Un libro tridimensionale. A prima vista potrebbe sembrare un aggettivo poco calzante, forse scontato. Il saggio breve di Bernardo Bortolotti Crescere insieme. Per un’economia giusta è però effettivamente uno di quei testi la cui lettura non avviene soltanto in orizzontale lungo le righe e verticalmente lungo le pagine. E’ anzi probabile che ogni tanto il lettore attento chiuda il libro, lo appoggi accanto a sé per qualche minuto e rifletta su quanto appena letto, tralasciando la bidimensionalità della pagina e viaggiando alla ricerca di nuove connessioni nella propria mente.
Bortolotti, come molti altri autori e accademici, affronta la crisi.
Da economista, lo sguardo è sì legato ai concetti di produttività, efficienza e costi, ma in realtà il messaggio che viene veicolato tramite il libro è che questo momento storico epocale potrà essere superato solo se le lenti interpretative dei policy maker, ma anche dei comuni cittadini, non rimarranno le stesse di prima.
L’analisi dell’autore parte da un dato di fatto: le disuguaglianze di reddito tra i cittadini del globo sono aumentate negli ultimi due decenni. E’ in questa variabile reale che Bortolotti individua l’humus che ha permesso alla crisi di manifestarsi nella forma di unl crack del sistema finanziario, americano in primis ed europeo poi. La spericolatezza dell’impalcatura finanziaria costruita negli ultimi due decenni, è conseguente all’ eccessiva e ingiusta divaricazione nelle condizioni materiali tra ricchi e poveri nei singoli stati, tra sud e nord nel mondo. La via dell’indebitamento privato è stata la via che, soprattutto negli Stati Uniti d’America, ha permesso a costo politico zero di gonfiare una bolla di benessere apparente.
Partendo da questo presupposto e tornando quindi all’origine del problema, l’autore legittima la necessità di dare una svolta etica all’economia. In altre parole: non conterà nulla tornare a crescere se questa crescita non sarà condivisa. Non risolveremmo i problemi che hanno causato la crisi: la mancata condivisione della ricchezza prodotta in un’economia porta a uno sviluppo economico squilibrato e basato sul debito, privato prima e pubblico poi.
E’ in questo senso che Smith, padre fondatore della scienza economica, viene chiamato in causa: non con riferimento allo strumento pedagogico della mano invisibile, anzi. E’ la Teoria dei sentimenti morali, primo vero capolavoro dell’economista scozzese, a rappresentare il punto di riferimento per Bortolotti. Il legame tra morale ed economia è un aspetto troppo spesso lasciato in disparte nei corsi di economia.
L’obiettivo della rinnovata interpretazione dei fenomeni economici, del nuovo paradigma, dovrà quindi essere quello di un’economia più etica, più giusta. Ma quale è la via maestra?
E’ a questo punto che Bortolotti affronta il classico dibattito: Stato o Mercato? L’argomentazione è piuttosto lineare. Il libero mercato non può essere considerato una soluzione a tutti i problemi economici, perlomeno quanto non lo sia l’intervento statale. Entrambe le categorie, Stato e Mercato, non devono più essere viste come poli estremi di una opposizione, alla stregua di una dicotomia insanabile. E’ infatti lampante che esistono fallimenti di entrambe le istituzioni. E’ il concetto di giustizia, piuttosto, che dovrebbe guidare quale delle due vie (quella del Mercato o dello Stato) rappresenti il migliore strumento per il raggiungimento di uno sviluppo equilibrato. Se il Mercato non garantisce un livello di giustizia e un livello di coesione sociale sufficiente, allora lo Stato sarebbe il primo soggetto a dover intervenire. Un approccio pragmatico quindi.
Qui un piccolo appunto sembra necessario: il concetto di giustizia avrebbe sicuramente meritato un’attenzione maggiore, visto il ruolo chiave che ricopre nella conduzione di una “corretta” politica economica secondo l’autore. Cosa sia “giusto”, rimane in fondo una questione di filosofia politica ed economica. Il Mercato e l’intervento dello Stato si giustificano in base a concezioni diverse dell’idea di giustizia sociale. La mancata presenza di un capitolo aggiuntivo che tocchi le diverse e controverse interpretazioni dell’idea di giustizia, per esempio partendo da Hayek, passando per Rawls, Sen e arrivando a Sandel ci sembra una lacuna che andrebbe colmata. Una critica smorzata visto che le virtù di un libro si giudicano anche dalle connessioni e dagli stimoli che suscita nella mente del lettore.
Ci sono almeno altri due aspetti degni di nota di questo saggio breve.
Un importante merito dell’autore, risiede nel aver saputo coniugare volti, nomi e intellettualità che vanno da un estremo all’altro del pensiero economico. Keynes, Smith, Marx e Friedman si ritrovano così magicamente sulla stessa barca: non più agguerriti avversari più o meno liberali, ma validi gregari, dalle cui opere e idee si possono trarre fruttuose lezioni, complementari le une alle altre. Il fine? Tirare la volata al successo economico delle società contemporanee.
