L’apparenza inganna, i colori baltici pure, Angelona Merkel tutto sembra meno che una lupa, quel mix di stregoneria e sensualità vorace ritratto da Verga mal si sposa con la poco tenebrosa allure della Kanzlerin. Invece proprio questo sostiene la studiosa Gertrud Höhler: quell’aria da bonaria crucca è solo una vernice, la realtà è che la Merkel è «una lupa alla guida di un branco senza vincoli». L’ex consigliera di Helmut Kohl firma un libro che in Italia esce, tradotto da Castelvecchi, con il nome di Sistema Merkel, ma che in Germania hanno titolato direttamente La padrina, tanto per non lasciar dubbi.
Quasi trecento pagine di regolamento di conti con il così chiamato «Sistema M» che sta spopolando in terra teutonica. Il sistema è la meccanica minuziosa che spiega come, un bel giorno, ottantadue milioni di tedeschi si siano ritrovati per Cancelliera «una tizia che aveva attraversato il confine con la borsa della sauna». Così la mette la Höhler: il trucco della Merkel sta nella sua totale indifferenza a qualsiasi valore e coerenza. Sovrana è per lei solo la legge del «potere per il potere». E il corollario è una costellazione di tatticismi con cui s’è assicurata il controllo della Germania e poi dell’Europa, fino all’incoronazione di Forbes quale donna più potente del mondo.
Una corsa che inizia nel 1990, quando Angela Merkel è una ragazza di campagna della Ddr. Nata a Amburgo, ma cresciuta a Templin, studi di fisica e chimica, dopo la caduta del muro milita nel nascente movimento democratico riuscendo a diventare la portavoce dell’ultimo governo della Germania Est. Davanti alla riunificazione del 1990 con la Repubblica federale, quando tutti s’infervoravano in ideali e parole d’ordine, lei non agita bandiere e evita le barricate. Ostenta distacco, come una sfinge annoiata dai parapiglia esterni, ma intanto ha buon senso del kairos. Acciuffa con prontezza il mantello della Storia, che in quel momento era addosso a Helmut Kohl, il venerabile Cancelliere della Riunificazione teutonica. Ottiene un incontro con lui e sette settimane dopo Merkelona diventa ministra federale per le Donne e la Gioventù.
Da quel momento colleziona cariche, calpestando tutti. La ragazza dagli occhi blu e dagli inoffensivi tailleur color mandarino o verde pistacchio esautora politici di grande valore come Friedrich Merz. E con poche parole e zero tweet sarà rottamatrice, ben prima dell’era Renzi, del suo stesso beniamino Kohl: lo fa limitandosi a simulare qualche luccicone, qualche cerimoniosità da agenzia di stampa, ma d’altronde «bisogna imparare a camminare con le proprie gambe», e con questo banale annuncio nel ’99 fagocita il padre nobile Crono-Kohl senza troppi complimenti.
Angela Merkel colma i vuoti, prende le distanze, affoga i distinguo di principio in un’onnipresente mediocritas cristianodemocratica dall’insipido sapore. Rubacchiando slogan qua e là tra i vari vocabolari partitici alla fine li risucchia tutti, liberali, socialdemocratici, cattolici, verdi, entro gorghi verbali come la cosiddetta «economia di mercato umana di Centro». Ma così la Germania «scivola verso la dittatura», perché la Cancelliera non esita a scavalcare il Parlamento e esautorare i partiti ogni qualvolta fiuta una zona elettoralmente sensibile.
Merkel fa politica agitando spettri, come quello del post-crisi ’29, quella polverizzazione del marco che lasciò come eredità psicosociale l’ossessione del risparmio. La stessa psicosi che adesso «sta uccidendo l’euro». Strategia della paura il cui saggio s’è visto nella gestione dello stop al nucleare, frettolosa e sul filo dell’anticostituzionalità: sull’onda di Fukushima otto reattori dall’oggi all’indomani vengono spenti, anche se perfino il rosso-verde governo Schröder aveva previsto una lunga fase di transizione verso le rinnovabili.
