Perché la destra globale si affida al “cuore immacolato di Maria”

C’è un libro che è un vademecum alla scoperta della sfida che dovremo affrontare uscendo dal lockdown. Questo libro ce la presenta in termini piani, a tutti accessibili, con le parole di un teologo domenicano: si chiama Timothy Radcliffe, cittadino britannico: «La democrazia in Inghilterra ha perso il contatto con il dramma della vita delle persone. Tutta la mia famiglia è conservatrice, ma io ho sempre votato laburista, perché il Labour era impegnato nelle battaglie delle persone comuni: minatori, costruttori di navi, agricoltori. Portava i loro sogni. Ma ora non lo fa più. I partiti sono diventati più esperti di tecnica politica che portatori di un sogno del futuro. Per alcuni il populismo rappresenta il recupero dell’entusiasmo. Il problema del populismo è che non crea una vera comunità, ma una folla. Anche papa Francesco è molto popolare, ma c’è una differenza col populismo: lui è preoccupato dei singoli individui, non vuole una folla. La dignità della persona umana è la grande differenza tra la popolarità e il populismo. La folla può distruggere l’individualità, può rendere le persone anonime».

La folla ha bisogno di identità forti, che escludono gli altri. Queste piccola chiosa spiega perché quello di Iacopo Scaramuzzi, Dio? In fondo a destra, appena pubblicato da Emi (13 euro), è un libro sul dopo l’emergenza lockdown sebbene sia stato scritto prima. E ci illustra come l’uso di Dio unisca i fautori della folla, della fine dell’individualità: partendo da Fatima.

È lì, a Fatima, che nasce una dinastia tutta nuova e transcontinentale, quelli che potremmo chiamare, riferendoci al nostro mondo, i “nuovi fatimidi”. Non hanno nulla a che fare con la dinastia califfale a tutti nota, i fatimidi appunto, ma con quelle rivelazioni che hanno indotto alcuni a parlare invece che di suor Lucia di suor Cia.

L’avvio del volume non poteva essere più indovinato e per spiegare perché tanti, da Salvini a Bolsonaro, si affannino a dedicare i paesi che governano o vogliono governare al cuore immacolato di Maria non si può che tornare a Fatima e a quell’affidamento della Russia al cuore immacolato di Maria. Ma la “rivelazione”, che risalirebbe dunque al tempo dell’apparizione mariana, compare nelle parole di chi ricevette le rivelazioni a Fatima, suor Lucia, come un ricordo ipotetico solo negli anni Trenta, per poi divenire un ricordo certo.

Spiega Scaramuzzi: «Il regime fascista di António de Oliveira Salazar sfruttò i pellegrinaggi di massa a Fatima per rinsaldare l’identità cattolica del paese; per l’opposizione il popolo veniva tenuto a bada con una sorta di moderno panem et circenses, le tre “f” di fado, football e Fatima. La chiesa ufficiale alla fine ha riconosciuto l’autenticità delle apparizioni, ma nel corso dei decenni non sono mancate né cautela (in particolare da parte dei papi del Concilio, Giovanni XXIII e Paolo VI) né aperto scetticismo. Il vescovo portoghese Ferreira Gomes parlò di “culto magico” e “religione utilitaristica”, definendo Fatima una “Lourdes reazionaria”».

Di certo ha attirato un coagulo di argomenti e personalità smaccatamente di destra, al punto da investire addirittura Karol Wojtyla, non certo un pontefice progressista. La notte del 12 maggio del 1982, all’interno del santuario, un prete tradizionalista spagnolo, Fernández Krohn, ordinato da monsignor Marcel Lefebvre, tentò di assaltarlo con una baionetta al grido di «Morte al comunismo e al Concilio Vaticano II», ferendolo appena prima di essere bloccato dalla polizia. Sin dai primi anni Sessanta, del resto, alcune associazioni cattoliche tradizionaliste tentarono di «imporre un’interpretazione del messaggio di Fatima dai toni ultraconservatori con un sentimento religioso anti-ecumenico e opposto alle riforme conciliari», spiega José Barreto, che annota, tra le varie organizzazioni, i lefebvriani, il movimento francese della Lega della Controriforma cattolica e il Fa- tima Center del prete canadese Nicholas Gruner. Un personaggio, Nicholas Gruner, che ritroviamo nell’ottobre del 2012 al Parlamento europeo di Strasburgo accanto ai due eurodeputati leghisti Mario Borghezio e Lorenzo Fontana, quest’ultimo fedelissimo di Matteo Salvini. I due decidono di portare a Strasburgo la statua della Madonna di Fatima, o meglio una delle tante repliche dell’originale, per una processione dal sagrato della cattedrale di Strasburgo alle porte della sede dell’Europarlamento. Prima della consacrazione al Cuore Immacolato di Maria dell’Italia, doveva esserci la consacrazione di un’Europa – è l’accusa che accomuna tutti i populisti – che sarebbe ormai secolarizzata, burocratica, intenta a regolamentare la curvatura delle banane (copyright di Boris Johnson) e dimentica dei valori, pronta a difendere i banchieri e abbandonare i popoli. Accompagnata a Strasburgo da Montréal da padre Gruner, «la statua però fu inutilmente attesa all’aeroporto francese», ha raccontato Andrea Fabozzi sul Manifesto: «Si dev’essere persa durante lo scalo ad Amsterdam, spiegarono gli addetti della compagnia Klm ai momentaneamente increduli organizzatori dello sbarco in Alsazia».

