Il talento eclettico di Walter Benjamin

Pur essendo ormai trascorso oltre mezzo secolo dalla sua morte, non è ancora agevole cercare di definire senza ambiguità che genere di studioso fosse Walter Benjamin. La sua cifra oscilla tra la critica letteraria e la filosofia e comprende, in una certa misura, anche la sociologia dei processi culturali. Ma, in realtà, questi incasellamenti disciplinari appaiono sempre un po’ forzati, dal momento che il contributo e lo stile di Benjamin ne fanno una delle figure più particolari e uniche della cultura del Novecento. Per tale ragione, il volume di D’Alessandro, che cerca di ricostruire la vicenda intellettuale di questo “genio precario”, ricollegandola ai contesti personali e storici, è una operazione di ricerca non banale.

L’autore si dedica a questo compito attraverso quattro capitoli, ciascuno dei quali incentrato su un particolare tema: 1) la metodologia di studio di Benjamin e il suo rapporto con la modernità, 2) i suoi viaggi, 3) il rapporto con l’infanzia, e 4) quello con la ricerca accademica, specificamente rispetto alla Scuola di Francoforte.

Si delineano in tal modo, accompagnate dalla descrizione di alcuni momenti e aspetti della vita di Benjamin, interessanti valutazioni e considerazioni critiche. Innanzitutto, si può osservare come l’opera di Benjamin, intrecciandosi tra messianismo e teologia, marxismo e materialismo storico, possa essere interpretata solo attraverso categorie complesse, come quella del “risveglio”, o del “frammento”. In secondo luogo, attraverso il riferimento ai viaggi di Benjamin a Berlino, Parigi, Napoli e Mosca, si comprende come il dinamismo e il senso di disorientamento del panorama urbano dei grandi centri della modernità si possa sintetizzare nella categoria di “Immagini del pensiero”, in cui confluisce il rapporto tra scrittura, viaggiare e leggere.

L’esperienza della modernità è segnata dal carattere della molteplicità, dell’irriducibilità a un unico schema, dall’essere confluenza di segnali e messaggi che creano disorientamento. In questo senso, la dimensione dell’infanzia, che si incrocia con quella della metropoli moderna, per chi vi nasce e cresce, ne rappresenta la condizione tipica. Per Benjamin, nell’infanzia, si rifugia il “tempo dell’attesa e del desiderio la cui pura crescita cronologica non sa ancora rendere giustizia”.

D’Alessandro delinea, come detto, anche le vicende del rapporto di Benjamin con la Scuola di Francoforte e, in generale, con la ricerca accademica: egli mostra come, in Benjamin, il fare filosofia sia interpretabile come “incontro tra scienza e arte” e che l’impossibilità, per lui, di avere un legame continuativo con la Scuola di Francoforte fosse riconducibile ad alcuni attriti con Horkheimer(soprattutto) e Adorno(che pure apprezzava il suo lavoro), forse dovuti al fatto che, in fin dei conti, Benjamin era assai più prossimo alla visione di un Marcuse o di un Lowenthal per quanto riguarda la società, il ruolo dell’intellettuale, il cambiamento di coscienza individuale, la necessità di superamento del capitalismo.

Si può certamente rilevare che la fama e l’interesse riservato all’opera benjaminiana, nonché l’apprezzamento diffuso di essa, sono stati maggiori dopo la sua morte di quanto non lo fossero stati durante la sua vita: il libro di D’Alessandro aiuta, nel suo insieme, a capire le motivazioni di questa condizione, probabilmente dipesa non solo dalla personalità davvero inusuale di Benjamin, ma anche da una serie di incroci del destino, di cose che avrebbero potuto essere e non sono state, magari solo per un’inezia (dalla possibilità di fuga a New York, a quella di ottenere l’abilitazione in Germania, dalla possibilità di emigrare a Gerusalemme al legame con la sua amata drammaturga Asja Lacis). Davvero, dunque, da questo volume, Benjamin appare lo studioso del Novecento in cui, forse più di altri, le potenzialità inespresse sono alla pari di quelle, peraltro già notevoli, che sono riuscite a manifestarsi in una vita interrotta troppo presto.

Sognatore, pescatore di perle esistenziali, viaggiatore incantato, uomo che non ha mai dimenticato l’infanzia, collezionista nostalgico, studioso di orizzonti ampi e inconsueti e dal destino beffardo, Benjamin, ci ricorda l’eccedenza ineludibile che è racchiusa nella nostra comprensione della società e della condizione della modernità. Studiare questo autore, come ha fatto D’Alessandro, non è, dunque, una mera operazione culturale o biografica, ma appare un modo di ricordare come la conoscenza e la ricerca autentica fuggono i riduttivismi, in cui, tante volte, gli uomini si compiacciono di indugiare.

Titolo: Il genio precario. Per un ritratto di Walter Benjamin

Autore: Ruggero D’Alessandro

Editore: Manifestolibri

Pagine: 142

Prezzo: 16 €

Anno di pubblicazione: 2013



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