L’Europa stessa è stata una mitopoiesi funzionale ai comodi del suo Reich, la prova è che «ogni singolo Paese è, in termini di deficit e risultati economici, in una situazione significativamente peggiore rispetto a quando l’Unione europea si è costituita». Il Fiscal Compact «serve a garantire il dominio tedesco sull’Europa». Da imperatrice dello Stato Unico d’Europa, Merkel regna agitando il frustino dello Spread, con cui piega tutti gli Stati lassisti peccatori. Punizione che sa di moralismo calvinista e che è una palese assurdità economica: «A cosa serve appioppare a degli Stati che sono già eccessivamente indebitati delle multe che accentuano la tendenza negativa?». Già ma poco importa, pereat Europa fiat Merkel, la quale tradisce l’intima convinzione che regnerà a vita quando ringalluzzisce i suoi regnicoli eurofobici con slogan come «Niente eurobond finché vivrò». Il suo strapotere in veste austera lo esercita cambiando i vertici di governo dei paesi-cicala con una telefonata, o riempiendo di carezze il suo italico peluche Monti, il robottino euro-diretto, apostolo del merkeliano tirar la cinghia.
Riserbo, temperature tiepide, mood da svampita: quando le si chiede conto di sue dichiarazioni: risponde «Ho detto questo?». Oppure, se interrogata su assemblee cui ha partecipato, domanda incredula «Io c’ero?». Svanita e noncurante e per questo tanto più rassicurante, come quando alla prima dell’Olandese volante si presenta in una toilette da gran soirée con abito di raso e filo di perle, che però lascia intraveder caviglie compresse entro gambaletti color carne effetto-cotechino (troppe sono le impellenze della Regina della Rigore per poter badare anche gli orpelli). Che poi gli impacciati ma rassicuranti calzini della Merkel sono l’esatta trasposizione della vaporosa chioma di Monti, che ha rincuorato per tredici mesi l’Italia quaresimale.
Il quadretto è spietato seppur veritiero, si toccano nervi già scoperti e già stuzzicati da altri: Paul Krugman, Amartya Sen, George Soros. Ma c’è un ma. Il sospetto di troppa hybris vale per la Merkel così come per la Höhler, e l’autorevole 71enne appartiene agli ambienti più conservatori della Cdu: esponenti del partito emarginati e risentiti dalla scalata di Angelona, contro la quale ultimamente hanno sferrato più di un attacco. E allora s’insinua il legittimo sospetto che l’assalto letterario contro la «golpista» Merkel sia suscettibile di letture oblique e perfino psicoanalitiche. La Höhler – che per inciso è nel vestire molto più glamourous di zia Merkel: fisico asciutto, impeccabili completi color crema e teutonica alterigia – potrebbe ben cadere dentro la categorizzazione dei moventi letterari «di genere» di Ennio Flaiano, secondo cui «le donne scrivono per vendicarsi». E quando il bersaglio dell’alzata di piuma è una donna, c’è da star sicuri che non si faranno prigionieri.
Titolo: Sistema Merkel. Come la Cancelliera mette in pericolo la Germania e l’Europa
Autore: Gertrud Höhler
Editore: Catelvecchi
Pagine: 288
Prezzo: 18,50 €
Anno di pubblicazione: 2012
La nostra speranza di una Europa che guarda All interesse dei cittadini é dobbiamo dirlo ormai una illusione. Con gentaglia come la Merkel l’ unica cosa che é fatto é che il puro POTERE dittatoriale di una fanatica sta trascinando l’ Europa verso il barato del nazionalismo extremisa come Alba Dorata. Speriamo che il Bion Dio se la porti via il più presto perché se mo tra non molto vedremo sommosse violente di massa un po’ dappertutto in Europa affamata e in cazzata ! Quando le rivoluzioni iniziano non si sa mai come finiscono eccetto che c’e’ sempre molto sangue.