La grande famiglia del gentismo in Italia

È come una foto di famiglia quella scattata da Leonardo Bianchi nel suo libro La Gente. Viaggio nell’Italia del risentimento (minimum fax, 2017). C’è quello alto e quello bassetto, quello tarchiato e quella segaligna, il nonno e il bambino, tutti diversi eppure tutti quanti con qualcosa che li accomuna, quella che si suol dire un’aria familiare. Certo, alcuni saranno più simili di altri e alcuni ricorderanno solo vagamente la vecchia signora. Di sicuro però c’è che un filo li collega, li tiene insieme.

È una grande famiglia che vive in Italia nel XXI secolo. È l’Italia de La Gente, diversa ma unita da una somiglianza di sentimenti. Bianchi viaggia on e offline attraverso un paese incazzato e rancoroso che è alla ricerca continua di capri espiatori contro cui scagliare il proprio livore. Un viaggio compiuto con lo spirito del cronista “entomologo” che registra le sempre più frequenti eruzioni di un fiume carsico di rabbia ormai visibile quasi ogni giorno.

Nella sua genealogia iniziale del fenomeno, Bianchi identifica “il Big Bang del gentismo” ne La Casta il volume uscito nel maggio 2007 e scritto dalle allora firme del Corriere della sera Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. È con quello che fu uno straordinario successo in libreria (un milione e duecentomila copie vendute nei primi 6 mesi) che viene codificata la contrapposizione tra la gente e la casta, tra noi e loro, tra fuori e dentro il Palazzo della politica. Ed è dalla Casta che gemma un filone editoriale che alimenta l’odio nei confronti di categorie professionali come sindacalisti, medici, e che travolgerà anche i giornalisti stessi. Dunque è la polarizzazione e la contrapposizione che aiutano a generare la rabbia tra la “gente”.

Certo, la Lega di Bossi è stata un primo catalizzatore politico di questo sentimento che ha tuttavia visto la sua piena espressione nello spazio pubblico grazie a Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio e al M5S. Dal Vaffa-Day di Bologna fino all’exploit delle elezioni politiche del 2013 e alle amministrative del 2016, il “megafono” grillino ha funzionato alla grande: il comico genovese in coppia con l’imprenditore visionario ha saputo intercettare una frustrazione spesso pre-politica e tradurla in consenso elettorale pescando in fette anche molto diverse di società che tuttavia condividono tutte un disprezzo per la politica. Appunto, anti-politica o populismo che dir si voglia.

Ma non c’è solo Grillo e il M5S nel libro di Leonardo Bianchi. È l’Italia – o almeno una parte di essa – che ha fatto del risentimento, del rancore e dell’incazzatura il proprio modo di stare al mondo. Prima della rete è stata la tv a disintermediare e a far fuori i filtri. Ora il “noi” e “loro” non è solo giornalisti e politica contro gli altri ma c’è un “loro” in chiunque ci si para davanti quotidianamente.

La rabbia di volta in volta si indirizza contro la professoressa a scuola, il medico in ambulatorio, l’autista del bus. E poi c’è un archetipo di tutti i “loro”, capro espiatorio di una condizione che non soddisfa l’italiano: l’immigrato, il profugo, il clandestino, il rom, il nero. Quelli che in un circolo impazzito fatto di politica, giornali, tv e social media sono rappresentati come le grandi ossessioni di questa stagione politica.

L’individualismo – tradotto in un più prosaico “non mi rompete le palle, faccio come mi pare” – è una delle chiavi del gentismo di questi anni. Eredità del berlusconismo dagli anni Ottanta in avanti ha scavato come una goccia cinese nelle convinzioni degli italiani. Meglio meno tasse e meno servizi di uno stato sociale che funzioni bene o male per tutti. Ecco che esplode così la voglia di una libera impresa senza “lacci, lacciuoli” e soprattutto senza controlli esterni e a cascata, via con quelle che Bianchi chiama le “realtà inventante” come le mitiche scie chimiche ma anche il paradiso no-vax e il popolo della famiglia tradizionale. “Ci impongono i vaccini”, “ci impongono l’ideologia gender” nelle ultime esplosioni del fai-da-te più ideologico e pericoloso si assiste al cortocircuito del liberalismo: ai diritti per gli altri corrisponderebbe la limitazione dei nostri. La libera impresa poi è anche quella della difesa personale – presente Salvini? – che elegge a proprio mito il benzinaio Graziano Stacchio che uccide un rapinatore rom a Ponte di Nanto, un paesino del profondo nord est.

È una indignazione assoluta in attesa solo di una miccia per esplodere. Un caso di cronaca come le dodici donne migranti da ospitare in un piccolo paese del Ferrarese, Gorino? E allora barricate contro un’invasione che suona ridicola e così le mobilitazioni per le strade, l’occupazione dei carrefour (non i supermercati, le rotonde stradali) nel nord ovest, l’assalto ai comuni di Nichelino o Pinerolo del 2012. I Forconi!

È una rabbia estemporanea quella della “gente” che esplode e poi rincula nelle case davanti alla tv o ai computer e gli smartphone. Un fuoco di paglia che si accende e sul quale spesso c’è chi è pronto a metterci un cappello politico, solitamente di uno stesso colore. Perché se esiste una somiglianza di famiglia tra tutte le mobilitazioni “gentiste” di questi anni, è il filo che le attraversa, un filo non rosso ma nero come la destra estrema e neofascista che in questi anni va cercando un popolo di riferimento.

Bianchi nell’ultimo capitolo del libro scava dentro Facebook alla ricerca di quei gruppi nei quali si forma, si cementa e si costruisce quel sentire comune pre-politico che costituisce una sorta di senso comune del gentismo. Razzismo, sessismo, omofobia, esplicito fascismo, mescolati alla neo-lingua dei meme, delle bufale, della propaganda politica aggressiva e contagiosa. Tanto che nell’Epilogo del volume, l’autore si esercita nel riconoscere i tratti del gentismo linguistico, ormai tracimato, anche nei gruppi che supportano Matteo Renzi sui social media.

Titolo: La gente. Viaggio nell'Italia del risentimento

Autore: Leonardo Bianchi

Editore: minimum fax

Pagine: 362

Prezzo: 18 euro €

Anno di pubblicazione: 2017



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