Da Reset-Dialogues on Civilizations
Da Nasser ad al Sisi, passando per Sadat e per i 30 anni dell’ex Faraone Mubarak; di colpo di stato in colpo di stato; di successione in successione: l’Egitto ha vissuto sessantadue anni di potere militare. Più o meno evidente, mascherato forse da un’iconografia che ha tolto la divisa ai suoi leader lasciandogli però tutte le caratteristiche dell’autoritarismo. Una “democrazia militare” così come la chiama il giornalista e ricercatore Giuseppe Acconcia nel libro che si intitola proprio “Egitto. Democrazia militare”, pubblicato da Exòrma Edizioni, che e uscito in queste settimane.
Un potere, quello militare, che nel corso di più di mezzo secolo è penetrato in tutti settori più importanti nella vita di un Paese, come la politica e l’economia, oltre naturalmente alla difesa, tanto che oggi, dopo una nazionalizzazione che non ne ha eroso gli interessi e dopo politiche liberiste avviate da Sadat negli anni ’70 e proseguite da Mubarak tra gli anni ’80 e ’90, l’esercito governa sia il settore pubblico, sia il privato, dirigendo aziende di importanza strategica. Assistiamo così al paradosso che vede come protagonisti della piazza quegli stessi operai e sindacalisti che in fabbrica si trovano a confrontarsi con un proprietario che è anche un generale.
È il caso specifico, narrato nel libro, di Mohammed Shams, proprietario della fabbrica Ceramica Cleopatra a Suez, una delle tante zone in cui arrivano i racconti di Giuseppe Acconcia conducendoci all’interno di un Paese complesso e complicato, fatto anche di potere tribale, di realtà profondamente mistiche e religiose; di sufi, islamisti (e questa non è necessariamente una parola cattiva) e di salafiti.
Da Suez ad Alessandria a Port Said, ai confini con la Libia, fra le saline dei laghi del deserto di Siwa e giù, al sud, verso il Sudan, ad Assuan, nei pressi della “diga della discordia” compiamo un viaggio fra le molte realtà che l’autore, che in Egitto ha vissuto per lunghi periodi dal 2009 ad oggi, sperimenta in prima persona. Accompagnati da testimonianze fotografiche, arriviamo fra gli operai di Mahalla al Kubra, fra le donne di Qarafa, i cinesi d’Egitto, i manifestanti di Alessandria a favore di Morsi e quelli contro, a Eliopoli, di fronte al Palazzo presidenziale. E poi le pagine strazianti del massacro di Rabaa, del 26 luglio 2013, quando uomini, donne, giovani inermi sono stati massacrati da poliziotti armati fino ai denti e dai cecchini.
L’Egitto della “democrazia militare” è un Egitto che va oltre il Cairo e l’emblematica piazza Tahrir, anche se è lì che sono avvenuti gli eventi più eclatanti di questi ultimi tre anni, dalle manifestazioni del gennaio 2011 all’incoronazione, nel giugno 2012, di Mohammed Morsi, alla sua caduta, fino alle manifestazioni degli scorsi mesi da parte degli studenti (si tratta soprattutto di sostenitori dei Fratelli Musulmani) che chiedono la liberazione di quanti sono ancora detenuti nelle carceri egiziane, arrestati durante i cortei di protesta che continuano a svolgersi nel Paese.
Per farci un’idea della situazione, Giuseppe Acconcia cita alcuni dati tratti dal sito “Mada Masr”: “41mila le persone arrestate in Egitto dal giorno del colpo di Stato militare del 3 luglio 2013, tra cui 926 minori, 4768 studenti e 166 giornalisti”. Alcuni di loro sono prigionieri politici in sciopero della fame. “La loro battaglia contro la legge anti-proteste – ci spiega – è essenziale per il rispetto dei diritti fondamentali in un paese dove le speranze delle rivolte di piazza Tahrir si sono trasformate ancora una volta nell’incubo dell’autoritarismo di regime”.
Questo significa, prosegue l’autore, che “lo spazio per i movimenti universitari, giovanili, di sinistra e liberali, per il giornalismo indipendente e per le organizzazioni non governative in Egitto è stato azzerato dalle leggi anti-proteste e anti-terrorismo, approvate dopo il colpo di stato militare del 3 luglio 2013”. Questo non significa, però, che “il potenziale del movimento non sia ancora significativo, per esempio il sindacalismo indipendente e le proteste nelle fabbriche della scorsa primavera hanno preoccupato molto le autorità egiziane tanto da determinare una crisi di governo”. Ora l’Egitto “è guidato da un uomo con le mani insanguinate”, scrive Giuseppe Acconcia, e il futuro è preoccupante.
Cosa c’è da aspettarsi? “Le elezioni parlamentari – sottolinea – non sono state ancora fissate ma la legge elettorale e la repressione del maggiore partito di opposizione, espressione dei Fratelli musulmani, confermeranno il controllo diretto delle istituzioni da parte del presidente Abdel Fattah al-Sisi. Questo modello di Stato contro il terrorismo è così attraente da essere diventato “esportabile”, per esempio in Libia dove l’ex generale Khalifa Haftar è appoggiato da Sisi contro il parlamento filo-islamista di Tripoli”. Un ritorno dei generali che, però, “è molto pericoloso per il futuro del Medio Oriente”.
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Titolo: Egitto. Democrazia militare
Autore: Giuseppe Acconcia, prefazione di Sonallah Ibrahim
Editore: Exòrma
Pagine: 240
Prezzo: 14 €
Anno di pubblicazione: 2014