Questo avvio del libro di Iacopo Scaramuzzi ci porta dunque subito nelle dinamiche dell’oggi facendoci comprendere quanto l’uso politico delle religioni, in questo caso del cristianesimo, sarà importante per il nostro domani. Perché tutto origina nello spaesamento diffuso davanti alle crisi economiche di inizio millennio e nel bisogno di trovare un nemico, e un capro espiatorio, per unire i popoli in una religiosità nazionale e in un nazionalismo religiosamente discriminante. Lo spaesamento russo ha ovviamente sue specificità, ma non è opposto a quello dei bianchi americani, degli europei, dei brasiliani. Prima di affrontare il discorso più importante, quale sia lo spaesamento e quale sia la forza che la religione può dare al tentativo di fare del populismo la risposta che disseta gli spaesati, bisogna rendersi conto dell’importanza del tema. E questo libro lo fa ricordandoci il dibattito parlamentare sulle dimissioni del governo giallo-verde. «Più che una seduta parlamentare, sembrava una lezione di catechismo, a dire il vero piuttosto sgangherata. Palazzo Madama, Roma, 20 agosto 2019: il leader della Lega Matteo Salvini decide in piena estate di rompere l’alleanza giallo-verde con il Movimento 5 Stelle e far cadere il governo. Tra i banchi del Senato è la prima volta, nella storia repubblicana, che non siede neppure un partitino che richiami, nel nome o nel simbolo, il cristianesimo. Eppure è tutto un affannarsi a chi è più catholically correct». In quell’occasione si arrivò a definire anche lo scudo crociato un simbolo religioso. E comunque, da Salvini a Renzi, passando per La Russa, tutti attinsero al Vangelo e alla questione dei simboli religiosi.

C’era da mettersi le mani nei capelli, probabilmente, ma soprattutto c’è ancora da capire come mai… Alla base di tutto c’è la lotta dei populisti, di ogni populismo, al papa regnante, che ha un opposto disegno e Scaramuzzi al riguardo è illuminante perché chiaro: «La contrapposizione, infine, è irrinunciabile perché da essa dipende la definizione del cristianesimo del futuro: segno identitario o annuncio di misericordia, vessillo da contrapporre alle altre culture e religioni o fonte ispiratrice di dialogo, muro per sigillare i confini o ponte per oltrepassarli».

Bisogna entrare dunque nelle radici politiche della scelta di usare Dio per conquistare consensi, trovare al di là dei muri i nuovi capri espiatori e rispondere allo spaesamento. E qui Trump e Putin sono i leader che scelgono i populismi. “Oggi sappiamo tutti che Trump è stato il primo presidente a partecipare alla marcia degli antiabortisti, ma dobbiamo capire perché. Il 1993 è stato l’ultimo anno in cui i «Wasp» (White Anglo-Saxon Protestant) sono stati maggioranza nel paese. Oggi i cristiani bianchi, protestanti e cattolici insieme, sono ben al di sotto della metà della popolazione. L’elezione del primo presidente afroamericano, Barack Obama, in carica dal 2009, e la sentenza della Corte suprema che ha riconosciuto i matrimoni tra persone dello stesso sesso (2015) hanno caricato nella destra cristiana una rabbia diffusa. La crisi economica mondiale, esplosa a Wall Street, ha fatto da detonatore. Secondo Robert Jones, autore del saggio The End of White Christian America, le controversie più surriscaldate che hanno agitato gli Stati Uniti degli ultimi anni – la «politica della nostalgia» bianca seguita all’ascesa di Obama, le polemiche apocalittiche sul matrimonio gay e la libertà religiosa, il profondo «disaccordo» tra bianchi e neri sul sistema giudiziario – vanno comprese nel quadro delle «ansie che i cristiani bianchi provano mentre il paesaggio etnico, religioso e culturale è cambiato intorno a loro». Hanno sostenuto dapprima il Tea Party, il movimento antistatalista e antitasse emerso nel 2009, poi hanno votato in massa Donald Trump nel 2016, considerato «l’ultima chance» di «invertire la tendenza del cambiamento culturale ed economico» del loro paese. E, certo, l’inquilino della Casa Bianca è pluridivorziato, è probabilmente il presidente più immorale della storia degli Stati Uniti, non sa citare correttamente neanche mezzo versetto della Bibbia ed è arrivato a dire che non è interessato al perdono di Dio perché non ha di che scusarsi. Ma dalle nomine alla Corte suprema al blocco dell’immigrazione dai paesi musulmani, dal divieto di transgender nell’esercito al taglio ai fondi per l’interruzione di gravidanza, ha realizzato l’agenda evangelicale”.

