al-Jabri and the Future of the Arab World. Islam, State, and Modernity

Se l’attività propria della filosofia politica è quella di sottoporre ad indagine critica le forme di relazione politica tra gli uomini e le modalità in cui una comunità propriamente politica si forma e struttura, allora il pensiero di Mohammed Abed al-Jabri (Figuig 1935-Casablanca 2010) costituisce un momento imprescindibile nella riflessione filosofico-politica araba contemporanea. Per questo motivo non si può che salutare con grande interesse la pubblicazione della prima analisi approfondita dell’opera dell’autore marocchino disponibile in lingua inglese: Islam, State, and Modernity. Mohammed Abed al-Jabri and the Future of the Arab World, curata da Zaid Eyadat, Francesca Corrao e Mohammed Hashas. Fin dal titolo, essa pone infatti bene in evidenza le interrelazioni tra pensiero politico, religioso e storico-critico all’interno del progetto intellettuale di al-Jabri e della sua opera principale, Critica della ragione araba (naqd al-‘aql al-‘arabī), che nei suoi quattro volumi (La formazione della ragione araba, La struttura della ragione araba, La ragione politica araba e La ragione etica araba) delinea un arco teorico che ripercorre le condizioni di possibilità, i presupposti strutturanti e gli attributi specifici di quel referente affatto peculiare e complesso che è, appunto, la “ragione araba”. Nell’ottica di al-Jabri, tale ragione è peculiare perché costituisce – per così dire – una fonte originaria e “autoautenticante di rivendicazioni valide” (per mutuare un lessico rawlsiano)[1], cioè una matrice da cui sono scaturite in passato e potranno scaturire in futuro categorie filosofiche, religiose, politiche ed istituzionali specifiche. Tale ragione è tuttavia anche complessa, perché, lungi dall’essere monoliticamente omogenea al proprio interno, essa conosce numerose articolazioni e declinazioni, risultato di un patrimonio millenario e di esperienze localmente e temporalmente uniche e non riproducibili. La “ragione araba” è dunque innanzitutto la “ragione degli arabi” nel suo divenire storico e nel suo dispiegarsi geografico dalle coste dell’Atlantico a quelle del Pacifico. Di questo dinamismo sono figli i differenti ordini epistemologico-cognitivi prodotti dalla ragione araba, come quelli individuati in La formazione della ragione araba: il bayān (il sistema dell’analogia e dell’indicazione), l’‘irfān (il sistema della gnosi e dell’illuminazione) e infine il burhān (il ragionamento dimostrativo, proprio dell’indagine filosofica di derivazione aristotelica, che ha conosciuto i propri momenti apicali all’interno del pensiero arabo con al-Kindi, al-Farabi, ibn Hazm, e soprattutto ibn Rushd, più noto in occidente con il nome di Averroè). Di questa differenziazione interna sono anche frutto quelli che per al-Jabri sono gli ordini propri del pensiero politico arabo (definiti in La ragione politica araba come qabīla o tribalismo, ghanīma o bottino e ‘aqīda o dogma/credo: si veda per questo il saggio di Massimo Campanini in Islam, State, and Modernity) e i cinque paradigmi valoriali che contraddistinguono lo sviluppo della “filosofia morale” degli arabi (identificati in La ragione etica araba in quello persiano, quello greco, quello sufi, quello arabo e quello Islamico, considerati nei due saggi firmati da Zaid Eyadat e Hanadi Riyad e da Harald Viersen).

Come ben sottolineato nella prefazione ad opera di Abdou Filali-Ansary, il pensiero di al-Jabri si sviluppa e fiorisce all’interno di un momento culturale di particolare rilievo per la storia araba: quello della decolonizzazione. Per l’autore diviene dunque prioritario sottoporre ad indagine la questione dell’eredità culturale araba e della sua contemporaneità (p. ix). La strada scelta da al-Jabri è quella di una rivalutazione sistematica di tale patrimonio e di un suo ri-impossessamento attraverso una critica serrata dei modi in cui la ragione araba concepisce il mondo e si relaziona ad esso. Tutto ciò si traduce in una visione politica pan-araba che pone al centro il valore cruciale della lingua (araba) come elemento tanto di decostruzione intellettuale, quanto di ricostruzione culturale e di unione politica (p. x). In tal senso, l’operazione compiuta da al-Jabri si colloca su un doppio piano. A livello metodologico, essa delinea senza dubbio una strategia filosofica “alta” e complessa, rivolta agli intellettuali assai più che alle masse. A livello politico, tuttavia, l’opera dell’autore sembra agire secondo una logica di tipo performativo, poiché essa “crea” il proprio pubblico attraverso una ricostruzione in prospettiva storico-critica delle più intime strutture intellettuali e radici cognitive di quest’ultimo. In altri termini, la critica decostruttiva della ragione araba “produce” il pubblico arabo, o meglio dona a quest’ultimo una propria specifica autocoscienza e una più piena consapevolezza di sé. È forse in quest’ultimo aspetto che maggiormente risiede la portata progressista del pensiero di al-Jabri. Ciò non significa, peraltro, spazzare via il ruolo della tradizione. Piuttosto è vero il contrario: è attraverso un’indagine approfondita e obiettiva della tradizione (turāth) che si restituisce ad essa tutto il suo valore euristico e politico nei confronti del suo soggetto (il lettore arabo, membro di quel pubblico a cui si accennava poco sopra). In questo senso, la tradizione può e deve costituire un terreno di emancipazione indispensabile affinché gli arabi possano immaginare e progettare in modo autonomo (nel senso letterale di “retto da sue proprie norme”) la modernità. Così, la critica della tradizione rappresenta il ponte più idoneo per riconnettere il passato al futuro, ripensando il presente grazie alle risorse interne messe a disposizione dalla tradizione araba stessa.

