe una rivolta sociale, specialmente ad est”, scrive il quotidiano.
Franco Venturini sul Corriere si occupa di Afghanistan ,e ricorda che il 2014 è l’anno del ritiro delle truppe dal Paese. Il presidente Usa Obama ha previsto di lasciare 10 mila soldati come addestratori, e anche l’Italia dovrebbe lasciare sul campo circa 800 militari. Ma – aggiunge il quotidiano – “il presidente afghano Karzai si rifiuta di firmare gli accordi con Washigton, e Obama ora minaccia il ritiro completo e definitivo”. Il piano Usa – anche per lasciare nell’area la possibilità ai propri droni di agire – è quello di mantenere alla fine del 2014 un contingente di 10 mila uomini, per due anni, per addestrare e per fornire copertura e appoggio all’esercito afghano. Ma di fronte al rifiuto di Karzai di sottoscrivere l’accordo, Obama ha chiesto all’esercito di preparare una diversa ipotesi, una “opzione zero” che preveda il ritiro completo. E’ una questione che riguarda anche l’Italia, che ha messo a disposizione 800 soldati. E se la decisione Usa arrivasse troppo tardi metterebbe in difficoltà il nostro Paese, sia per i tempi di decisione (l’approvazione parlamentare sulla missione), sia per i rischi di ritrovarsi in Afghanistan con una missione americana troppo ridotta o assente, dice Venturini.
Da segnalare su Libero una intervista a Marine Le Pen: “Un referendum nella Ue per uscire dall’euro”, il titolo. Sulla prossima legislatura all’europarlamento, la Le Pen conta su un risultato in tra il 20 e il 25 per cento, e dice: “Credo che anche molti dei nostri partner europei faranno un buon risultato all’interno dell’Unione. Penso soprattutto al FPO austriaco, al Pvv dell’olandese Wilders”.
Su Il Giornale: “La figlia di Haider pronta a candidarsi alle europee”.
Sul Sole 24 Ore si parla della Turchia, in un lungo articolo in cui si descrive Erdogan come un uomo “sotto assedio, travolto dagli scandali, che si fida solo di una schiera di fedelissimi, uno dei quali è Hakan Fidan, il capo dei servizi”. Eppure, ricorda Negri, i sondaggi danno ancora il suo partito, l’Akp, in testa nei sondaggi alle prossime elezioni amministrative, il 30 marzo, che Erdogan stesso ha definito “un referendum”, una “guerra di indipendenza dalle forze occulte”, riferendosi alla alleanza islamica Cemaat di Gulen.