Il Corriere della Sera: “Leader in campo, 215 simboli. Berlusconi nel logo. La Lega: presidente? Solo del Pdl. Compaiono quasi tutti i nomi dei big, fa eccezione Bersani. Ora l’esame del Viminale”. In alto: “In migliaia a Parigi contro le nozze gay. Quattro cortei, musica, religiosi e giovani. Lo slogan della piazza: una mamma e un papà per ogni bimbo”.
La Repubblica: “Pd-centristi, sfida sul premier. Bersani: vogliono comandare senza voti. Polemica sugli impresentabili in lista. Casini: per andare a Palazzo Chigi bisogna vincere nelle due Camere. Lite sul simbolo tra Berlusconi e Maroni. Oggi Ruby in aula”. A centro pagina: “Francia, in piazza contro le nozze gay”.
La Stampa: “Tensione tra Pdl e Lega su Berlusconi leader. Maroni: ‘Silvio presidente? Sì, ma solo del suo partito. Cosentino e Milanese candidati, rivolta nel centrodestra. La Russa e Caldoro: ‘Fuori gli imprensentabili’”. A centro pagina la manifestazione di Parigi, sulla quale il quotidiano scrive “in centinaia di migliaia in piazza contro la proposta Hollande, non solo cattolici ma anche laici e musulmani”. In prima anche una intervista a Gabriele Albertini: “Non potevo più essere connivente con il Cavaliere”:
L’Unità: “Pdl-Lega, l’ultimo imbroglio. Sul simbolo c’è ‘Berlusconi presidente’. Ma dal notaio Maroni ha imposto il contrario”. A centro pagina un sondaggio (Tecnè, per Sky Tg 24): “Il Pdl risale ma Bersani è in testa di 12 punti”.
Il Foglio del lunedì si chiede: “Ma Berlusconi può davvero rimontare? Il Pd, troppo sicuro della vittoria, ora rischia di rivivere l’incubo del 2006. Merito (anche) di Santoro e Travaglio”.
Il Giornale: “L’uomo di Monti ricatta il Pdl. Centristi in crisi. L’ex sindaco di Milano Albertini minaccia Formigoni. ‘Lui sa che se parlo io…’. Persino la sinistra si indigna. In Lombardia il centrodestra in vantaggio. Berlusconi: ‘Volata aperta’”. A centro pagina: “Un altro giornalista getta la maschera. Ruotolo corre per Ingroia”. “Il baffo di Santoro candidato”.
Lega-Pdl
Di “lite Pdl-Lega” parla La Stampa spiegando che il nodo sta nella mancata precisazione del candidato premier. Il Pdl ha presentato simbolo, programma e struttura della coalizione, e il nome di Berlusconi appare come leader della coalizione di centrodestra, ma la Lega si è affrettata a chiarire che questo è un passaggio burocratico, e non significa che il Cavaliere sia il loro candidato premier. Spiega Roberto Maroni che la dicitura “Berlusconi presidente” nel simbolo elettorale signfiica poco: “Lui è il presidente del Pdl”, precisando che nel patto elettorale con il Pdl non è stato deciso il candidato premier. Maroni viene intervistato dal Corriere della Sera e la prima domanda è proprio su chi sarà il premier del centrodestra in caso di vittoria alle elezioni: “Questo non è un problema, è la polemica senza senso sollevata da chi ha paura. Parlo di Bersani e di Casini”. Poi aggiunge: “Chi vince, indica al capo dello Stato il nome di chi dovrà fare il premier. E dunque, al momento opportuno, noi e il Pdl, di comune accordo, indicheremo quel nome”. Lei non ha già indicato Tremonti? “Certo. Questo, tra l’altro, rafforza il rapporto che c’è tra noi e il suo movimento. Ma, appunto, il premier uscirà dal confronto con gli alleati”. Se dovesse diventare il nuovo governatore della Lombardia, quale sarà il suo primo atto? “Un minuto dopo il mio insediamento, insieme ai presidenti Roberto Cota, Luca Zaia e – se vuole – Renzo Tondo, costituiremo un nuovo soggetto istituzionale di rappresentanza dell’Euroregione, che si batterà con Roma in tutte le circostanze in cui occorrerà farlo”. Maroni propone anche l’apertura di una sezione distaccata del Consiglio di Stato al nord, contestando il fatto che oggi “tutti i ricorsi vanno discussi a Roma”. Al Presidente campano Caldoro, che ieri ha detto che il sud non accetterà mai il mantenimento del 75 per cento delle tasse nei territori, Maroni risponde: “Caldoro può andare a leggersi il programma che anche il suo segretario ha sottoscritto sabato scorso”. E tra i punti accettati dagli alleati ci sono anche “gli appalti a chilometro zero”, ovvero “la possibilità per gli enti locali di privilegiare le proprie imprese”.
