La biopolitica, le donne e la sinistra nella fine di Berlusconi

Alla fine di Berlusconi, ci sono ancora le donne. Chissà che tra i simboli dell’8 marzo, qualcuno non decida di annoverare anche lo sconto di 45 giorni concesso dal giudice del Tribunale di Sorveglianza di Milano e che fa cadere il termine della pena residua per il caso Mediaset proprio nel giorno della festa della donna. Di certo si tratta di una coincidenza ironica che, simbolo per simbolo, permette se non altro all’ex premier di prendersi una simbolica vendetta sul genere che maggiormente ha influito sulla fine politica del Berlusconi, inteso come uomo e come -ismo.

A strappare il costume da superuomo e a denunciare il re nella sua nudità sono state infatti loro, le donne. E, per di più, quelle che probabilmente lo stesso ex premier non si sarebbe mai aspettato: la sua Veronica Lario, la sua Patrizia D’Addario, in un certo senso anche la sua Ruby, tra le altre frequentatrici di Villa San Martino e Palazzo Grazioli. A offrire questa chiave di lettura della parabola berlusconiana è Ida Dominijanni, giornalista de il manifesto e saggista femminista, autrice de Il trucco. Sessualità e biopolitica nella fine di Berlusconi (Ediesse, 2014). Qui teoria e cronaca sociopolitica si affiancano per valutare il ruolo delle donne – e, pur senza eroicizzarle, per rivalutare quello delle donne dell’alveo berlusconiano – nella caduta (sociopolitica, appunto) di Berlusconi. Ma soprattutto per rendere quella che emerge dal testo come una dovuta centralità alla sessualità che, bistrattata e celata (o meglio, “spettralizzata”, per dirla con Dominijanni) dalla politica ufficiale, costituisce invece quasi l’alpha e l’omega dell’epoca berlusconiana.

Per spettralizzazione della sessualità intendo qui la mossa di autoimmunizzazione della sfera sessuale, corporea e sensoriale-affettiva che il sistema politico ha azionato, riducendo il sexgate – soprattutto nel centrodestra – a gossip o a fatto privato privo di rilevanza politica, o derubricandolo – soprattutto nel centrosinistra – da problema politico a problema morale e giudiziario.

È evidente sin dalle prime pagine del libro che l’autrice non risparmierà le critiche alla sinistra moderata. In modo particolare, la Dominijanni ne sottolineerà quella miopia che non ha permesso al Partito Democratico di farsi protagonista nello smontare il “dispositivo di sessualità” berlusconiano, “basato su un sistema organico di scambio tra sesso, potere e denaro e decisivo per il funzionamento di una specifica e inedita forma di governamentalità biopolitica”. Forse verrà da chiedersi se sia poi così grave, l’errore. La risposta – chiaramente positiva – sta tra le righe dello stesso libro della Dominijanni, dove lo svelamento del trucco (quello cosmetico, più che quello magico) berlusconiano – di cui al titolo – si raggiunge attraverso il ripensamento di tre approcci che risultano quasi tre falsi miti.

il trucco_copertinaA partire dall’idea – sbagliata, appunto – che il berlusconismo sia un’anomalia cento per cento made in Italy e passando per la convinzione – anche questa limitata – di un consenso ottenuto principalmente attraverso la manipolazione mediatica, Dominijanni invita a guardare meglio, inforcando le lenti della biopolitica, per scoprire che l’ex premier è semmai un caso paradigmatico – più che eccezionale – dell’egemonia neoliberale. L’individualismo, il successo, l’intraprendenza, una certa visione della libertà, oltre a essere i nuovi bisogni e obblighi con cui si presenta il neoliberismo sono anche gli elementi di quella maschera di potenza, sia umana (quindi, secondo l’interpretazione biopolitica, sessuale) e sia politica, che Berlusconi indossa sin dalla sua discesa in campo – e che non poco l’aiuterà nell’ottenimento di un consenso che ormai non viene più per manipolazione ma per identificazione. L’elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti ce lo conferma, pur offrendoci la speranza di un modello di uomo – oltre che di politico – diverso con cui empatizzare: l’uomo emancipato al governo, in maniche di camicia, sempre al fianco delle donne e affiancato dalle donne (la Domijanni ricorda il ruolo, nella formazione del giovane Barack, della mamma e della nonna); e con Michelle, a suo modo superdonna, a ricordare quale considerazione del genere femminile sia propria di Obama – uomo e politico. Una considerazione diversa anche da quella emersa qualche anno prima da Bill Clinton, il cui sexgate è pure citato nel libro proprio per dimostrare, non senza un riferimento anche al caso Strauss-Kahn, che appunto Berlusconi non è il solo a restare vittima della parola femminile. A collegare infatti tutti e tre le storie è il ruolo in queste ricoperto dalle donne e dal loro venire allo scoperto. A far tremare i regimi maschili sono delle impostore che tradiscono “il loro uomo” per protesta all’uso del corpo.