Il secondo vero valore aggiunto di questo contributo è il ponte che l’autore crea tra scienza economica e scienza politica. In questo senso, vale la pena menzionare il ruolo cruciale che svolge il pensiero di Albert Hirschmann nel corso del libro.
E’ proprio tramite il riferimento al lavoro pionieristico di Hirschman che Bortolotti fa derivare le conseguenze economiche da variabili comportamentali dei singoli individui di una collettività. Quando è che una società, tramite i suoi individui, da’ più importanza ai beni collettivi piuttosto che a quelli privati? In termini di questa alternativa in che periodo ci troviamo oggi? Diamo più importanza ai beni collettivi o a quelli privati? Perché? L’esposizione dell’autore chiarisce i legami tra queste domande in maniera sintetica e richiama alla responsabilità economica non solo i governi, bensì anche i singoli cittadini. Bortolotti chiama in causa un meccanismo di aggiustamento endogeno dell’economia basato sul concetto di delusione, il che permette all’autore di guardare con moderato ottimismo al futuro, o, per lo meno, di considerare il momento attuale come un punto di svolta se verranno adottate le corrette misure di policy.
Tramite questa analisi, a metà tra scienza politica e scienza economica, Bortolotti da’ un taglio inusuale al tema e problema della “finanziarizzazione” dell’economia: la crescita del settore finanziario al di fuori di qualsiasi logica di proporzionalità rispetto all’economia reale, rappresenta da un lato l’emblema del fallimento della logica di un mercato auto-regolatore, dall’altro, lo sforzo massimo della ricerca razionale e individuale di un bene rimasto squisitamente privato. La finanza non viene però ridicolizzata in quanto tale, anzi. L’autore la ri-chiama architettura dei fini: uno strumento di leverage che può realmente creare un benessere non solo fittizio se usata al fine di creare valore nel lungo periodo e non nel breve. Allora però, dovrebbe innestarsi un discorso e una pratica di policy che metta al centro nuovi meccanismi di freno inibitore agli eccessi della ricerca del profitto speculativo.
Ma non c’è solo la teoria.
Gli esempi pratici tramite i quali Bortolotti ci indirizza verso un’economia più giusta non riguardano solo la finanza. Un riferimento chiave è anche quello alla Mittbestimmung tedesca nelle decisioni aziendali: una via verso la democratizzazione dell’economia e delle sue istituzioni, a partire dalle singole “Società”: parola, quest’ultima, che, secondo l’autore, non a caso, ha una doppia valenza linguistica: una privata da un lato, ma anche una pubblica dall’altro. Se il caso tedesco rappresenta ormai un esempio condiviso di buona riuscita della gestione microeconomica, stupisce invece il coraggio e l’onestà intellettuale con cui Bortolotti si mostra ottimista verso le strategie del nuovo governo britannico a guida conservatore. L’autore suffraga le sue argomentazioni con esempi pratici che si rifanno alle prime misure di politica economica degli ultimi due anni del governo Cameron. Alla base c’è la speranza che l’apparato teorico della Big Society possa rappresentare una prima concretizzazione del superamento della dicotomia tra Stato e Mercato: riusciranno nuove pratiche di gestione dei servizi e beni pubblici a rendere l’economia più efficiente e, allo stesso tempo, più giusta? E’ in fondo un altro esempio lampante di come in questo testo non ci sia spazio per posizioni aprioristiche, ma come il buon senso e la coerenza logica delle idee di policy possa liquidare, in un sol colpo, le idee di parte.
A ben vedere il volume di citazioni per un saggio di queste dimensioni è elevatissimo. La lettura del testo è si comprensibile – anche perché scritto in maniera davvero avvincente e incalzante – ma necessita, per un pieno apprezzamento di molte conoscenze nel campo dell’economia e della scienza politica, se non addirittura filosofiche. E’ per questo che il testo, come già ribadito, ha un carattere tridimensionale: si tratta di rispolverare continuamente vecchie conoscenze, mettendole però in un ordine nuovo, meno dogmatico. E’ un pregio, certo. Allo stesso tempo, questa forza potrebbe rappresentare un elemento di frustrazione per i non addetti ai lavori.
Visto il grande potenziale di idee che viene messo in campo, la grande rete di connessioni tra autori che viene tessuta, la tesi di questo saggio breve avrebbe sicuramente necessitato e meritato uno spazio maggiore per esprimersi in tutta la sua pienezza.
Titolo: Crescere insieme. Per un'economia giusta
Autore: Bernardo Bortolotti
Editore: Laterza
Pagine: 196
Prezzo: 14 €
Anno di pubblicazione: 2013