Sarebbe nondimeno riduttivo ricondurre il valore dell’opera di al-Jabri alla sola dimensione politica, per quanto quest’ultima risulti fondamentale per l’autore e sia sempre leggibile in filigrana, persino nelle pagine più teoretiche della sua indagine. Accanto a tale piano, ve ne sono almeno altri due che i contributi di Islam, State, and Modernity fanno emergere in piena luce. Anzitutto, tramite la lettura di questo libro è possibile riconoscere chiaramente uno dei principali meriti epistemologici dell’opera di al-Jabri, ovvero la riappropriazione (in forma nuova) della specificità dell’occidente musulmano sotto il profilo filosofico. Infatti, come giustamente ricorda Abdou Filali-Ansary nella prefazione al libro, contrariamente allo:

«assunto, ampiamente diffuso all’interno dei circoli intellettuali arabi, che il fiorire culturale dell’occidente medioevale musulmano (il Maghreb e al-Andalus) fosse un’eco di quanto era accaduto nell’oriente musulmano, una tarda emanazione o imitazione dell’alta cultura orientale […, al-Jabri] ha chiaramente affermato che è stato nell’occidente musulmano che l’ideale della dimostrazione razionale (burhān) è emerso ed è stato in seguito adottato dalle istituzioni europee erudite e ha portato alla nascita della scienza e della filosofia moderne. Allo stesso tempo, l’oriente musulmano era “stregato” dall’ideale del sapere mistico (‘irfān) e ha girato le spalle alla ragione e alla razionalità» (p. xi, mia traduzione).

In secondo luogo, la traiettoria storico-filosofica tracciata da al-Jabri è posta all’interno di un dialogo diacronico e sincronico con numerose altre voci di autori appartenenti alla tradizione arabo-islamica, a quella europea o a cavallo tra le due. Ad esemplificazione di questa polifonia, sono chiamati in causa – tra gli altri – Machiavelli, Gramsci, Averroè, ibn Khaldun (nel capitolo di Campanini), la tradizione mu’tazilita, al-Kindi, al-Farabi e ibn Hazm (si veda il saggio di Corrao), i principali esponenti di momenti cruciali per la storia arabo-islamica come la c.d. nahḍa (Rinascimento) e il nazionalismo arabo (si rimanda al contributo di Hashas), Marx e Foucault (si veda il capitolo di El Ahmadi). Infine, ampio spazio è dedicato alla critica del pensiero di al-Jabri (soprattutto ad opera del siriano George Tarabishi nel suo La critica della critica della ragione araba, si veda ad esempio lo scritto di Barghouti, Daher e Mseis), alla sua fortuna contemporanea e al suo recepimento in Europa e negli USA (si vedano gli studi di Hegasy e Brahimi).

Il merito specifico di Islam, State, and Modernity è di portare al lettore non arabofono il contributo di al-Jabri al pensiero contemporaneo. Un contributo che ambisce a nulla di meno che «svelare i moventi ideologici che permeano le strutture e i sistemi epistemologici che hanno costituito la storia del mondo arabo-islamico» (p. 9, mia traduzione), e che per farlo non esita ad operare un’integrazione profonda tra saperi diversi, come la storia, la filosofia, la linguistica, la teologia, l’antropologia e la sociologia, nel suo incessante «scavare nei sistemi di conoscenza del mondo arabo-islamico e nel modo in cui essi si sono manifestati nella politica reale» (ibid.). Nella sua ricerca, al-Jabri mostra continuamente che la tradizione non rappresenta solo una dimensione remota, esaurita e consumata dal tempo, ma una fonte di risorse imprescindibili per trasformare l’inazione in azione e modificare il presente. Un’opera che, in ultima analisi, è anche un possente e profondo richiamo (valido tanto per gli arabi di oggi e di domani quanto per chiunque altro) al fatto che il sapere è potere. Ed ecco quindi riemergere il valore filosofico-politico del pensiero di al-Jabri, che intellettualmente travalica i confini del mondo arabo per assumere una portata davvero universale.

[1] John Rawls, Liberalismo Politico. Nuova edizione ampliata. Torino: Einaudi, 2012. Pp. 31 e 67.

 

Titolo: Islam, State, and Modernity. Mohammed Abed al-Jabri and the Future of the Arab World

Autore: Zaid Eyadat, Francesca M. Corrao e Mohammed Hashas

Editore: Palgrave Macmillan

Pagine: 320

Prezzo:

Anno di pubblicazione: 2018



Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *