Il giorno dopo la primavera per Samir Frangieh, con Riccardo Cristiano

Da Reset-Dialogies on Civilizations

Sono i tiranni che hanno governato il Medio Oriente per decenni che hanno fatto ammalare l’islam di fondamentalismo: non viceversa, come siamo stati abituati a pensare. Per questo ora che i vari Ben Alì, Mubarak e Gheddafi sono stati deposti può aprirsi per i paesi arabi la via della modernità, o meglio la via alla modernità che non hanno potuto sviluppare prima.

È questo l’argomento di fondo de Il giorno dopo la primavera (Mesogea, 15 euro), il libro intervista che Riccardo Cristiano – giornalista della Rai, in passato corrispondente dal Medio Oriente – ha fatto insieme a Samir Frangieh, ideologo dell’intifada libanese, intellettuale maronita di formazione marxista e instancabile uomo del dialogo. Come scrive nella prefazione Andrea Riccardi, ministro del governo dimissionario di Mario Monti e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, «la sua voce è tanto più apprezzabile perché proviene dal campo cristiano che, come è noto, sta vivendo questa fase di transizione scosso da timori e incertezze, talvolta nostalgico dell’amara sicurezza offerta dai regimi dittatoriali».

Il giorno dopo la primavera è in effetti il giorno più difficile. All’abbattimento di tirannie decennali non segue – come ingenuamente qualcuno ha pensato – la soluzione finale a tutti i problemi. Anzi. Proprio allora comincia la fase della costruzione, quella più impervia. Il racconto delle rivolte che i media occidentali hanno offerto è stato invece affetto da una sorta di sindrome bipolare: il superentusiasmo con il quale hanno raccontato la prima parte delle sollevazioni arabe è stato presto sostituito da una prostrazione depressiva, come se cacciati i dittatori nazionalisti non ci fosse altro sbocco che quella della tirannia degli estremisti islamici. Il classico passaggio dalla padella alla brace.

Samir Frangieh è al contrario «ottimista» sul futuro delle rivoluzioni, anche se «moderatamente»: «per lui – sintetizza Cristiano – la controrivoluzione, che pure c’è, non potrà fermare la primavera». Da dove nasce questa convinzione? Nel libro Riccardo Cristiano racconta i numerosi incontri che ha avuto con Frangieh negli anni, ricostruendo il contesto delle conversazioni e ritmando la trascrizione delle discussioni con spiegazioni della realtà nella quale esse vanno calate. Quella del Libano, innanzitutto: un caleidoscopio di complessità dentro cui si può vedere la molteplicità di tutto il Medio Oriente. Perché secondo Riccardo Cristiano le basi della primavera araba vanno cercate proprio nella lotta che i libanesi hanno vinto per garantirsi l’autonomia dalla Siria (la cosiddetta intifada libanese). Un successo dal quale discende anche la centralità dell’elaborazione di Samir Frangieh nel dopo primavera, visto che di quella lotta egli è stato uno dei protagonisti (non solo) intellettuali.

Ma come possono essere utili quelle sue riflessioni all’oggi? Intanto nell’interpretazione di ciò che è successo. «Con il crollo di regimi nazionalisti – dice – crolla la causa dell’ideologizzazione della religione, dunque comincia la turbolenta gestazione di un’epoca nuova, quella delle democrazie islamiche, dei partiti demo-islamici, partiti che facciano qualcosa di simile a quanto fecero da voi in Europa i grandi partiti democristiani del dopoguerra».

L’obiettivo a cui si deve tendere, secondo Frangieh, è quello della creazione di uno «stato civile», concetto che alcuni commentatori occidentali hanno considerato ambiguo: un espediente per non parlare di stato laico: «Chiariamoci una volta per tutte – puntualizza Frangieh –. Alla base dello stato civile c’è un’idea, chiara e importantissima: lo “stato civile” non è uno “stato comunitario”perché accorda i diritti ai cittadini sulla base di giustizia e uguaglianza, senza le quali le diversità diventano fonte di conflitti e violenza, ma non è uno stato laico nel vecchio senso della parola, cioè in guerra con le comunità».

L’idea di Frangieh è quella di recuperare un’idea di stato nel quale non predomini l’ideologia dell’«io sovrano» – la deriva a suo avviso individualista che ha colpito la società occidentale – per dare spazio a un concezione dello stato in cui individuo e comunità (le minoranze religiose che compongono il mosaico del Medio Oriente) siano egualmente riconosciuti.

L’analisi di Frangieh soffre però di un’ossessione che facilmente può divenire un punto debole: ossia far risalire qualsiasi problema attuale dei paesi arabi al «nazionalismo malato» che li ha guidati negli ultimi decenni. I ceti medi? «Sono stati distrutti dal regime». L’islamismo? «È una creatura delle tirannie». Quest’analisi che ribalta la convinzione molto in voga in occidente che in realtà i regimi nazionalisti siano serviti a contenere l’integralismo religioso sembra non fare i conti fino in fondo con quella che Abdelwahab Meddeb chiama La malattia dell’islam, ossia il rapporto irrisolto della religione musulmana con la modernità.

Questo non significa postulare un’incompatibilità assoluta tra islam e democrazia, tanto più che l’inclusione delle forze islamiche nella governance democratica ha dimostrato – in paesi come la Turchia – di essere il maggior argine alla febbre estremistica. Ma piuttosto riconoscere che la realtà non si può spezzare in due parti uguali, da una parte il bene dall’altra il male, e che la follia estremistica islamica può esistere di per sé: non è – o non è solo – una variabile dipendente dei «fascismi» targati Ben Alì, Mubarak o Assad.

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Titolo: Il giorno dopo la primavera

Autore: Riccardo Cristiano dialoga con Samir Frangieh

Editore: Mesogea

Pagine: 160

Prezzo: 15 €

Anno di pubblicazione: 2012



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