La dignità dai classici a oggi
Cosa si nasconde dietro una parola

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Alla voce “dignità” si affastellano tanti significati. Alcuni sembrano immediati tanto da non richiedere neanche spiegazione, altri rimandano a usi passati, altri ancora declinano il significato in improbabili riconoscimenti che conquistano le pagine delle cronache quotidiane – dalla «dignità dell’asparago» alla dignità di luoghi e monumenti. La dignità è stata virtù greca e romana di pochi eletti, fede cristiana, libertà data da Dio e libertà di natura, ed è diventata nel tempo dignità dell’uomo in tutta la sua interezza, in quanto essere umano. A un certo punto del suo cammino la parola ha incontrato come compagne di viaggio Libertà e Uguaglianza; se n’è poi aggiunta un’altra, la Fratellanza, e così s’è completato e complicato il suo profilo. L’evoluzione semantica della parola “dignità” nel tempo è stata intensa, a tratti tortuosa, e ha portato a un doppio profilo: la dignità come «diritto di ognuno al rispetto integrale della propria libertà e, più in generale, della propria “persona”» e come esercizio delle virtù «nel rispetto e nella difesa della libertà» e della persona, propria e altrui. Sembra intuitiva, la parola dignità, ma la sua evoluzione racconta una storia fatta di mille rivoli, fascinazioni, deviazioni di senso, arricchimento di senso. A raccontare la storia della parola dignità è Nicola Casaburi ne “Il cammino della dignità. Peripezie, fascino, manipolazioni di una parola” (Ediesse 2015), un libro che si dipana fra rimandi letterali e storici e ripercorre minuziosamente, con sguardo partecipe e a tratti divertito, l’evoluzione di questo termine negli scritti, nei saggi, nelle opere della narrativa, nelle encicliche papali e nelle arti, in uno zigzagare in cui i significati si sono uniti e precisati senza per questo evitare percorsi tortuosi e accidentati – che spesso hanno riproposto significati legati alla virtù, all’onorabilità, al riconoscimento di una carica o di un titolo onorifico.

È curioso, pieno di spunti e suggestioni, questo percorso che ricostruisce la storia, il fascino, le peripezie e le manipolazioni della dignità, parola tanto possente quanto versatile e a tratti fortemente ambigua. Scrive subito Casaburi: «Per molta parte del tempo antico “dignità” è stata soprattutto appannaggio dei sapienti e degli eroi. Vigenti le tavole delle 4 virtù (prudentia, justitia, temperantia, fortitudo), il riconoscimento sociale della dignità è andato agli uomini giusti, ai coraggiosi, ai sapienti, ai saggi che sapevano governare con temperanza e moderazione pulsioni e passioni. Poi, sotto i cieli della Cristianità, l’osservanza delle antiche virtù non è stata più sufficiente al suo conseguimento: si doveva, sì, continuare ad essere cardinalmente virtuosi, ma si doveva soprattutto abbracciare, praticare e testimoniare incondizionatamente quelle fede. Ancora, e comunque, dignità riservata ad una schiera di eletti. La svolta avviene più in là nel tempo, quando la promessa di una fulgida vita ultraterrena comincia ad arretrare lasciando spazio ad una scommessa sul “qui ed ora”. […] Grandezza dell’uomo, insomma, per il fatto solo d’essere uomo; dignità dell’uomo, soprattutto per quella straordinaria miscela di libertà, ragione e intelletto che gli consente – solo che lo voglia – l’esplorazione della bellezza, del piacere, dell’ignoto, magari dell’avventura mistica».

In questa storia ci sono degli snodi cruciali. Uno è rappresentato dall’opera di Pico della Mirandola, per l’autore una “svolta” – «Cessa di essere soltanto appannaggio del singolo (sapiente, saggio, coraggioso che sia), cessa anche di essere appannaggio di una comunità (della comunità cristiana, in particolare): la parola “dignità” viene incaricata di rivestire di sé l’intero genere umano, in quanto tutti noi ugualmente destinatari del dono divino della libertà». C’è poi l’opera dei giusnaturalisti, con cui i diritti si fondano sulla Natura umana e con cui la Libertà viene assegnata agli uomini per legge naturale, portandosi dietro l’Uguaglianza – «Libertà e Uguaglianza, dunque, a caratterizzare fin d’ora un modello di dignità fondativo di un complesso di diritti e di doveri in capo a ciascuno di noi». Non può mancare, fra gli snodi fondamentali, quello rappresentato da Kant e dal richiamo alla legge morale, che si porta dietro l’imperativo categorico: «L’uomo non può essere trattato dall’uomo (da un altro uomo, o da se stesso) come un semplice mezzo, ma deve sempre essere trattato anche come un fine. In ciò appunto consiste la sua dignità». Ed è così che la dignità accoglie un’altra compagna di viaggio, spiega l’autore, non senza ulteriori scompigli: la Fratellanza. Ricostruito questo profilo di base, il cammino della dignità prosegue nelle lotte dei lavoratori (Il Quarto Stato) e viene stracciato dalle dottrine totalitarie del Novecento, così come viene annullato totalmente nei campi di sterminio nazisti, ripercorsi attraverso l’opera di Primo Levi.

Questo percorso della parola dignità non è però tutto al passato: non si esaurisce nella storia, né nella letteratura, né nel profilo della Costituzione italiana, perché “dignità” si ritrova nelle cronache dei giornali, nelle testimonianze dei disoccupati, nella riscoperta (così raccontano le cronache ormai abusando del termine) della “dignità” di un ortaggio, di un cibo, di un monumento. Se si guarda all’attualità, però, vale la pena soffermarsi su un capitolo in particolare del libro, che a partire da questa parola tocca alcune delle questioni più delicate della contemporaneità: i diritti di autodeterminazione del «cittadino emancipato», che rivendica tali diritti di fronte allo Stato. Qui si parla della dignità del corpo e del groviglio di casi “sensibili” che riguardano la persona, la sua vita e la sua morte. Ci sono storie di vita e di morte, di dolore e di dignità: quelle di Mario Monicelli, di Pier Giorgio Welby e di Eluana Englaro per ricordare i casi più eclatanti, quelli che chiamano in causa l’eutanasia, che non fa più paura agli europei perché «il valore di autodeterminazione in fatto di vita e di morte» ora ricopre «il primo posto nella graduatoria della dignità». In tante questioni contemporanee – come accade ad esempio per la maternità, l’aborto, i diritti della donna, lo status dell’embrione – i valori che segnano la parola dignità sembrano finire in contrapposizione fra loro, perché complesso è il presente: le questioni sollevate implicano ogni volta il bilanciamento di diritti e doveri diversi, nonché l’esclusione di qualunque terza parte che voglia approfittare o trarre guadagno dai conflitti bioetici contemporanei. Ecco dunque che il cammino dell’autore finisce per toccare questioni brucianti della contemporaneità e per riversare la colta ricostruzione nella realtà e nei suoi aspetti più dolenti o più delicati. Ecco: questo studio, questo sguardo meritano di essere ampliati, perché se Dignità è quella che orienta scelte e rivendicazioni degli esseri umani, è indubbio invece che le istituzioni a diverso titolo siano spesso indietro, preda di dogmatismi, paure, incertezze che certo non aiutano nell’affrontare le sfide del presente.

Titolo: Il cammino della dignità. Peripezie, manipolazioni, fascino di una parola

Autore: Nicola Casaburi

Editore: Ediesse

Pagine: 207

Prezzo: 13 €

Anno di pubblicazione: 2015



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