Sono le donne di Berlusconi a denunciare l’inganno, a svelare il trucco: nascosto dietro la maschera della potenza (politica e sessuale) c’è il fantasma dell’impotenza, di quella paura (politica e sessuale) più che mai impronunciabile in epoca neoliberista. I bunga bunga, i travestimenti, le barzellette sconce sono parte della scenografia, della messa in scena che Berlusconi interiorizza e riesce a rendere all’esterno, rafforzando così il proprio successo, almeno finché il trucco rimane segreto.

Le allusioni insistite al sesso, supporto di un’ «automitologia del potere inseparabile da un’automitologia sessuale» diventano un boomerang quando non c’è più niente cui alludere perché tutto è minuziosamente raccontato da una testimone diretta dei riti di palazzo Grazioli, e l’uso della comicità come «arma di distrazione dalla politica» si ritorce contro il premier una volta che quei riti diventano di dominio pubblico attraverso il racconto «parodico-sovversivo» di chi li ha subiti.

Peccato che le parole delle donne contino poco, in questo frangente, perfino per il centrosinistra che anche quando si schiera al fianco di Se Non Ora Quando, ‘endorsandone’ la manifestazione del 13 febbraio, lo fa senza riuscire a trattenere una metaforica carezza paternalista sul capo di organizzatrici e partecipanti. E peccato pure che rifiutando ancora le lenti della biopolitica, il centrosinistra finisca per mancare in pieno l’essenza vera del berlusconismo, la sua natura e quindi, di conseguenza, la cura.

“Tra moglie e marito non mettere il dito”, commentarono dalle fila del PD dove si cercavano cavilli di incostituzionalità pur di non affrontare il Berlusconigate dal punto di vista politico e men che meno da quello umano – ché guai a sconfinare nel terreno della libertà (sia pure quella sbandierata dal neoliberismo); e dove, alla faccia dell’adagio femminista che “il personale è politico”, si faceva bene attenzione a separare il Berlusconi pubblico da quello privato. Alla fine, ognuno ha i suoi fantasmi e parecchi si rifiutano di chiamarli con il vero nome. Così il rischio che il ventennio berlusconiano si porta dietro, fa intendere Dominijanni, è che non basterà la fine politica di Berlusconi per uscire davvero dal suo –ismo.

Visto ancora dalla prospettiva biopolitica, il governo di Monti risulta infatti come il tentativo di recuperare gli eccessi del passato più prossimo attraverso un ribaltamento di quelli che sono stati alcuni tratti distintivi dell’epoca berlusconiana: dai festini all’austerity, dall’euforia alla depressione, dai lustrini al grigiore. Ma se dal trucco cosmetico di Berlusconi (e dalla sua “virilità femminilizzata” ostentata per esorcizzare il fantasma dell’impotenza di cui sopra) si passa al tweed triste ma sobrio di Mario Monti (e da qui, volendo, ai tweet giovani e scattanti di Matteo Renzi) ciò che non cambia è l’uso di una maschera (e quindi, di nuovo, di un trucco) che permetta agli spettatori-elettori di identificarsi. Di nuovo, quindi – sembra dirci la Dominijanni – quale anomalia?

Titolo: Il trucco. Sessualità e biopolitica nella fine di Berlusconi

Autore: Ida Dominijanni

Editore: Ediesse

Pagine: 251

Prezzo: 14 €

Anno di pubblicazione: 2014



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