Ricordando Bianca Beccalli,
tra sociologia e diritti delle donne

Bianca Beccalli (Pavia, 26 ottobre 1938 – Milano, 17 ottobre 2024) ci ha lasciato così, attraversando una lunga fila di amici i cui volti tradivano una profonda emozione, mentre cercavano di rimettere in ordine momenti sovrapposti di una vita condivisa.

L’ultimo rito collettivo per salutarla si è svolto in un luogo che, a prima vista, potrebbe sembrare inconsueto per una persona laica come lei: il tempio valdese di Milano in via Francesco Sforza, uno spazio ampio, spoglio e accogliente. Anticipando la domanda di molti di noi, la pastora Di Carlo e il marito di Bianca, Michele Salvati, hanno spiegato la scelta di questo luogo, affermando la compatibilità tra laicità e spiritualità, senza la necessità di aderire formalmente a una religione. Viene così chiarito il motivo della scelta del luogo: Bianca e Michele si erano sposati nel 1963 davanti al sindaco di Torre Pellice. Frequentavano amici valdesi, insieme a un gruppo di compagni, da cui erano  poi nati i Quaderni rossi. Era come tornare a un luogo familiare, capace di offrire conforto e condivisione. Anche in quest’ultima occasione, mentre ci congedavamo da lei, Bianca è riuscita a riunire, come era solita fare, molte parti della sua vita intrecciandole con le nostre, senza soluzione di continuità. Significava riconnettere persone che non si vedevano da tempo, protagoniste di progetti e battaglie comuni, in un’atmosfera di profonda commozione, poiché Bianca sapeva toccare le corde dei sentimenti.

Bianca era un multiverso dinamico, difficile da condensare in poche parole. La sua incessante ricerca esistenziale e professionale, caratterizzata da una continua mobilità spaziale, rappresentava un tentativo di esplorare nuove vie di pensiero e di pratiche politiche, capaci di rispondere alle vorticosi trasformazioni di una società che metteva in crisi qualsiasi consolidata filosofia della storia. Nel corso della sua vita, Bianca ha attraversato molte generazioni politiche del Novecento, relazionandosi di volta in volta con le questioni emergenti e i movimenti che si manifestavano sulla scena sociale. Dalle lotte operaie nelle fabbriche alle rivendicazioni delle donne, Bianca ha sempre cercato di trasformare la libertà in una pratica quotidiana di vita e di rispetto reciproco.

Era, prima di tutto, una donna di relazioni, costantemente alla ricerca di legami in grado di unire persone apparentemente distanti per interessi, competenze e generazioni, ma accomunate dalla volontà di cambiamento e dalla visione di un presente iniquo che poteva essere trasformato. Bianca incarnava la volontà di vivere con pienezza, la gioia di assaporare ogni momento, senza farsi fermare da difficoltà o inibizioni. Anche quando le malattie (plurime) l’hanno colpita, non ha mai rinunciato al piacere di ballare: il deambulatore o una sedia diventavano supporti per le sue danze durante le feste in compagnia, simbolo della sua inesauribile voglia di vita.

Nata a Pavia nel 1938, in una famiglia liberale attivamente impegnata nella vita culturale della città, Bianca era figlia di Francesco, un maestro di pianoforte che aveva seguito il giovane Pollini, e di Marija, originaria di Dubrovnik, una radice culturale che ha improntato la figlia. Fin dai tempi del liceo, negli anni Cinquanta, Bianca si era distinta per il suo spirito critico, per la sua adesione al nascente movimento studentesco e per la sua partecipazione alla goliardia politica dell’epoca, dimostrando che per lei impegno e divertimento non erano antitetici. Socialista convinta, mostrava fin da subito una certa insofferenza nei confronti della “scienza normale” e delle gerarchie accademiche, cercando un approccio diverso al sapere, capace di interpretare un mondo in costante cambiamento. La sociologia, una scienza allora emergente in Italia, orientata a comprendere le nuove relazioni sociali e lavorative, offriva proprio quello spazio di esplorazione che cercava.