Intanto La Repubblica ricorda che oggi riprende il processo Ruby, e che lei stessa sarà in Aula, di ritorno dal suo lungo viaggio in Messico. Si ipotizza anche che gli avvocati di Berlusconi invochino un legittimo impedimento.
Albertini-Ambrosoli
Il Giornale: “Albertini, il soldato di Monti gioca al ricatto. L’uomo del premier in Lombardia invia messaggi allusivi a Formigoni: ‘Se parlo io…’”. Il quotidiano spiega che ieri Albertini ha detto a Formigoni, via twitter: “Io faccio un avvertimento a Formigoni. Non mi inquieti troppo, perché io posso fare delle dichiarazioni che lo metterebbero a terra, e lui sa di cosa sto parlando”. Sull’oggetto dell’avvertimento, Albertini ha poi precisato che non si tratta di nulla di “penalmente rilevante”, “il mio è un discorso politico elaborato con Formigoni in questi mesi”. Il candidato presidente del centrosinistra, Ambrosoli, ha detto: “Le dichiarazioni di Albertini sono inquietanti. O è un bluff, o c’è qualcosa ri rilevante su Formigoni di cui solo Albertini è al corrente”.
Intervistato da La Stampa, Gabriele Albertini non spiega le sue dichiarazioni di ieri. L’intervista è titolata “Non potevo più essere connivente con il Cavaliere”. Albertini spiega che “lui è cambiato. Mi sembra un personaggio da tragedia greca: a un certo punto si considerato al di sopra della legge, degli uomini e degli dei”. Dice che ha sentito il Cav l’ultima volta il 28 dicembre, “mi ha telefonato, ed era la seconda volta che lo faceva, per chiedermi di ritirare la candidatura in Regione. In cambio mi offriva il posto di capolista in Senato. Aveva accenti, diciamo così, molto accorati. Intensi”. I sondaggi – dice Albertini – danno la sua lista civica all’11 per cento, solo tre punti in meno della Lega”, e questo “se una modesta persona come me, che non è neanche più sindaco e da ben sei anni, ha quasi gli stessi voti della Lega, vuol dire che il Pdl poteva abbandonare Maroni al suo destino. Formigoni aveva avuto una buona idea, peccato l’abbia accantonata”. Non ha avuto coraggio? “In parte è quello. E poi forse ci sono altre ragioni ma non le dichiaro”. Formigoni lo ha accusato di cercare un posto sicuro. “Formigoni stia attento, perché io non voglio far del male a nessuno, purché non se ne faccia a me”. “Ma se continua mi tolgo i guanti”. Chi vincerà le elezioni regionali in Lombardia? “Penso Ambrosoli”, dice Albertini.
E il candidato Umberto Ambrosoli (Patto civico di centrosinistra) viene intervistato dal Corriere della Sera. Gli vien chiesto di commentare i dati di un sondaggio Ispo secondo cui sarebbe tre punti dietro Roberto Maroni. E’ vero, dice, che i sondaggi “offrono l’opportunità di esaminare i flussi e gli orientamenti di voto”, ma non sempre “hanno la capacità di percepire la realtà delle urne, come è già stato in passato: Ambrosoli cita le ultime elezioni comunali a Milano, quando “sia sul primo turno che sul ballottaggio era stata sovrastimata la forza del centrodestra”. Risponde anche a chi pensa che il voto ad Albertini tolga consensi a sinistra: “Si tratta di capire quale sia il progetto politico che Monti ha in testa: si governa con il centrodestra o con il centrosinistra? La scelta di Albertini lascia pensare che voglia rivolgere il suo messaggio al centrodestra, ma il suo messaggio elettorale è molto rivolta agli elettori di centrosinistra”. Ambrosoli sottolinea che si tratterà di spiegare con maggiore efficacia la “continuità tra Albertini e chi ha governato prima di lui”, visto che fino a pochi giorni fa aveva l’appoggio incondizionato di Formigoni”. Poi precisa: “é necessario spiegare in tutte le sedi possibili che la proposta che presentiamo in Lombardia è molto diversa da quella del centrodestra, ma anche da quella del centrosinistra nazionale. Il patto civico è molto più ampio di quanto i partiti rappresentano, e si rivolge al mondo dell’associazionismo, del volontariato, del terzo settore”.
L’Unità scrive che quando il segretario Pd Bersani ha visto il sondaggio Ispo che darebbe al Pdl Lega il vantaggio in Senato il primo commento che ha fatto con i suoi è stato che questo nuovo patto tra Berlusconi e Maroni ha tutta l’aria di un tentativo “di rimettere in piedi un vecchio matrimonio finito male. Adesso vediamo cosa dicono gli elettori leghisti dell’accordo in Campania tra Maroni e Berlusconi per la candidatura di Nicola Cosentino”. Sul Corriere della Sera: “Il Pdl e il nodo degli indagati in lista. Cosentino e Dell’Utri verso la conferma”.
La Repubblica intervista il governatore Caldoro, che dice: “Facciano un passo indietro, per colpa loro rischiamo tutti”, “sono garantista. Ma in politica ognuno dovrebbe capire quando è il momento di fare un passo indietro”, “non mi piacciono i kamikaze”.
Monti
La Stampa fa un po’ di calcoli sul fronte dei montiani, tentando di tradurre il possibile risultato elettorale in seggi. Il gruppo unico di scelta civica, nel caso in cui nessuno dei partiti più grandi ottenesse una maggioranza certa in Senato, potrebbe diventare il perno di tutta la legislatura, e dunque per il Professore è decisivo garantirsi il controllo di quel nucleo parlamentare. A liste completate, Monti ha ottenuto il controllo maggioritario del futuro gruppo al Senato. Dei potenziali eletti, il 60-62 per cento apparterrano al cartello Monti-Montezemolo-Riccardi, il 30-33 all’Udc, il restante 5-10 a Fli. Tradotto in seggi senatoriali, prendendo come percentuale nazionale una quota attorno al 15 per cento, significa 23-26 senatori per Monti.
Sul Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia parla del premier (“Gli equivoci dell’antipolitica”) e scrive: “Monti e i suoi collaboratori hanno aderito all’idea”, “tipica di ogni populismo” che “la politica non ha bisogno di persone esperte dei suoi meccanismi, persone pratiche del funzionamento delle Amministrazioni, conoscitrici dei regolamenti delle assemblee parlamentari. Il nostro presidente del Consiglio – parlano per lui le procedure con cui ha voluto formare le liste dei candidati – sembra aver fatto proprio invece, il pregiudizio volgare secondo cui il professionismo politico sarebbe il peggiore dei mali”. Affiora, insomma, nel montismo, “quell’opzione irrestibilmente tecnocratica che, se ne sia consapevoli o no, rappresenta essa pure un esito classico della ‘antipolitica’”. Parallelamente, nel Pd l’operazione della designazione dal basso delle candidature è stata condotta “facendo leva sull’ostilità verso il professionismo politico, verso chi occupava da troppo tempo la fatidica poltrona”. La “abile regia” della segreteria Bersani, facendosi forte del mito della società civile e del rinnovamento, ha fatto fuori buona parte della vecchia rappresentanza a lei estranea, per sostituirla con ‘giovani turchi’ e dirigenti interni vicini al nuovo corso. E quindi per rafforzarsi”. La conclusione di Della Loggia è che “coloro che risulteranno eletti con il crisma salvifico della società civile si adegueranno disciplinatamente ai vincoli e agli obblighi della politica, obbedendo alla regola suprema che chi ha più forza, comanda”. E risulteranno in definitiva “i più obbedienti”
L’Unità titola: “Il Prof ‘appalta’ tutto il sud a Casini”. E polemicamente scrive: “si chiamerà pure Scelta civica per Monti’, ma l’impronta nelle liste elettorali nel famoso rassemblement centrista attorno al professore ha il segno dello scudocrociato di Casini”. Che guida la coalizione al Senato in cinque regioni: Lazio, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia. Si ricorda che a Palazzo Madama la lista Scelta Civica è unica, mentre alla Camera Udc e Fli si presentano in coalizione, ma con le loro liste e i nomi sul simbolo. Fini sarà capolista in tutte le circoscrizioni, e il numero due Bocchino in Campania. La Repubblica intervista lo stesso Fini che, secondo il quotidiano, sa di non aver incassato la golden share del rassemblement. Ma, come commenta l’interessato: “In politica la gratitudine non esiste. Ma se oggi c’è Monti è perché qualcuno si è assunto l’onere di svelare che il re era nudo”. Il presidente della Camera ricorda cioè che se il governo Berlusconi è caduto, è stato grazie al voto di Fli in Parlamento (“Niente favori alla sinistra. E per la caduta di Silvio devono ringraziare me”).
