L’agile volume “Il grande abbaglio”, dovuto alla penna di Giuseppe Scotti, racconta e mette a confronto due “Festival mondiali della gioventù democratica”, come recita il sottotitolo del libro, i quali si sono tenuti, il primo, nel 1957 a Mosca nell’allora Unione Sovietica di Nikita Khrusciov, e il secondo sessant’anni dopo nell’attuale Russia di Vladimir Putin.
L’autore ha partecipato ad ambedue gli eventi. Al primo prese parte come giovane comunista non ancora diciottenne e detto famigliarmente Pepe con appellativo e vezzeggiativo derivante dalle sue origini e attribuitogli fin da bambino. Era infatti nato da mamma spagnola antifranchista durante la “guerra civile”, e da padre italiano – Francesco Scotti, combattente e comandante delle Brigate internazionali, e poi, in Italia, dirigente della guerra di Liberazione.
Al secondo Festival fu invitato sia come un veterano del precedente, sia come un più che affermato professionista. Giuseppe Scotti è, per l’appunto, un noto medico specialista in neurologia e radiologia, il quale è stato inoltre professore ordinario nella facoltà di medicina dell’Università di Milano e, successivamente, direttore del reparto di neuroradiologia e preside della facoltà di medicina al San Raffaele.
In questa specie di duplice resoconto sui due Festival, entrambi in una cornice giocosa con innumerevoli iniziative di carattere teatrale, culturale, sportivo. l’autore non si limita a descrivere gli eventi in sé, ma coglie l’occasione per giudizi e opinioni su più vasti problemi che li circondano.
Gli incontri degli italiani – e qui ci riferiamo al Festival del ’57 – sono numerosi e a largo raggio, vale a dire hanno luogo certamente, e prima di tutto, con giovani, ragazze, cittadini della città di Mosca. Ma si svolgono anche con i partecipanti dei numerosi altri Paesi in una atmosfera e in uno spirito di amicizia a volte sincera e a volte solo ostentata. Né mancano, in quegli incontri e in quelle discussioni, le considerazioni critiche – che Scotti riprende in maniera aperta, o lascia intendere – alla realtà circostante, vale a dire alla cosiddetta “realtà sovietica”.
Insomma, il quadro che esce dalle descrizioni e dalle relative considerazioni dell’autore sulla suddetta “realtà” è interessante e sostanzialmente veritiero. Forse, però, se è permessa una osservazione critica al testo, essa riguarda alcune generalizzazioni o deduzioni che l’autore trae dal suo racconto e che, in verità sono già contenute nel titolo del libro: “il grande abbaglio”.
Intendiamoci, ragionando nel momento attuale o, se si vuole dirla in modo più netto e drastico, e si ragiona col senno di poi, si può certamente concludere che la realtà allora osservata, e persino le discussioni, lo scambio di opinioni e le critiche alla circostante “realtà sovietica” presenti tra quei giovani, avrebbero potuto e, soprattutto dovuto, far giungere alla conclusione di trovarsi di fronte a uno stato di cose in cui le contraddizioni erano destinate a sfociare in ciò che sarebbe poi effettivamente accaduto, vale a dire in una crisi dapprima latente e poi sempre più aperta ed evidente, fino al crollo finale. Neppure la breve parentesi gorbacioviana, sebbene abbia suscitato in fronti diversi (per esempio in Thatcher e in forze socialdemocratiche) giudizi e considerazioni che si sarebbero presto dileguate, ha potuto ostacolare la corsa verso il destino annunciato. Avrebbero “potuto”, dicevamo…
Ma in quel 1957 del dopo-XX Congresso del PCUS, con la denuncia khruscioviana e con il clima che si sarebbe creato con il lancio del primo Sputnik, con diverse aperture politiche e altro ancora: l’eliminazione dalla direzione dello Stato di personaggi più conservatori e retrivi; le aperture al “terzo mondo” dopo “Bandung” (la conferenza in Indonesia che affermò l’esistenza di un movimento dei paesi non allineati); alcune contraddittorie iniziative culturali, i nuovi livelli di vita che, pur rimanevano inferiori a quelli dei Paesi capitalistici più avanzati, ecc. potevano far prevedere un “altro” sviluppo degli eventi: e così fu, almeno per un certo periodo, e non solo agli occhi di quei giovani festivalieri più o meno sprovveduti. Lo furono anche per critici avveduti, favorevoli o contrari a quel sistema.