La sua curiosità intellettuale e umana la spinse a cercare ispirazione all’estero, lontano da ogni forma di provincialismo. Bianca fu, infatti, una delle prime ricercatrici italiane a vivere, studiare e formarsi in altri Paesi, partecipando a lezioni di Alain Touraine a Parigi e lavorando in centri di ricerca e università internazionali, come ad esempio a Berlino, Londra, Cambridge (Stati Uniti), Washington, Canberra e Buenos Aires. Nonostante ciò, Milano è sempre rimasta al centro del suo mondo, sia per ragioni familiari – l’unione con Michele, mai incrinata, in cui lei rappresentava la parte più radicale e sfidante, insieme alla cura della figlia Marta – sia per ragioni politiche, come dimostrato dal suo ruolo attivo nel Consiglio comunale. Inoltre, dal punto di vista sociologico, Milano rappresentava (e continua a rappresentare) una città capace di rivelare in anticipo tanto le patologie quanto le innovazioni sociali.

Nel corso degli anni, l’interesse di Bianca per le lotte operaie si è venuto a intrecciare con le battaglie per i diritti delle donne (dall’aborto al lavoro) e per il riconoscimento di tali tematiche negli studi universitari. Non si trattava solo di ricerca accademica, ma di una visione sociale e programmatica, orientata a promuovere politiche pubbliche inclusive, fondate su una prospettiva di genere. Grazie alla sua indole non convenzionale e alla sua intelligenza intuitiva, Bianca fu senza dubbio un’innovatrice dei saperi.

Questi interessi trovarono piena realizzazione nella sua cattedra di Sociologia del lavoro e delle pari opportunità presso il Dipartimento di studi del lavoro e del welfare dell’Università di Milano. Nel 1995 fondò – fra i primi in Italia – il Centro Interdipartimentale Donne e Differenze di Genere, Bianca seguì poi il dibattito sulle quote delle donne nella rappresentanza politica, con la cura del libro Donne in quota (1999). Nel 2009 istituì un corso di specializzazione interdisciplinare in Diritti, Lavoro e Pari Opportunità. Sebbene oggi gli studi di genere siano, almeno in parte, accettati e consolidati nelle università italiane (nonostante gli attacchi della destra pro-vita), il loro riconoscimento e la loro istituzionalizzazione sono il risultato dell’impegno di ricercatrici e docenti che hanno saputo portare e rielaborare nell’accademia le pratiche e il sapere provenienti dal movimento femminista.

La mia vita ha così incrociato quella di Bianca più volte, in diverse fasi, luoghi, in situazioni personali e momenti professionali, senza mai perderci di vista. Ci ha unite la comune frequentazione di Emilio Agazzi, suo professore di Filosofia al liceo di Pavia e mio professore all’Università di Milano, con il quale condividevamo la tradizione di un marxismo critico ed etico, contrario a ogni ideologia dominante e favorevole a un pensiero critico anche verso sé stesso. Successivamente, ci siamo ritrovate a discutere di movimenti femministi e di questioni di genere, quando ero dottoranda all’Istituto Universitario Europeo di Fiesole e, più tardi, quando ero senior researcher al Gender Institute della London School of Economics. Abbiamo avuto molte occasioni di dialogo e di progettualità, spesso legate alla rivista Reset, fondata da Giancarlo Bosetti, quando cercavamo di ripensare una sinistra liberale che non dimenticasse l’eredità del socialismo. Ho ritrovato poi Bianca in innumerevoli conferenze, in vari luoghi e in occasioni amicali, sempre intenta a creare reti e collaborazioni.

Le descrizioni degli impegni di lavoro avuti con Bianca non possono tuttavia esulare da quel senso di gioia di vivere che significava per lei la capacità di non lasciarsi mai sopraffare dallo sconforto, anche quando veniva a considerare paradossalmente la malattia come un’opportunità di vita.
L’insegnamento di Bianca è che il pensiero non può mai essere disgiunto dalle passioni e che i desideri possono trovare la loro realizzazione anche quando i tempi bui sembrano prevalere.

Ciao, Bianca.

 

Questo articolo è stato in origine pubblicato su Globalist dal collettivo giornalistico GIULIA. 

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