Un’agenda che Scaramuzzi spiega come sia diventata anche l’agenda della destra cattolica. E per farlo passa necessariamente dall’analisi di un libro, The Benedict Option, cioè quel San Benedetto che dovrebbe diventare il nuovo modello dei cristiani, invitati a ritirarsi nelle loro comunità “monasteri”, per non contaminarsi con l’America secolarizzata, e difendere quel che resta della cristianità. “Massimo Faggioli considera il libro di Dreher «pericolosissimo», ma, spiega, «riflette in modo fedele l’ansia di un certo tipo di establishment cattolico e cristiano che si immaginava che questo paese fosse al riparo dalla secolarizzazione, e dalla storia in quanto tale, e oggi vive invece una tragedia: hanno perso un paese e hanno perso una chiesa, quindi devono reinventarsi, e non potendosi reinventare un paese, per ora devono reinventarsi una chiesa che non sfugga loro di mano sulle questioni sessuali ed etniche». Quella dei cristiani bianchi, per Dreher, è una «ritirata strategica – spiega Faggioli – per ricostruire una maggioranza in piccole comunità». Per il professore di teologia e studi religiosi alla Villanova University, Philadelphia, la destra cristiana bianca vive un «ritorno ad un passato preglobale»: «Il Novecento è il secolo americano anche perché le chiese americane elaborano una certa idea dell’America e di sé stesse al servizio del progetto americano nel mondo», spiega Faggioli. È accaduto con la vasta attività missionaria, è accaduto al seguito dei militari: dalla seconda guerra mondiale, lungo tutta la guerra fredda, fino ad arrivare alla guerra in Iraq, c’è identificazione tra il ruolo mondiale degli Stati Uniti e quello delle chiese americane. Poi arriva la grande crisi, di cui Trump è espressione e acceleratore, e gli Stati Uniti optano per l’isolazionismo più radicale: «Questo è veramente nuovo, o meglio, è un ritorno all’Ottocento»: quando gli Stati Uniti vivevano ritirati dal mondo, i rapporti con gli altri paesi erano solo conflittuali, e anche col Vaticano erano assenti o difficilissimi”.

