Aspettando Renzi: poesia
e prosa del fallimento Pd

“Chi ha ucciso il Pd” recita il titolo del volume che Stefano Allievi ha pubblicato da poco. Ed è un titolo che negli ultimi anni poteva andare bene quasi ogni mese, ché sui giornali ormai fin dalla nascita nel 2007 si celebra il funerale del partito creato con la fusione (a freddo?) di due tradizioni politiche: quella comunista e post e quella del cattolicesimo di sinistra.

No, non c’è un punto interrogativo e dunque l’omicidio c’è stato, la frittata è fatta e tutto sta a trovare il responsabile. E dai tempi di Veltroni segretario a oggi, hai voglia a colpevoli da trovare. Epperò un partito ci sarebbe ancora dopo la “non vittoria” di febbraio, dopo la debacle dell’elezione del presidente e dopo il rospo da ingoiare dell’alleanza con Berlusconi al governo del paese. E allora il sociologo di Padova conferma che non tutto è perduto: “Cosa si può fare per salvare quel che ne resta” prova a consolare il sottotitolo.

Il libro doveva chiamarsi diversamente – confessa l’autore nelle prime righe – perché il senso delle pagine era un altro. Il vaso del Pd era in bilico sul davanzale nel 2012 ma non era arrivata ancora la ventata violenta che nei primi mesi del 2013 l’ha fatto precipitare frantumando il sogno del nuovo inizio. La rotta del lavoro di Allievi è dunque cambiata in corso d’opera, non servono più medicine per curare il malato grave, più che altro il Pd ha bisogno oggi di qualcuno pratico col defibrillatore.

In buona sostanza il volume è la cronaca del viaggio sulle montagne russe del 2013 (arrotondato alle primarie vinte da Bersani sul finire dell’anno precedente) dell’autore che oltre a essere uno tra i più importanti studiosi di islam nel nostro paese è anche un militante piddino. Una raccolta di scritti d’occasione diversi per obiettivo, dimensioni e provenienza e cucita insieme con dieci intermezzi poetico-politici dello stesso Allievi.

«Riprendiamoci il Pd», scrive Allievi nel pieno della tempesta. E il punto sta proprio in quel “ci”. A chi si riferisca quel “noi” così ostentato. Intanto dice quello che non è mai nascosto per tutto il libro, ossia che è il libro di un attivista, di uno che osserva la giovane e già molto travagliata storia del Partito democratico essendone parte integrante. «Suicidio assistito di una leadership. Eutanasia di un partito». Parole che pesano e che prendono di petto subito gli autori materiali e morali: un’intera classe dirigente che ha fallito impedendo un cambiamento del paese.

E allora, dice Allievi, è tempo di rianimare il conflitto all’interno di un partito che l’ha costantemente rimosso confinandolo al massimo – ma questo lo aggiunge chi scrive – a una spirale di piccoli e grandi odii come nella campagna per le primarie di fine 2012. Il partito torni in mano agli iscritti e venga espropriato ai dirigenti. Ridarlo a un “noi” e toglierlo a un “loro”. La annosa e antica contrapposizione tra base e guida nelle formazioni politiche novecentesche sembra una frattura profonda e insanabile. «Se avete un minimo di coscienza e di decenza politica, lasciate che siano altri a provarci al vostro posto» e ancora «Non siate la zavorra del Pd perché il partito che dirigete è anche il nostro e lo vorremmo salvare».

Ma la questione non è personale, non sono solo i D’Alema o i Bersani il problema, piuttosto quel che non funziona più è l’idea di Italia che quella leadership ha avuto. La dicotomia destra-sinistra è bypassata dalla realtà e non ha più senso affidarsi a quell’alternativa per individuare la strada da battere per il futuro. La strada passa altrove ormai e il Pd non solo non dovrà avere come bussola ideale il polo tradizionale, ma già ora non è un partito di sinistra perché, nota Allievi citando statistiche del 2007, al suo interno conta molti militanti che non si autodefiniscono di sinistra (ovviamente neanche di destra).

Il Pd oggi è già un partito post-ideologico e questo per molta parte significa, anche alla luce dei risultati del congresso, che è un partito renziano. Allievi ha in simpatia Matteo Renzi, sebbene il sindaco di Firenze non sia il protagonista del libro. Si capisce dal lessico che usa, dall’entusiasmo per le primarie aperte (“apertissime”) e per il ruolo diverso del partito: non organismo che fornisce la linea ma strumento di cui si serve la società o parte di essa per esprimersi. Nel partito che Allievi desidera ci dev’essere la capacità di non essere più un fine, di essere un luogo aperto, trasparente, «una piattaforma open source, delle buone pratiche, delle riflessioni e della proposta politica». Deve essere un progetto non dato, teleguidato o eterodiretto.

Ecco, la ricetta è questa e ora con Renzi probabilissimo segretario molti dei desiderata di Allievi potranno essere messi a tema. Quel che resta da sperare, almeno per il Pd, è che al di là delle belle ed evocative parole qualcosa possa realmente cambiare.

Titolo: Chi ha ucciso il Pd

Autore: Stefano Allievi

Editore: Mimesis

Pagine: 206

Prezzo: 16 €

Anno di pubblicazione: 2013



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