Silvia Bencivelli è, prima di tutto, un medico. Con una spiccata propensione o vocazione al giornalismo. È un medico laureato alla Normale di Pisa, che ha optato (preferito, scelto volontariamente, sua sponte) di fare innanzitutto la divulgatrice di contenuti scientifici. Cioè la giornalista che scrive di scienza e tematiche affini. Indipendentemente dall’iscrizione all’Albo. Libera da contratti, da rapporti subordinati di lavoro, dipendenze varie. Una che s’organizza da sé. È una giornalista indipendente, dunque a tutti gli effetti una free lance, che s’è tuffata nel mare magnum del mercato editoriale made in Italy (molto particolare da questo punto di vista), ma che non vive (non può vivere) solo di questo.
Si deve perciò ingegnare. E, grazie alle sue competenze e alla sua professionalità, vive anche di conferenze, lezioni, seminari, presentazioni, dibattiti, interventi e inviti, temporanei contratti in Rai – anche più d’uno contemporaneamente – nel tentativo di mettere insieme il pranzo con la cena, nell’attesa continua di pagamenti che stentano ad arrivare o proprio non arrivano, ritardano, superano di gran lunga i sessanta giorni che dovrebbero intercorrere dall’emissione di un’ordinaria fattura, per essere riscossa, per diventare al contrario anche centoventi, centottanta e così via. Non disdegnando anche di fare «gosthwriting per politici e professori» oppure scrivere «articoli dottissimi e altri superpop» nell’ambito di un curriculum professionale molto «rapsodico». Meglio, sincopato.
Perennemente alle prese con un mercato che in verità non concepisce più di pagare il lavoro intellettuale, che preferirebbe la prestazione gratuita o simbolicamente remunerata, specie ora che con internet tutti possono fare tutto e la prestazione d’opera è diventata “immateriale”, dove il lavoro non conta più nulla, che è poi – come ci ha spiegato Marco Panara – in La malattia dell’Occidente (Laterza), quasi la prima emergenza. Ma lei rivendica: «Quel che ho fatto e fatturato ha da essere pagato».
Bene, su questa sua esperienza – dopo aver esordito con la mitica Zadig di Romeo Bassoli, autorevole giornalista scientifico ex-l’Unità che ha fondato la prima agenzia di settore degna di questo nome – Silvia Bencivelli ha scritto un onestissimo libro sulla vita da e del free lance. Che, se si vuole, è anche vita da precario, fatta per scelta in nome della libertà personale e della libera impresa di se stessi. Senza troppo piangersi addosso. Tuttavia densa di tic, ossessioni, timori. Free lance per necessità primordiale di un “ossigeno intellettuale” più che per un obbligo, quale per esempio può essere l’effetto di un’espulsione dal lavoro dovuta alle conseguenze della crisi editoriale, dei tagli e quant’altro (per carità la crisi c’è, e per il free lance ha effetti drammatici di cui è consapevole, perché ha scelto di correrne il rischio in cambio d una assoluta libertà di manovra dentro regole di mercato o da mercato tipo suq).
Già, perché il lavoro e lo status dell’essere free lance – si evince dalla lettura di questo agile, divertente, leggero ma raffinato pamphlet sull’arte del lavoro autonomo nell’era della sua riproducibilità tecnica, a partita Iva, non contrattualizzato, non subordinato ma sicuramente soggetto alle ubbie del mercato – non è un mestiere, è quasi un moto dello spirito, un fatto esistenziale, uno “stile di vita”. Un modo di essere e di organizzare la propria vita essenzialmente intorno, o con al centro, il lavoro. Lo dice il titolo stesso: Cosa intendi per domenica? Lavoro full time. E Silvia Bencivelli questa dinamica del non ci sono “né sabati né domeniche” che tengano la descrive moto bene: «Che razza di lavoro indipendente è, il mio, se non riesco a staccarmene mai?». Con una constatazione: «È vero, l’indipendenza genera dipendenza».
Già, perché “il lavoro” continuativo che scaturisce dal lavoro medesimo, dai rapporti e dai contatti che questo stesso induce in chi lo esercita, è l’unica vera risorsa (know how) del free lance, il suo biglietto da visita («patrimonio di credibilità» lo definisce) ma anche la sua assicurazione sulla vita. L’autrice descrive il meccanismo con dovizia di particolari, dandogli una classificazione anch’essa scientifica: «Search on-the-job», ovvero procacciarsi il lavoro mentre si lavora, o “a mezzo di lavoro”. Un po’ come far soldi a mezzo di soldi, per quanti speculano, giocano in Borsa o con la finanza e facendo della propria vita un gioco del poker.
Il lavoro per il free lance è tutto. È la sua vita, i suoi contatti, la sua sopravvivenza, perché se non c’è quello non c’è nulla. Non è come stare in una redazione anche senza lavorare, perché messi da parte, mobbizzati, sotto utilizzati o scarsamente valutati. A fine mese il bonifico in banca arriva ugualmente. Certo, non è facile ma te ne puoi persino fare una ragione. Il free lance non può. Deve essere sempre “sul pezzo”. Da idea nasce idea. Da contatto nasce contatto. E occasione. Il free lance deve sempre avere le antenne puntate, i riflessi svegli, la mente che elabora, il cervello che reagisce e interagisce. Anche se passa frequentemente dall’euforia alla depressione perché «a volte passano mesi senza incassare niente». La partita Iva è, davvero, «una fregatura». Anche perché pagherai oggi quel che non si sa nemmeno se incasserai domani o quando mai lo incasserai. Ma «la partita Iva è un’imprenditrice di se stessa». E come tale non esistono ferie, riposi settimanali, giorno o notte specie se sei sotto consegna, malattie che nessuno ti rimborsa, a meno che non ti paghi da te la Casagit. Ma se non sei giornalista, iscritto all’Ordine (e lei non lo è) e magari anche all’Inpgi2, la cosiddetta “gestione separata” che ti obbliga a pagarti una posizione pensionistica in proporzione a quanto guadagni annualmente, tra lordo e netto, chi ti paga la Casagit?
