Da Reset-Dialogues on Civilizations
La forza iconoclasta che spazza via con una mazza secoli e secoli di storia o la violenza di una lama che uccide senza pietà; gesti barbari e primitivi, raggelati in alcuni frame, perfetti e ben confezionati, in un hd che parla un linguaggio che conosciamo e riconosciamo: dove guarda l’Islam dello Stato Islamico, al passato o al futuro? E molto più in generale, cosa significa oggi Islam e identità islamica? A queste domande, che nascono dalla stretta attualità, prova a rispondere Lorenzo Declich, studioso di islamistica e già docente all’Orientale di Napoli, autore di L’islam nudo edito dalla Jouvence; un saggio uscito il mese scorso che fa luce su alcuni aspetti di questa religione in via di ridefinizione ed entrata da tempo nelle dinamiche del mercato globale e globalizzante.
“Nella vulgata occidentale – spiega Lorenzo Declich a Resetdoc – il mondo islamico è rimasto al Medioevo; ma non è così. Del resto, l’Islam politico nasce in età moderna: i fratelli musulmani sono del 1920. Quando si parla di Isis e si dice che si rifà a un islam medievale si cade perciò in errore. Se fosse intriso di un islam medievale farebbe cose molto diverse, paradossalmente molto più moderne, meno drammatiche e reazionarie”.
“Ogni piccola cellula da al-Qaeda in Iraq in poi – prosegue – ha avuto il suo dipartimento dell’informazione e ha studiato per anni la strategia della comunicazione comprendendone l’importanza per la propaganda. Noi, in Occidente, che non abbiamo seguito tutto il processo, è come se ci fossimo svegliati ora con qualcuno che taglia una testa. Invece, sarebbe bene conoscere anche tutto il contesto, altrimenti l’eccesso di questo periodo si trasforma solo in terrore”. “Solo usando il metro globale, e accettando le complessità che esso produce – scrive infatti l’autore alla fine del libro – possiamo dare un senso a ciò che vediamo”.
Chi si stupisce dei video perfetti dello Stato Islamico avrebbe dovuto seguire forse il programma televisivo “Imam Muda”, cui fa riferimento anche L’islam Nudo, per vedere come da tempo il mondo musulmano si sia inserito in un sistema comunicativo e culturale che non si discosta troppo dai nostri canoni. “Imam Muda” – il giovane imam – è una sorta di talent show mandato in onda in Malesia dal 2010 in cui dieci giovani uomini competono per diventare Imam e per un posto alla Madinah International University. Lo Stato Islamico rientra, nei metodi e nelle strategie di comunicazione, in quei processi di globalizzazione tipicamente occidentali che hanno investito da anni la società musulmana, in Medio ed Estremo Oriente; una società che, vista in termini commerciali, può produrre un mercato da un miliardo e mezzo di consumatori.
Ed è proprio questo il punto di partenza del saggio: analizzare l’Islam contemporaneo attraverso una delle sue manifestazioni più significative, la brandizzazione della categoria “halal”, divenuta simbolo del cosiddetto “mercato islamico”. Perché sta prendendo piede così in fretta e quali sono le sue implicazioni?
“Il caso dell’halal è esemplare: si tratta di un brand che include tutto un mondo in cui il soggetto è chiamato a identificarsi in virtù della sua appartenenza religiosa. Questo è un rischio, soprattutto per i musulmani che si vedono scippare e semplificare identità che ereditano da una storia lunghissima e complessa”, sottolinea l’autore.
“Nel libro cito Miles Young, CEO di una delle più grandi agenzie di marketing e di pubblicità (la Ogilvy & Mather Worldwide, ndr), che parla del mercato islamico come dell’affare più importante del momento”. Il rischio, però, è quello di una islamicità molto essenziale e “deculturata”.
“Da una parte questo nuovo mercato può sembrare rassicurante perché sembra basarsi sullo nostre stesse regole, dall’altra però spinge verso un’identità molto arida, che è una caratteristica di una religiosità, come quella dei salafiti ad esempio, che si spoglia dei dati storici e tradizionali e si concentra su pochi concetti. Se nell’islam il concetto di halal è molto complesso, nel mercato islamico invece è un’etichetta e dà alle persone una identità in base a ciò che comprano. Questo può essere un rischio per la penetrazione di pensieri semplificanti come quelle dell’Isis o di al Qaeda”.
Siamo, quindi, di nuovo alla recente attualità. Declich ci spiega come “questo tipo di islam globalizzato ha presa su categorie di persone che hanno perso le loro radici nazionali, familiari claniche” e “ha molto appeal fra persone di seconda generazione che non hanno un legame reale con i luoghi dove l’Islam è nato”.
Forti contraddizioni esistono e persistono, però, anche lì dove si ritiene che l’Islam sia più vicino alle proprie radici, l’Arabia Saudita, Paese che ospita La Mecca, patria del wahhabismo e allo stesso tempo alleato dell’Occidente. Anche la città dove è nato il Profeta e meta, secondo i precetti, di almeno un pellegrinaggio nella vita, pare essere finita in questo “tritacarne della globalizzazione”. Le sue aree storiche sono state sacrificate per fare spazio ad ambienti più accoglienti e turistici. “La Mecca diventa dunque un ‘parco giochi’”, spiega l’autore nel testo. Il suo simbolo, si legge, “non è più il Masjid al-Haram, la Grande Moschea, ridotto a un ‘puntino’, bensì un orologio, il più grande del mondo, che assomiglia pericolosamente al Big Ben di Londra: al centro della Abraj al-bayat troneggia la Royal Mecca Clock Tower, la seconda torre più alta del mondo”.
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Titolo: L'Islam nudo. Le spoglie di una civiltà nel mercato globale
Autore: Lorenzo Declich
Editore: Jouvence
Pagine: 150
Prezzo: 14 €
Anno di pubblicazione: 2015