È vero, anzi sacrosantamente vero: le cose andarono poi, soprattutto in seguito alle ultime scelte e operazioni politiche di Khrusciov e alla sua defenestrazione – 1964 – in modo tale da far prevalere posizioni retrive e, alla fin fine la crisi e, quindi, da determinare il crollo.
Ora, è evidente che col senno di poi si può benissimo parlare di “grande abbaglio”. Del resto, a un certo punto – parlo soprattutto dei primi anni settanta – fu facile e fondato, per chi osservava quella “realtà”, parlare e scrivere di stagnazione, declino, possibile caduta e persino di crollo in atto. Anzi, tutto ciò può persino giustificare il titolo dell’interessante cronaca di Giuseppe Scotti. Purché, però, lo si depuri da quella sorta di ineluttabilità che esso contiene. Del resto, tutte le storie e tutti gli eventi (tra essi le interruzioni – rivoluzionarie o meno – del loro corso apparente o preconizzato) sono reversibili o tali da muoversi su altri binari. Tuttavia, è altresì vero che la storia non è mai solo ascendente. Vi sono in essa cadute e crolli. È successo nel caso in questione, ma è accaduto in tanti altri momenti della storia, e, in specie per rivoluzioni che sembravano aver mutato profondamente il corso della storia lasciandovi non soltanto segni indelebili, ma dando l’impressione (e non solo l’impressione) che, dopo, le sorti sarebbero state solo “magnifiche e progressive”.
E allora se si vuole (e si può) parlare di “abbaglio” bisognerebbe specificare e chiarire che esso fu tale per chi pensa o pensava la storia sempre e continuamente ascendente e per chi – che è lo stesso– riteneva o ritenesse che dopo un atto di rottura col passato l’avvenire è solo luminoso. Ma chi è fornito di capacità critica, piccola o grande, sa bene che non è così. Quindi deve valutare serenamente se la rottura rispetto a prima vi è stata o no e mettere nel conto persino i passi indietro.
Ritornando perciò a quel Festival e a quei giovani che vi parteciparono giungendo dall’Italia – come Pepe Scotti – e da tanti altri Paesi, va ricordato che vi fu sì, tra loro, chi si lasciò abbagliare, ma anche chi, guardando a quella realtà, si pose tanti interrogativi e non mosse critiche magari ingenue pur esprimendo una speranza nel loro esito “positivo”.
Ecco perché il vivace e interessante resoconto di cui stiamo parlando non si riassume tanto in un “negativo” abbaglio, ma ci offre la cronaca, ragiona di eventi e parla anche di chi – pur accanto a qualche entusiasmo giovanile – si pose interrogativi e diede risposte quanto meno ambivalenti.
Gianni Cervetti (Milano, 12 settembre 1933) è stato un esponente di rilievo del Partito comunista italiano, della cui segreteria ha fatto parte negli anni di Enrico Belinguer, e parlamentare europeo. È presidente della Fondazione Corrente e della Fondazione Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi. Autore di L’oro di Mosca. La verità sui finanziamenti sovietici al pci raccontata dal diretto protagonista, (1999) e di Compagno del secolo scorso. Una storia politica (2016)
Titolo: Il grande abbaglio. I festival mondiali della Gioventù Democratica. Mosca 1957-2017
Autore: Giuseppe Scotti
Editore: Sedizioni
Pagine: 120
Prezzo: 15 euro €
Anno di pubblicazione: 2017