Il problema dell’essere davvero indipendenti, confessa Silvia Bencivelli, «è che dobbiamo imparare un sacco di cose sul mondo che proprio non avevamo messo in conto». Cose pratiche, cose fiscali, come fatture, scontrini, ritenute, detrazioni e cosa e come e quanto si può o meno detrarre, documentazione da conservare, tenere in ordine. E poi i controlli da fare sulle riscossioni effettivamente avvenute e su quelle da esigere in un calvario di telefonate, risposte evasive o di «ritelefoni lunedì» (quanti sono i lunedì in un anno?), tutto rigorosamente da soli, senza assistenti e assistenza, portandosi anche il lavoro in vacanza, perché è chiaro che oggi si può lavorare ovunque, basta avere un accesso a internet e un portatile, uno smartphone, un iPad. Basta essere sempre connessi.
Ma a parte questi inconvenienti, che fanno anch’essi parte del gioco della vita e del lavoro, Silvia Bencivelli si dichiara «felice» anche se ha capito esattamente che il lavoro non si smaltisce tutto in una notte e poi il resto puoi stare a braccia conserte godendoti il tempo libero o liberato dall’incombenza del lavoro come s’era immaginata. Non è così. Il lavoro te lo devi procacciare “a mezzo di lavoro”. E così oggi lei e la sua partita Iva si vogliono bene: «Ci siamo capite – scrive – ci sappiamo trattare. Io la curo amorevolmente. Lei mi dà ordine e disciplina: mi permette di seguire quello che faccio e mi impedisce di cullarmi nell’idea che tanto, comunque, in un modo o nell’altro sopravvivo. Eh no! Non sopravvivo comunque. Mi devo impegnare. Grazie per avermelo ricordato, partita Iva».
Basta avere energia, volontà, determinazione. Secondo una particolare filosofia: basta voler estrarre «tutto il sangue che si può estrarre da una rapa», utilizzando «tutto il maiale di cui non si butta via niente», producendo «tutto il brodo che fa brodo anche se la gallina è giovane: quello è il mio lavoro». E questo è anche la moderna pratica del giornalismo da Terzo millennio: non si butta via niente.
È l’idea dell’investimento continuo, Il concetto che vita e lavoro sono connessi e anche esperienza e studio continui. Per tutta la vita. L’approccio di Silvia Bencivelli è l’altra faccia del lavoro a «due euro a pezzo» e del precariato che abbiamo documentato su questo sito con un’inchiesta ad hoc. Una visione atipica, non rivendicativa né sindacale, aperta. Certo, il mercato è quel che è. Tanto che talvolta viene da dire che non c’è proprio mercato. Il mercato è morto e con esso anche il giornalismo.
Silvia Bencivelli riflette però anche sul fatto che il suo lavoro è così bello che lo farebbe pure gratis, tanta è la soddisfazione morale, culturale, la possibilità di avvicinare persone, scienziati, e fare cose che altrimenti mai avrebbe fatto. Anche se non si spiega il perché l’unica categoria per cui «si crede normale fare qualcosa gratis, è quella dei lavoratori sedicenti della cultura», a cui si chiede di scrivere, parlare, presenziare gratis. «Ma cosa comporterebbe avere un posto fisso?».
Già, bella domanda. Vantaggi ma anche no, secondo il concetto che il free lance è un moto dello spirito e uno stile di vita insieme.
Riflette: «Un tempo dicevo sempre di sì, prendevo tutti i lavori che arrivavano: era una bulimia professionale, un’ansia, anche un entusiasmo. (…) Oggi a qualcuno dico di no subito, perché so valutare meglio le mie forze. E perché credo di dover riconoscere la professionalità che serve a scegliere, o almeno a scegliere i buchi migliori». Già. È la consapevolezza della maturità. Anche professionale. Dentro però un quadro generale, personale, individuale e nell’incapacità di «fare squadra» con altri, «che ci ha reso fragili e che sarà la nostra vulnerabilità sociale: diventeremo anziani senza che ci abbiano mai lasciato essere adulti».
Un libro che ciascun free lance dovrebbe leggere e consigliare di leggere ai propri simili. Non foss’altro per terapia. O autoconsolazione. O stimolo. Riscatto. In fondo, come mi dice spesso un amico che è direttore di quotidiano, con buon contratto in tasca: «Sono un disoccupato che attualmente lavora». Ma domani non lo sa. Con questi chiari di luna domani potrebbe ritrovarsi anche senza lavoro. Occupazione come condizione temporanea e non certa. Il guaio dice, «è che so fare solo questo e se domani dovessi perdere il lavoro non saprei nemmeno da dove ricominciare». Meglio free lance, allora.
Il lavoro è ormai a rischio per tutti, come si vede dalla realtà odierna dei grandi gruppi editoriali. Que viva free lance, allora!
Titolo: Cosa intendi per domenica? La mia (in)dipendenza dal lavoro
Autore: Silvia Bencivelli
Editore: Liber Aria
Pagine: 128
Prezzo: 10 €
Anno di pubblicazione: 2013