Nove anni fa, il 13 marzo del 2013, Jorge Mario Bergoglio veniva eletto vescovo di Roma, scegliendo il nome di Francesco. Come è ben noto è stato il primo nella storia della Chiesa cattolica a scegliere il nome del Santo di Assisi. Questo pontificato ha indicato sin dall’inizio l’opzione preferenziale per i poveri, nel quadro teologico della fratellanza. Già nel discorso pronunciato quella sera, presentandosi ai fedeli, al centro del suo breve saluto disse: “Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza”. Queste parole, pronunciate ancor prima del famoso “Come vorrei una Chiesa povera, per i poveri” hanno indicato che l’opzione preferenziale per i poveri si inquadra o discende dall’opzione di fondo, quella per la fratellanza. Dunque nelle ore in cui la guerra ucraina sembra dare o minacciare di dare un collante alle tante guerre che costituiscono i pezzi dei conflitti che dilaniano il mondo, sembra indispensabile chiedersi se quello di Francesco sia un pontificato perdente, ormai vano. Per usare il titolo fulminante di un articolo del direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, scritto dopo il sinodo sull’Amazzonia, “è ancora attiva la spinta propulsiva del pontificato?”
La mia impressione a questo riguardo è che il pontificato di Francesco è ormai di tutta evidenza un pontificato globale. Non soltanto nel senso che ha completato la globalizzazione della sua Chiesa, rendendola non solo teologicamente non più costantiniana – cioè non più convinta di essere la società perfetta e quindi ispiratrice del giusto potere temporale – ma anche concretamente non più tale, cioè non più una Chiesa dalle mani legate all’Occidente e alle sue politiche, ma Chiesa globale e quindi dalle mani libere. Così facendo Francesco ha reso anche il suo pontificato un pontificato globale, offrendo una leadership morale globale, per tutta l’umanità, al di là dei confini confessionali e identitari.
Le indicazioni in tal senso sono state numerose, dentro e oltre il dialogo tra Chiese. Se mai prima di lui un papa aveva partecipato ad una cerimonia commemorativa di Martin Lutero, mai un papa aveva inserito nella delegazione pontificia che lo ha accompagnato a Gerusalemme un rabbino e un imam, mai un papa aveva risposto a un non credente come Eugenio Scalfari ricordando ciò accomuna i figli dei lumi e i discepoli di Gesù: entrambi hanno scelto la luce. Se questo ci ricorda che Giovanni Paolo II disse a Parigi che “libertà, uguaglianza e fraternità sono parole cristiane”, cogliamo in Bergoglio un procedere nel solco di quel grande discorso, anche con gli altri credenti.
Il punto più alto, non sufficientemente notato, lo ha raggiunto firmando con l’imam dell’Università di al-Azhar, Ahmad al Tayyib, il Documento sulla fratellanza umana, nel quale si dice: “La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano”. È difficile non cogliere la portata epocale di queste parole e il motivo per cui in tanti abbiano volute oscurarle. Questa visione ha fatto scattare una reazione, esplicitando i diversi fondamentalismi cristiani, che hanno tentato di opporgli una sorta di “ecumenismo dell’odio”, che possiamo chiamare così facendo nostro anche qui un altro folgorante titolo di un saggio firmato da padre Spadaro e dal pastore protestante Marcelo Figueroa. L’ecumenismo dell’odio unisce, ma contro l’altro.
Se questo è diventato evidente nel confronto religioso, è però ancor più evidente che l’enciclica “Fratelli tutti” ha costruito una base di riferimento non limitata al mondo cattolico, ma disponibile a tutto il mondo cristiano e agli altri. Il pontificato ha svolto così una vera funzione “propulsiva” della ricerca d’incontro nella fratellanza, che presuppone l’essere diversi. La globalizzazione piatta, quella che elimina la differenza tra i popoli, ha nella fratellanza di Bergoglio un’alternativa sostitutiva, non oppositiva: dopo di essa non si deve tornare nelle caserme, ma creare insieme la globalizzazione che lui ha definito “poliedrica”, cioè quella non piatta, una globalizzazione riguardosa delle diversità. Il mondo delle fedi assume il pluralismo come parte sapiente del progetto divino, cogliendone la diversità dal relativismo. La fratellanza diviene così uno sguardo cosmico sulla complessità, dell’umano e del creato.
Per il patriarca di Mosca invece il progetto di Dio è la sua legge eterna e immodificabile, da capirsi in modo eternamente immodificabile come l’abbiamo ricevuta e capita noi. Il conflitto per lui è apocalittico, tra figli del Bene e figli del Male. La sua recente omelia lo dice esplicitamente, indicano che la tradizione russa si oppone alla deriva occidentale, rendendo il conflitto metafisico anche etnico.
Il pontificato di Francesco oppone a questa visione non un occidentalismo identitario e chiuso. Vede le radici cristiane dell’Occidente come un qualcosa da rendere vivo ed evidente nella quotidianità, assai più che nei documenti. E in fondo, la legge di Dio può forse contemplare le attuali azioni militari di Mosca?
Ecco perché proprio il conflitto ucraino dimostra la forza del pontificato. Sia nella scelta di portare l’Ucraina nella Nato sia in quella di farne un vassallo silente dell’impero moscovita si ritrova la debolezza della negazione dell’altro. Sia il dissenso russo che il timore di emarginazione di Mosca che la resistenza ucraina si incontrano in questa evidenza, che l’altro non si può negare. Sono i motivi di fondo per cui vedo in Francesco un pensiero aperto, che sfida tutti i pensieri rigidi. E come ha scritto lui stesso la carne dell’uomo è rigida solo dopo la morte. Per questo la crisi Ucraina più che rendere vano dimostra la centralità di un pontificato che sembra indicarci la leva per evitare che il mondo si strappi.
Foto: Andreas SOLARO / AFP.