È il febbraio 2013 quando, da una Tunisia reduce dalla Rivoluzione e pronta ad affacciarsi alla Primavera, parte la foto di un seno femminile nudo, con una scritta in arabo disegnata sulla pelle: “Fuck your moral!”. L’immagine di Amina Sboui, liceale tunisina appena diciottenne, si diffonde veloce e incontrollata sui social network, destinata incidere pesantemente sulla sua vita e su quella del suo Paese. Capelli neri raccolti, occhi truccati e rossetto rosso fuoco, Amina sceglie il suo corpo per mandare al diavolo la morale – quella politica, religiosa, quella della società e pure quella della propria famiglia. Oggi Amina, figlia della borghesia musulmana tunisina, si definisce agnostica e crede solo nella libertà individuale. “Perché per alcuni la libertà individuale sarà non bere alcol… ma per altri sarà evitare di mangiare il pesce o il maiale, o portare un simbolo, o una croce, o obbedire ad altri principi culturali o religiosi”. Lo racconta lei stessa attraverso le pagine dell’autobiografia Il mio corpo mi appartiene pubblicata in italiano da Giunti editore. Un titolo che rimanda alla seconda foto a seno nudo che Amina mette on line e che la trasforma in un caso internazionale. Oggi, dopo le minacce dei salafiti, i mesi di reclusione in casa e quelli in carcere, un’Amina ventenne guarda alla sua Tunisia da Parigi. E proprio della Tunisia ci ha parlato durante un’intervista raccolta a Roma, in occasione della presentazione del suo libro alla Casa Internazionale delle Donne.
Nell’agosto 2013, una decina di giorni dopo essere uscita dal carcere ha postato su Facebook una terza foto a seno nudo, questa volta con la scritta in inglese “We don’t need your dimocracy”. All’epoca governavano gli islamisti di Ennahda. Di cosa ha bisogno la Tunisia oggi, secondo lei?
In quella foto “dimocracy”, era scritto volutamente con la i al posto della e, per sottolineare come quella fosse una democrazia fasulla. Ancora oggi penso che ciò di cui ha bisogno la Tunisia sia una vera democrazia, perché finora non ne ha avuta una. Prima della Rivoluzione c’era la libertà individuale, ma non quella collettiva: potevi bere, fumare, vivere con il tuo ragazzo, mangiare durante il Ramadan, potevi fare tutto quello che volevi, ma non era permesso organizzare manifestazioni di piazza, non si potevano fare i raduni, non potevi criticare il governo… Appunto, non c’era la libertà collettiva. Dopo la rivoluzione, invece, è stato tutto il contrario: potevi fare anche cinque manifestazioni al giorno, ma a livello di libertà individuali, non potevi più mangiare durante il Ramadan, se volevi bere dovevi farlo di nascosto, e via dicendo. Non è questa la democrazia, secondo me. In effetti la mancanza di questa libertà individuale ha spinto i giovani a fare delle manifestazioni, ma noi adesso non vogliamo più alternare quella individuale a quella collettiva. Vogliamo la libertà e basta. Non vogliamo più la democrazia dei militari o quella degli islamisti. Vogliamo la democrazia e basta.
Adesso però la Tunisia si presenta come un esempio nell’alveo dei Paesi che hanno vissuto le Primavere. Alle ultime elezioni ha vinto il partito su posizioni più laiche che adesso sta lavorando a un compromesso già definito storico con il partito islamista. Che cosa ne pensa di questa forma di dialogo?
È un incubo, una vergogna, sono davvero delusa. Hanno incoraggiato la gente a votare il partito laico, dicendo che gli islamisti dovevano finire in carcere, che sarebbero stati all’opposizione. E le persone – me compresa e riconosco che è stato un errore – lo hanno votato perché erano effettivamente contro gli islamisti. Spero che alla fine non ci sia alcun compromesso con gli islamisti. Quando noi voteremmo sì, loro voterebbero no; gli darebbero dei piccoli ministeri e ci aspetterebbero altri cinque anni di manifestazioni. E alle prossime elezioni nel 2019 non vinceranno di nuovo, perché tutti quelli che hanno votato per loro diranno: “Si sono alleati con gli islamisti, voteremo un altro partito”.
Quindi se gli islamisti e i loro oppositori non vanno bene quale partito allora le piacerebbe vedere al governo in Tunisia?
Il Fronte Popolare. Certo, anche lì ce ne sono alcuni che non mi piacciono, ma credo che in generale il Fronte Popolare (alleanza di partiti e gruppi della sinistra tunisina, nata dopo la rivoluzione e adesso contraria al compromesso, ndr.) sia un buon partito.
Nel suo libro scrive che secondo lei l’Islam politico moderato non esiste…
La religione non deve essere la politica. È giusto tenere separate le due cose. La laicità protegge entrambe.
Dopo le sue foto a seno nudo su Facebook, i salafiti la consideravano un virus da debellare. Adesso vive a Parigi, lontana dalla Tunisia. Hanno vinto loro?
Gli islamisti nei miei confronti ne hanno dette di tutti i colori: che dovevo essere frustata, che dovevo essere lapidata per essere perdonata! Adesso, sì, vivo lontana, ma non credo che questo significhi che hanno vinto loro, perché in Tunisia qualcosa è cambiato. Ci sono persone che hanno lottato e che hanno pagato per questa lotta. Per molti di noi, a un certo momento, la prigione è diventata parte della nostra vita. Penso al mio gruppo di amici: ci siamo passati praticamente tutti ed è diventata una cosa talmente naturale, che gli islamisti non possono più utilizzarla per farci paura. E per questo dico che non hanno vinto perché non si può vincere contro qualcuno che non ha paura.
Pensa di tornare in Tunisia?
Prima pensavo che sì, dopo due o tre anni in Europa per studiare – perché sento proprio il bisogno di formarmi – avrei avuto voglia di tornare. Adesso però vedo che la Tunisia se la cava abbastanza bene e ho voglia piuttosto di andare in quei paesi che hanno davvero bisogno, dove le cose davvero non vanno. Mi pare che tutto sommato, ora la Tunisia stia bene. Ripeto, non mi rende felice l’idea del compromesso, ma le elezioni ci hanno detto che alla maggior parte dei tunisini non piacciono gli islamisti. E questa mi pare già una buona cosa.
Titolo: Il mio corpo mi appartiene
Autore: Amina
Editore: Giunti
Pagine: 154
Prezzo: 12 €
Anno di pubblicazione: 2014