Come (e perché) è morto il Tg1

«California. Animali, il concorso del cane più brutto dell’anno». «Francia: Cannes, un gabbiano di notte ruba la piccola telecamera lasciata incustodita da un turista e registra il suo volo in soggettiva».
«Animali: un’intera famiglia di cinghiali a spasso per Genova, disagi, non tutti sono d’accordo di abbatterli». «Alassio, polemiche per una statua raffigurante Totò». Courmayeur, Aosta: ai piedi del ghiacciaio del Monte Bianco celebrato un matrimonio tra un ragazzo milanese e la fidanzata statunitense appassionati di alpinismo». «Australia: un polpo ha predetto la riconferma del premier alle prossime elezioni». «Le vacanze al mare, chi si vorrebbe avere come vicini d’ombrellone». «Il caso di due italiani che sbarcano a Sidney della Nuova Scozia e non in Australia». «Esteri/ Francia/ Saint Tropez: le spiagge dei vip invase dalle massaggiatrici cinesi».

Presi a caso, sono questi solo alcuni dei titoli di un lunghissimo elenco (e florilegio) tratti dal Tg1 firmato e diretto da Augusto Minzolini nel corso dell’estate 2010. Oggi senatore Pdl, Minzolini appare sempre desideroso di tornare alla testa d’un telegiornale, nonostante gli insuccessi ampiamente dimostrati e dimostrabili, foss’anche il Tg2. I titoli riportati, forse nemmeno i più rappresentativi, sono tuttavia di sicuro esemplificativi delle cosiddette soft news, le notizie “d’alleggerimento”, con le quali il “direttorissimo” caro a Silvio Berlusconi ha infarcito la “scaletta” serale dei servizi e dei notiziari del primo telegiornale del servizio pubblico, alle ore 20, con l’unico scopo di «tenere le persone all’oscuro dei fatti», nei due anni in cui l’ha guidato, dal 2009 al 2011.

Il giudizio tra virgolette è tratto da La fine del Tg1 (per scaricare il pdf) di Francesco Siliato, analista di ascolti e di prodotti televisivi, titolare dello Studio Frasi di Milano, e-book che il quotidiano Europa ha reso disponibile gratuitamente. Il valore e il pregio di questo libro elettronico, che integra e completa l’analisi svolta per Reset dal professor Paolo Mancini nel maggio 2010, è dato dal fatto che si tratta (anche) di uno studio di comparazione dei dati d’ascolto e del modo di impaginare un Tg e concepire la tv da parte dei direttori che si sono succeduti negli anni, addirittura da Vittorio Veltroni, guida del primo Telegiornale Rai (3 gennaio 1954) fino, appunto, all’ultimo dell’era berlusconiana nel 2011. Un’analisi a tratti impietosa, e non solamente per Minzolini, anche se il direttore che può aver fatto peggio sembra comunque aver fatto sempre meglio.

Tuttavia la stagione del “direttorissimo” caro al Cavaliere si è confermata come un periodo caratterizzato da «una fuga di pubblici e un calo di credibilità, davanti ad una perfida impaginazione, ad alcuni editoriali stravaganti nel contesto istituzionale del Tg1, ad uno sproporzionato numero di ore dedicato alla parola del referente politico, tanto sponsorizzato da motivare l’intervento dell’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni» con una esplicita nota emessa il 17 marzo 2010.

Augusto Minzolini è infatti «il primo direttore della storia del Tg1 a produrre per così tanto tempo nell’edizione di prima serata una quota d’ascolto inferiore al 30%» soglia che in 915 giorni complessivi di direzione viene oltrepassata solamente 38 volte, tanto che – annota Siliato – «la linea degli ascolti del Tg1 della sera è imbarazzante». Nessuno dei dieci direttori che si sono succeduti dal 1994 alla guida del primo Tg Rai (da Carlo Rossella a Gianni Riotta ad Andrea Giubilo che ha tenuto l’interim per un breve periodo di transizione) ha fatto peggio di lui. Per esempio sotto la sua direzione l’età media di chi segue il Tg1 la sera, che è di 64 anni, è cresciuta di due anni. «Soltanto il Tg4 ha spettatori con un’età media superiore» chiosa Siliato.

Non basta: «Tutti i target hanno abbandonato il Tg di Minzolini: donne e uomini, giovani e meno giovani, poveri e ricchi, laureati e chi ha la licenza elementare». In poco più di un anno, tra l’aprile 2009 e l’aprile 2010, il Tg di Minzolini «ha perso l’11,3% dei propri ascolti, ovvero ha diminuito dell’11,3% il valore del Tg1 nel mercato pubblicitario» si legge a pag. 24 della ricerca. Tanto che, a conti fatti, «il costo pubblico di questa direzione è pari a 3,6 milioni di euro al mese», valore per altro sottostimato in quanto, rileva Francesco Siliato, «si dovrebbero inserire nella valutazione anche lo sponsor e il break, il cui ascolto è vincolato dal mancato traino del telegiornale». Un costo che è addebitabile, oltre che al direttore in persona, anche alle scelte della politica e, in primis, al primo sponsor del “direttorisssimo”, Silvio Berlusconi.

