La crisi, non solo economica e finanziaria, ma anche politica e sociale dell’Europa è al centro di questo nuovo saggio di Jürgen Habermas. Ad essere più precisi, al centro dell’attenzione è il fallimento di un modello liberista, che ha privato l’unione monetaria di una dirigenza e di un comando politico. È a partire da qui che il filosofo di Düsseldorf pone il traguardo di una democrazia transazionale, in cui la dimensione statale sia superata nella azione politica e in cui la comunità internazionale si trasformi in una comunità cosmopolitica. Le basi di un progetto politico e filosofico-politico, non utopistico, sono rintracciate nella stessa Unione Europea, nelle cui istituzioni è già presente una concezione democratica, la quale però richiede una sostanziale revisione del Trattato di Lisbona, per restituire la politica e la rappresentanza ai cittadini e ai popoli. (Sulla crisi dell’Europa politica si veda anche questo).
Habermas ricolloca in una posizione preminente il concetto di una dignità umana, che ricava direttamente dall’imperativo kantiano, collegandola al valore assoluto della persona, non condizionato da status e appartenenza, e a una morale dell’uguaglianza. Non dunque la dignitas romana, ma una concezione che ci costituisce come la scaturigine dei diritti fondamentali che costituiscono, agli occhi dell’autore, il trait d’union tra una morale di stampo kantiano e il diritto positivo.
Habermas parla di un valore euristico della violazione della dignità umana, echeggiando la terminologia di Hans Jonas, egli vede cioè nelle violazioni attuatesi nel secolo scorso una delle motivazioni dell’inserimento del concetto di dignità umana nelle costituzioni e nei trattati postbellici: era necessario provare condizioni di vita intollerabili perché un concetto già noto da almeno un secolo e mezzo trovasse il suo riconoscimento politico e legale.
Alla prima sezione del libro, dedicata al concetto di dignità umana, fa seguito un secondo saggio, che costituisce la parte del volume che è una vera e propria critica europeista.
La domanda fondamentale con cui Habermas inizia questa sezione è quella sul «perché» dovremmo essere attaccati all’idea di Europa, ovvero sul «perché» e sul «se», una volta esaurito il motivo originario di pacificazione e di controllo della belligeranza fra stati, abbia ancora senso rimanere legati a quell’idea. A ben guardare, però, la domanda più profonda è un’altra: ha ancora senso rimanere legati a un’Europa che, orientando il proprio interesse e la propria azione politica verso l’assoluta libertà economica, ha prodotto uno sbilanciamento sostanziale tra diritti fondamentali, tutti orientati verso la libertà dello spazio d’azione, e la rappresentanza democratica, conducendo di nuovo e per altra via al rischio di una sostanziale violazione, anche se in forme diverse, di quella fonte del diritto e della morale che era stata individuata nel concetto di dignità.
Ora che «il governo federale tedesco si è trasformato nell’acceleratore di una mancanza di solidarietà che va estendendosi in tutta Europa» (p. 35) la riconferma del Patto per l’Europa «non fa che ripetere il vecchio errore: accordi giuridicamente non vincolanti stabiliti nella cerchia dei capi di governo sono o privi di effetto o non democratici e dunque debbono essere sostituiti da una istituzionalizzazione democraticamente sicura delle decisioni comuni» (ibid.).
Il passo che si rende fondamentale è, dunque, la separazione tra i concetti di democrazia e di Stato: se la vita democratica del cittadino e delle istituzioni ha, finora, trovato il suo orizzonte naturale nello Stato nazionale, quello che è oggi imprescindibile è il superamento di questo modello, per coinvolgere il cittadino in una politica transazionale, la cui necessità deriva non solo da una scelta «etica», ma è imposta dall’aumento vertiginoso della popolazione mondiale, a cui si rivela insufficiente rispondere attraverso le associazioni internazionali e per cui è fondamentale il coinvolgimento immediato dei cittadini.
L’assunto habermasiano che «l’Unione Europea potrà stabilizzarsi a lungo termine soltanto se sotto la coazione degli imperativi economici farà i passi ormai indispensabili per coordinare le politiche essenziali, non nello stile burocratico-gabinettistico sinora consueto, ma percorrendo la via di una sufficiente ratificazione giuridica democratica» (p. 51) sposta l’attenzione dal piano della riflessione filosofica e filosofico-politica a quello della vita collettiva quotidiana, soprattutto oggi che, da più parti, si parla della improrogabile necessità di «fare quello che andava fatto prima dell’istituzione dell’Euro», introducendo un governo politico della finanza europea. L’assenza di monopolio politico da parte della comunità internazionale si scontra, allo stato dell’arte, con la constatazione che le istituzioni comunitarie hanno, già da tempo, instaurato un dialogo diretto con i cittadini, inaugurando, di fatto, un nuovo piano di azione politica.
