Da Reset-Dialogues on Civilizations
Inizia tutto da Ciro, uomo che cercando Maradona ha incontrato casualmente Allah. Voleva comprare un libro su El Diego, ma è invece stato folgorato dalla copertina del Corano. E una volta letto, resistere alla conversione è stato impossibile. Ma la storia di Ciro, ribattezzatosi Ciro Capone Muhammad, non è isolata. È, del resto, simile a quella di Francesco, che ha imparato l’arabo classico nel quartiere Sanità prima di diventare un altro Muhammad. E a quella di Yassin, al secolo Agostino Gentile, primo imam italiano della moschea di Piazza Mercato.
A popolare Napolislam non sono solo uomini, ma anche donne come Alessandra, che da quando indossa il velo si fa chiamare Amina. I convertiti – soprattutto per questioni di cuore, ma non solo – sono sempre di più. È per questo che Ernesto Pagano ha deciso di raccogliere alcune storie dei suoi concittadini per raccontare il microcosmo di una storia particolare che può assumere al contempo un carattere universale.
Laurea in lingua araba e studi islamici all’Università Orientale di Napoli, Pagano, al contempo arabista e giornalista di lungo corso anche sulle nostre pagine, si è messo in spalla la telecamera ed è entrato nelle case e nelle piazze dove avviene il processo di conversione. Nel 2015 ne nasce un film, premiato con la vittoria al Biografilm Festival e una tournée tra Tunisi e gli States,e punito dalla nuova ondata di islamofobia scatenata dagli attacchi che lo scorso anno hanno sconvolto Parigi. Dopo essersi aggiudicato la distribuzione infatti, all’indomani degli attentanti del 13 novembre UCI Cinemas ne ha bloccato le proiezioni nelle sale. Forse per paura di alimentare fanatismo. Oppure per timore di contribuire alla crescita di conversione. Ma Pagano non si è fermato. Dall’Egitto, Paese nel quale era già stato all’epoca del luminare Nasr Abu Zayd, decide di mettere nero su bianco la storia di Napolislam, ora pubblicata da Quattro D.
Si raccontano storie degli ultimi cinque anni, ma Pagano, nato e cresciuto a Napoli, scava nella storia araba della sua città. Si va indietro fino al XVI secolo, quando a Napoli gli schiavi mori erano quasi un terzo della popolazione. Una quantità simile a quella che oggi abbiamo di badanti provenienti dall’Est Europa. All’epoca, però, i mori non erano solo al servizio dei nobili, ma anche di panettieri, locandieri e artigiani. Ed è questo che spiega come il sangue dei napoletani si è mischiato a quello degli arabi. All’epoca le religioni non si potevano contagiare, ma questo non impedì ai mori di aprire le prime moschee. Sono le antenate di quella che oggi si trova in piazza Mercato, luogo simbolo della sovrapposizione identitaria degli spazi pubblici. In questo luogo si svolge la Festa della Madonna del Carmine, si giocano partite di calcio e si prega per il Ramadan.
È questa sovrapposizione che muta anche l’atteggiamento della popolazione locale, prima ostile nei confronti dei musulmani – che a volte si trovano sotto una pioggia di sassi lanciati dal bacino che affacciano sulla piazza – e poi amichevole, quando non partigiana. A evolvere sono anche usi e costumi che da sempre marcano la tradizione napoletana. Una fra tutte: le zeppole. Da tempo infatti nella pasticceria Lauri di Piazza Garibaldi esiste la versione halal, ovvero priva di strutto di maiale. Il mercato della guantiera di bignè da portare al pranzo domenicale è in continuo calo, quello dei clienti musulmani che cercano dolci dopo la preghiera del venerdì in crescita. Un’evoluzione che rispecchia quanto avviene anche nelle chiese. Cosi anacronisticamente grandi da sembrare sempre più vuote, soprattutto in confronto alle moschee spesso arrabattate in minuscoli garage affollatissimi. Un paradosso che spiega anche il perché della crescita delle conversioni, in un’epoca in cui l’offerta spirituale ed ideologica dell’Islam sembra irresistibile. Secondo Pagano, oggi infatti è ancora valido quanto diceva lo storico Gerhard Endress: «In una società in via di disgregazione, il profeta Muhammed offrì ai credenti la diagnosi e la cura».
Questo Islam affascinante vicino a un cristianesimo sbiadito affiancato da una società che fatica ad offrire una prospettiva ideologica alla nuove generazioni e ai loro problemi riguarda non solo la città di San Gennaro, ma l’Europa intera. È per questo che l’autore termina il suo libro con una riflessione sul modello Napoli. La via napoletana all’integrazione è una storia di successo? A pensarla così sono quanti sono sollevati dal vedere che i protagonisti di questa storia non hanno derive terroristiche. Ma la storia è più complessa e nelle storie dei protagonisti del libro c’è anche l’esclusione, l’emarginazione e la fatica ad integrarsi pienamente.
A Napolislam si prega c’a faccia ‘nderra, si fa l’amore, si mangia la pizza e si gioca a calcetto. Ma i convertiti che prospettive hanno? Oltre a Ciro Muhammad, che vende magliette false al mercato della Duchensa e lavora in una pizzeria, e a Salvatore Muhammad, ex militante dei disoccupati che vede nell’instaurazione della sharia un mezzo di riscatto sociale, chi altro popola Napolislam? Intellettuali, professionisti o laureati per ora non ce ne sono.
Ma questa è forse un’altra storia… o il capitolo di quella che ci ha raccontato Pagano.
Napolislam sarà presentato dall’autore e da Azzurra Meringolo il 24 giugno a Roma presso la libreria Griot alle ore 19.30
Nella foto di copertina: la locandina del Docufilm da cui è tratto il libro
Vai a www.resetdoc.org
Titolo: Napolislam
Autore: Ernesto Pagano
Editore: Quattro D
Pagine: 224
Prezzo: 18 €
Anno di pubblicazione: 2016