Nel centrodestra, tuttavia, non v’è chi non ammetta «la forte propaganda elargita dal Tg1» versione Minzolini, ma la motiva come contraltare o bilanciamento della «supremazia di conduttori di sinistra nei programmi di approfondimento» anche se tra i due generi (news e talk) non sia possibile fare confronti e, ad ogni modo osserva Siliato, «la disponibilità di offerta dei telegiornali è di gran lunga maggiore di quella dei programmi informativi».
Sia come sia, la verità è che tra la direzione di Gianni Riotta (2008-2009) e quella 2010-2011 di Augusto Minzolini c’è un gap del 14,5% d’ascolti, che sottolinea come «tutti hanno continuato la loro fuga dal Tg1». Tant’è che, come osserva il ricercatore, «andrebbero affrontate anche le responsabilità di queste perdite economiche da parte della dirigenza di una società pubblica, che, a spese di tutti, ha così a lungo perseverato nell’errore».

L’unico pubblico che cresce nel “biennio maledetto” è quello dei «poveri e poco istruiti» mentre ad abbandonare più di tutti il Tg1 «sono i laureati, le persone che abbiano compiuto gli studi universitari anche se non portati a termine e le persone con un buon reddito ed un titolo di studio universitario». «Non sono le tecnologie ad allontanare dal Tg1 (come avviene per esempio per i giornali con il web, ndr), è più facilmente la persistente propaganda e la bassa idea che il direttore ha del proprio pubblico, cui ha immaginato e immagina di poter propinare qualsiasi cosa». E ha poco da invocare Minzolini “cause tecniche”, come il flop dei programmi-traino che precedono e seguono il suo Tg per giustificare la deludente prestazione: «Il traino è solo una scusa» analizza Siliato, «è il suo telegiornale che va male, che perde ascolti perché perde credibilità. Le scuse tecniche lasciano il tempo che trovano, e sono solo servite a innervosire il direttore della rete che lo ha accusato di dirigere l’unico tg al mondo che produce meno ascolti del suo traino».
Insomma, quando il 13 dicembre 2011 Augusto Minzolini viene rimosso dalla prima poltrona televisiva il “danno economico” è bell’e compiuto, ed «è notevole».

Può essere addossato a lui ma anche al suo sponsor politico, Silvio Berlusconi. Ma in questo caso, considerato il conflitto di interessi permanente dell’allora premier, poi capo dell’opposizione e oggi “azionista di riferimento” nel governo delle larghe intese guidato da Enrico Letta, può essere stata pure una strategia: si è promossa l’incompetenza per raggiungere l’unico risultato perseguibile, abbattere il Tg1 e favorire il Tg5 di Mimum, che infatti nel periodo compreso è andato meglio e ha fatto, al confronto, pure la minor peggiore figura… quel Mimun che, per altro, tra il 2002 e il 2006 alla guida del Tg1 aveva fatto comunque meglio di Minzolini (quota media d’ascolto 30,9%).

Tuttavia, al di là dell’analisi specifica, quella di Siliato è anche l’occasione per tirare un po’ le somme dell’andazzo televisivo italiano, specie nella tv pubblica targata Rai, rimpiangendo persino quella che abbiamo sempre considerato la peggiore Rai, appendice del potere democristiano, impersonificata dal direttore generale degli anni Cinquanta, Ettore Bernabei, e dal suo sponsor politico dell’epoca, Amintore Fanfani, del quale Siliato riporta alcuni passi della lettera che l’allora Presidente del Coniglio scrisse al Dg il giorno della nomina: «Ora le auguro di ricordare ogni giorno quale alta cattedra ella dirige e quanto numerosi e vari siano gli spiriti che da essa attendono informazioni vere, orientamenti co- struttivi, svaghi sereni per divenire uomini e cittadini migliori».

«Per quanto ci si abbandoni al cinismo per considerare queste parole – annota l’analista dei media – esse rimangono esemplari» in quanto «la missione consisteva nel formare cittadini migliori attraverso informazioni vere, svaghi sereni e orientamenti costruttivi. Non si trattò di formulare asserzioni ipocrite, si trattò di progettare programmi televisivi adatti alla bisogna. Dopodiché “informazioni vere” non vuol dire tutte le notizie, e l’implicito sono i valori cattolici, ma riletti alla luce dell’intelligenza di un uomo probo».

Un confronto con l’oggi, è la mesta conclusione, e con le conversazioni telefoniche intercorse tra l’ex Presidente del Consiglio Berlusconi e l’ex direttore generale Mauro Masi «sarebbe impietoso, né disponiamo delle conversazioni private che saranno probabilmente intercorse tra Amintore Fanfani ed Ettore Bernabei, ma – ne siamo certi – tono ed argomenti saranno stati diversi». Come dire: anche quando si stava peggio si stava meglio. E, comunque, al peggio non c’è fine.

Titolo: La fine del Tg1

Autore: Francesco Siliato

Editore: Europa

Pagine: 41

Prezzo: Gratuito €

Anno di pubblicazione: 2013



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