Va, però, rilevato come una differenza non trascurabile intercorra tra le costituzioni degli Stati nazionali che hanno dato vita all’Europa e la Costituzione Europea: se le prime erano il frutto di grandi movimenti di popoli, dei movimenti rivoluzionari del XIX secolo e della resurrezione dalle ceneri del nazifascismo, la Costituzione Europea è il parto dell’incontro di élites politiche che, nonostante l’origine trattatistica e statale, mostrano di rivolgersi con attenzione sempre crescente ai cittadini quali attori privilegiati del teatro politico. Non è un caso che il testo della Costituzione Europea dedichi 53 articoli ai Diritti Fondamentali dell’Unione, in una parte (la seconda) in cui il concetto di dignità assume un ruolo di primo piano. Habermas ritiene, dunque, più coerente rintracciare i soggetti della Costituzione non negli Stati, ma nei cittadini e nei popoli, assumendo questo secondo termine ovviamente non nel senso populista, quello dei movimenti xenofobi.
Bisogna, comunque, rilevare come, da parte degli stessi cittadini dell’Unione, ci siano «buoni motivi per tener fermo sul piano europeo a un ruolo paritetico dei loro Stati», in quanto garanti di «un livello di giustizia che i cittadini vogliono veder conservato» (p. 70). Assistiamo, quindi, a una divisione della sovranità tra una pluralità di soggetti che «fornisce il metro delle esigenze di legittimazione di una comunità sovranazionale destatalizzata» (p. 71), in cui si rendono evidenti i deficit democratici del modello UE, e per cui è necessario procedere a un’europeizzazione del sistema politico e partitico e a una redistribuzione delle funzioni legislative che veda cittadini e popoli come i veri soggetti costituenti.
Alla giustificazione di una dimensione democratica transnazionale, chiamata in causa dall’esigenza di un mercato che si muove, ormai, su una scala troppo grande per i singoli Stati, deve allora fare seguito una comunità mondiale dotata di una costituzione politica. La politica internazionale non è più «dominata in primo luogo da conflitti interstatali, bensì da un tema nuovo: si tratta della questione se i potenziali di conflitto internazionale possano essere composti fino al punto che da una – sinora improbabile – cooperazione delle potenze internazionali possano svilupparsi norme e procedure di efficacia globale e capacità d’azione politica corrispondentemente ampie» (p. 84). Dall’analisi dell’Unione Europea, si passa, così, all’analisi del ruolo delle Nazioni Unite, che andrebbero riorganizzate in modo da assegnare loro il solo, ma fondamentale, compito di garantire i diritti inviolabili dell’uomo. L’Unione Europea potrebbe costituire il modello ispiratore per questo nuovo assetto mondiale, che, sceverato dai «narcisismi delle piccole differenze», avrebbe ad oggetto temi che riguardano esclusivamente un ethos comune, radicalmente purificati da temi di autodelimitazione e autoaffermazione (cfr. p. 91).
La riflessione di Jürgen Habermas rivela in queste pagine la sua più profonda natura: non si tratta qui dell’analisi di un sistema in crisi, ma di un vero progetto politico. Ci troviamo di fronte al manifesto di una rivoluzione culturale che ricollochi al centro della politica mondiale il cittadino e la sua dignità, nella consapevolezza che «una sterile discussione filosofica sulla giustizia acquisirebbe rilevanza politica soltanto se potesse non trascinarsi in sede accademica, ma esser condotta all’interno di un Parlamento mondiale, che essendo composto di Stati e di cittadini potrebbe tener conto del fattore tempo che ha rilevanza per la giustizia» (p. 98) così da avvicinare le prospettive di giustizia dei due soggetti costituenti, fino a farle coincidere in un allineamento su base globale delle condizioni di vita.
Titolo: Questa Europa è in crisi
Autore: Jürgen Habermas
Editore: Laterza
Pagine: 110
Prezzo: 14 €
Anno di pubblicazione: 2012