L’eclettismo democratico di John Dewey

Della triade di grandissimi filosofi del Novecento, John Dewey sembra essere l’ultimo a resistere e ad avere ancora qualcosa da dire e da dare al pensiero contemporaneo. Tanto Martin Heidegger quanto Ludwig Wittgenstein sono stati spremuti nei decenni passati al punto di scomparire dagli scaffali delle librerie ed essere ormai confinati solo nei corsi delle università, nei corsi di storia della filosofia peraltro.

Sempre considerato uno scalino sotto il metafisico e logico Charles M. Peirce e lo psicologista William James, Dewey ha avuto fondo nella corsa e ha resistito agli urti della storia nella seconda metà del XX secolo fin tanto da tornare attuale e utile nella congiuntura critica in cui l’Occidente oggi si trova.

Sul finire del 2011 è uscito un utile libro che mette in luce l’eclettismo del filosofo americano e in poco più di cento pagine ricapitola i diversi percorsi intellettuali battuti. Rosa Calcaterra, docente di Filosofia della conoscenza all’università di Roma Tre, chiarisce fin dalle prime righe del volume che Dewey è un grande del pensiero novecentesco perché ha saputo tenere insieme il piano delle idee e quello del concreto svolgimento della vita umana. Lungi dall’essere un filosofo chiuso nella sua torre, Dewey ha saputo connettere teoria e prassi in una sintesi che ha attraversato numerose discipline, dalla logica all’epistemologia, dalla teoria della democrazia alla pedagogia e alla religione.

Come sottolinea Calcaterra, in Dewey sono presenti due temi fondamentali di tutto il pragmatismo americano: anti-dualismo e l’anti-riduzionismo. Fin dai saggi contro Cartesio (1868) di Peirce, il tema della realtà come continuum è stata tematizzata negli Usa sulla scorta, anche dell’eredità darwiniana e hegeliana, nell’originale sintesi che ha caratterizzato una parte importante della cultura Usa dell’Ottocento.

Se l’opposizione al dualismo anima-corpo (e a tutte le altre coppie affini) è tratto comune, differenti sono i percorsi con cui i grandi filosofi a stelle e strisce approdano a quella prospettiva comune. William James arriva al suo pragmatismo dal «basso» dall’empirismo di John Stuart Mill, al quale pure dedica il libretto Pragmatism (1907). Al contrario, lo strumentalismo di Dewey proviene da una forte iniezione di metodo scientifico nell’idealismo hegeliano con una trasformazione, per dir così, dall’«alto» dell’idealismo del filosofo tedesco.

Se i concetti assumono significato nell’uso concreto e quotidiano, lo strumentalismo deweyano trova un test decisivo nelle idee del filosofo americano sull’educazione e la pedagogia. Il carattere pratico e pubblico dell’esperienza – e non intimo e psicologico – significa che anche i bambini sono in primo luogo attori e la loro intelligenza è in sostanza una risposta a un contesto sociale che li circonda.

Attraverso il tema dell’individualismo e del rapporto dei singoli con la società si giunge a una delle questioni che più stanno a cuore a Dewey e che gli fanno compiere un passo più in là rispetto a due padri nobili del pragmatismo: la politica e la democrazia. Calcaterra sottolinea come uno dei tratti fondamentali – e pragmatistici – di tutta la lunga riflessione di Dewey sulla democrazia sia il suo carattere fallibilistico e costantemente rivedibile.

Per il filosofo americano, «la democrazia non è riducibile a una forma di governo tra le altre, ma è innanzitutto uno stile di vita, la cui attuazione richiede un impegno incondizionato e costante». La democrazia è quasi una fede o una religione verso cui bisogna costantemente impegnarsi e lavorare per mantenere vivo il progetto e la possibilità di realizzazione.

Ed è proprio a proposito delle riflessioni deweyane sulla religione che l’autrice sottolinea che sebbene ci sia il rischio di una sorta di religione scientifica (rischio ricordato anche da un entusiasta del pensiero di Dewey come Richard Rorty), nel filosofo c’è solo l’esigenza di trasportare anche nelle scienze morali una mentalità anti-dogmatica e fallibilista tipica delle scienze sperimentali.

Quel che si può dire in conclusione è che a distanza sessant’anni esatti dalla scomparsa, l’eclettismo appassionato di John Dewey rimane uno dei lasciti più importanti e forse più duraturi della filosofia del XX secolo. Forse meno profondo di un Heidegger e di un Husserl, il pragmatista americano ha però ancora molto da dirci in un’epoca in cui la democrazia non gode di ottima salute. In un’epoca in cui la partecipazione democratica è difficile le visioni concrete di Dewey tornano ancora molto utili.

Titolo: Idee concrete. Percorsi nella filosofia di John Dewey

Autore: Rosa M. Calcaterra

Editore: Marietti

Pagine: 140

Prezzo: 17 €

Anno di pubblicazione: 2012



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