L’altro pomo dell’uso di Dio per fondare un’epoca populista è ovviamente Putin. Siamo al ritorno concordato degli opposti estremismi? Se nel racconto del populismo di Trump la figura di Bannon è illustrata come realizzatrice della visione del leader, sulla scorta di una lettura del mondo che Bannon sa offrire al leader, nel caso di Putin il suo ideologo Dugin viene letto nella sua vera essenza: un optional romantico per élite degli opposti estremismi romantici, vetero fascisti o vetero comunisti. Ma il cuore dell’elettorato Putin lo raggiunge in proprio, con la sua intuizione transtotalitaria. Il disfacimento dell’Unione Sovietica, la perdita dell’impero, il passaggio sofferto e senza né progettazione né qualità esecutiva né veri aiuti pone il leader russo nella condizione di poter conquistare, soprattutto nella seconda fase del suo lungo tempo, il cuore oppresso, angosciato dei russi e un ruolo internazionale. Ma come? Come fece Stalin quando giunse il momento della grande sfida, cioè collaborando con il patriarcato di Mosca.  “La collaborazione tra il Cremlino e il patriarcato di Mosca e di tutte le Russie, nel passato come nel presente, è palindroma, può essere letta in entrambe le direzioni. Allo zar serve il patriarca, al patriarca servo lo zar. Difficile dire chi prevale, chi usa chi, chi avrà l’ultima parola. Putin «è un laico non ideologico, che usa l’ideologia per svolgere il suo ruolo. E quindi sa usare anche la religione». Kirill «vuole diventare il leader spirituale non solo della Russia, ma dell’intero mondo ortodosso, e magari dell’intero pianeta». Le differenze, però, finiscono qui, e iniziano le sovrapposizioni. Non solo perché Putin è stato il capo del Kgb e Kirill – gli esperti lo danno per scontato – ne è stato, per così dire, informatore. Quello più pragmatico e politico e quello più pastorale e spirituale «non sono due partiti contrapposti, sono due varianti dell’unica ideologia e quindi si intrecciano facilmente», spiega don Caprio, che in Russia ha svolto la sua missione negli anni a cavallo del crollo dell’Urss. Tanto Putin quanto Kirill sono impegnati nella riscoperta dei valori tradizionali e nella crociata anti-gay in patria, all’estero l’uno come l’altro incarnano due varianti dell’espansionismo russo: Kirill era contro l’annessione della Crimea, Putin era contro la rottura con Costantinopoli. «È difficile dire quale delle due versioni sia più radicale – secondo il sacerdote –: quella di Putin è più radicale dal punto di vista ideologico, alla Dugin, quella di Kirill è più bizantina, ma non è meno imperialista». Quel che è chiaro è che il leader del Cremlino voleva «salvare la Russia dall’Occidente – spiega don Caprio – ed ha ripristinato l’ordine sovietico, ma in altra forma: quella della Russia ortodossa. In pratica, la chiesa ortodossa ha preso la funzione del partito comunista». Vladimir Putin è un leader autoritario e pragmatico. Ha ereditato un impero ferito, gli ha restituito l’orgoglio perduto. Da agente del Kgb ha assistito a malincuore al trionfo degli Stati Uniti, il nemico della guerra fredda; anni dopo, da presidente, ha assistito con piacere alle sue crescenti difficoltà, per non dire declino. È uscito dall’angolo in cui la storia aveva ricacciato la Russia proponendosi come dominus degli equilibri in Asia, in Medio Oriente, addirittura in Nord Africa. Ha schiacciato l’opposizione, ha fatto la guerra alla libera stampa, ha umiliato la società civile. Dicono che abbia interferito nelle elezioni occidentali: lui non la considera un’offesa ma una medaglia. Per dare spessore e spirito al suo potere, si è convertito all’ortodossia, fonte sempiterna dell’anima russa. La crisi economica mondiale, scoppiata negli Stati Uniti nel 2008, si è propagata velocemente al resto del mondo, ma ha raggiunto la Russia solo anni dopo, dando al presidente russo il vantaggio di stagliarsi come leader internazionale di un disordine mondiale che ha preso il posto delle magnifiche sorti e progressive della globalizzazione liberista. Con un rovesciamento sconcertante della storia, in pochi anni ha reso la Russia il faro del pensiero conservatore e dei leader populisti di destra di tutto il mondo”.

I poli intorno a cui ruota il populismo del terzo millennio non sono certo finiti qui. Orbàn e Bolsonaro meritano il risalto che nel volume hanno. Per capire perché chi stia messo peggio di tutti sia proprio Dio anche loro vanno conosciuti, seguiti, capiti. Ma l’effetto, evidente sebbene trascurato, del populismo è rafforzare la secolarizzazione, perché siamo davanti a «una religiosità dell’opposizione – rileva Olivier Roy –. È contro la globalizzazione, contro gli immigrati, contro l’islam, ma non c’è spiritualità interiore, non c’è fede, non c’è nulla». Il cristianesimo, già sfidato da una secolarizzazione che in Francia e nel resto d’Europa è ormai ambientale, si trova minacciato anche da questa ideologia che vorrebbe ridurre i simboli religiosi a oggetti culturali, strumenti politici, arma polemica; tornando alla concezione della religione dell’imperatore Costantino e rendendo la fede accessoria, superflua, al più folcloristica.”

Questo libro è davvero utile a capire il fiorente mondo populista, non si sofferma sulle origini dello spaesamento, cioè sugli errori che hanno unito tutti i liberali del mondo nell’allegra corsa alla consegna ai populisti, in totale incoscienza, di destra e sinistra. Ma se avesse trattato questo sarebbe stato un altro libro.

Titolo: Dio? In fondo a destra. Perché i populismi sfruttano il cristianesimo

Autore: Iacopo Scaramuzzi

Editore: Emi

Pagine: 128

Prezzo: E-book: 7,99 €

Anno di pubblicazione: 2020



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