Internazionale
Due intere pagine de La Stampa sono dedicate al terzo giorno di guerra francese in Mali. Per la prima volta i francesi hanno bombardato le basi arretrate degli islamisti, picchiato soprattutto su Gao, 1200 chilometri a nord della capitale Bamako. La base jihadista sarebbe stata distrutta e i miliziani avrebbero abbandonato la città. A nord, a Timbuctu, dove da nove mesi regna il terrore, con fustigazioni e amputazioni in piazza, segnalano che gli islamisti sembrano presi dal panico e si sono rifugiati nel deserto, andando verso nord. Una fonte dell’entourage del presidente Hollande ha fatto sapere “con un candore sorprendente” che l’Eliseo aveva molto sottovalutato il nemico. “Pensavamo si trattasse di qualche ladrone a bordo di qualche Toyota”, avrebbe detto, ammettendo che invece gli islamisti sono “molto ben addestrati e ben armati: ‘Hanno recuperato materiale moderno e sofisticato, molto più robusto di quanto immaginassimo’”. La sottovalutazione delle forze nemiche sarebbe anche all’origine del fiasco del blitz per liberare un ostaggio in Somalia (i commandos francesi hanno scoperto, atterrando con l’elicottero, di essere in 40 contro un centinaio di guerriglieri shabab pesantemente armati). Il quotidiano intervista Peter Pham, direttore dell’Ansari Africa Center per l’Atlantic Council. Si dice convinto che “i raid aerei non dureranno ancora molto”.
Spiega che il territorio del nord del Paese è perlopiù desertico e che ci sono pochi obiettivi che possono essere colpiti da velivoli, per quanto sofisticati come i Rafale: “le milizie si stanno dirigendo verso i centri abitati popolosi, i leader jihadisti ci vivono, i caccia non possono attaccare perché metterebbero a repentaglio la popolazione civile”. Sul ruolo delle truppe di terra Pham sottolinea che servono ben più dei seicento uomini attualmente operativi. Precisa che è necessario distinguere: “Se l’obiettivo è impedire che Ansar Dine e le altre forze si spingano verso il sud, il successo è certo. Se invece si punta a riportare la legalità in tutto il territorio del Mali, allora serviranno molti più soldati di quanti la Francia ne abbia a disposizione da schierare”. Dopo l’intervento francese, Al Qaeda tornerà al nord e il governo riprenderà il controllo dei territori del sud. Un retroscena dello stesso quotidiano spiega la guerra “controvoglia” del presidente Hollande: ma in un Paese “che continua a pensare, o a illudersi, di contare ancora nel mondo come la Francia, è la politica estera a ‘fare’ davvero il Presidente”. Ecco perché l’Hollande “decisionista” ha riconquistato la Nazione.
La Repubblica ricorda che oggi, su richiesta della Francia, si riunirà il consiglio di sicurezza Onu. Parigi ha ottenuto l’approvazione all’intervento di tutti i Paesi limitrofi. L’Algeria ha autorizzato i caccia transalpini ad attraversare il proprio spazio aereo. E intanto Londra, dopo una telefonata tra Cameron e Hollande, ha garantito appoggio logistico alle truppe francesi.
Il Corriere della Sera, in una analisi, ricorda come i guerriglieri si siano rivolti ai trafficanti che vendono materiale bellico trafugato dai depositi libici (e si cita la rivista Foreign Policy, che parla di una ‘vendetta postuma” di Gheddafi). La Repubblica, per parlare ancora di armi, riproduce un intervento di Chevers sul New York Times, che dà conto di uno studio realizzato da esperti delle Nazioni Unite e da Amnesty International, sul ruolo dell’Iran nel contrabbando di armi in Africa: “Munizioni made in Teheran, così l’Iran arma mezza Africa”, “cartucce e fucili distribute a ribelli e insorti, proiettili trovati nelle munizioni di Al Qaeda nel Magreb islamico”.
Tornando alla Francia, i quotidiani raccontano, anche in prima pagina, la manifestazione che si è tenuta ieri di contestazione della legge sul matrimonio gay voluta dal Presidente francese. La Repubblica titola: “Nozze gay, in piazza contro Hollande. L’Eliseo: ‘Siete tanti, ma non ci fermiamo’”. Quanti erano? 800 mila secondo gli organizzatori, 340 mila secondo la polizia. Il 56 per cento dei francesi resta però favorevole alle nozze tra persone dello stesso sesso. E sarà il Parlamento, a partire dal 29 gennaio, a pronunciarsi sul disegno di legge del governo. E’ La Repubblica a scrivere: a sfilare “è una Francia tradizionalista e benpensante, forse non così reazionaria come è stata dipinta”. Sostenuta dalla destra e dalla Chiesa, la manifestazione ha mostrato accenti diversi anche nel campo moderato: il Presidente dell’UMP Copé ha sfilato, molti leader come Fillon e Juppé hanno deciso di rimanere a casa. Le temute provocazioni omofobe non ci sono state, le truppe hanno seguito le consegne degli organizzatori.
Scrive il Corriere della Sera che sugli striscioni si leggeva “siamo per la famiglia e i bambini, non contro i gay”. Perché secondo il quotidiano, più che contro la possibilità degli omosessuali di sposarsi, i tanti francesi che hanno sfilato sentivano di dover difendere i bambini dalla possibilità di venire adottati da due genitori dello stesso sesso. Malgrado questo, il presidente Hollande ha confermato che la legge si farà.