Si è spento all’età di 77 anni Luigi Covatta, storico dirigente socialista e direttore della rivista Mondoperaio. Reset lo ricorda in queste righe con amicizia e commozione, e si stringe idealmente alla moglie Nicla.
Se n’è andato improvvisamente, nonostante fosse da tempo impegnato contro qualche serio guaio alla sua salute, Luigi Covatta, 77 anni, dirigente socialista con un bel corso alle spalle, e da tredici anni direttore di «Mondoperaio», rivista che mandava avanti con un suo stile inossidabile, ostentatamente fuori dallo spirito dei tempi nella veste e nel linguaggio, ma con una grande cultura e una inestinguibile passione politica riformista. Passione per l’analisi del presente e molta, intensa attenzione, per la storia della sinistra. Aveva fatto parte della squadra di Bettino Craxi, insieme ad Amato, Martelli, De Michelis e, soprattutto, con l’amico Gennaro Acquaviva, accanto al quale ha creato la Fondazione Socialismo, da cui scaturisce tanta documentazione storica delle vicende del Psi.
La passione fortissima per la politica, le sue parole, le sue sottigliezze, non era faziosa e lo spingeva invece a sviluppare l’arte della discussione, di cui era maestro, senza risparmio di tempo e con una grande precisione nelle ricostruzioni. Queste potevano sempre risvegliare animosità, specie quando si arrivava al punto delle «responsabilità» per quel che era andato male, nella storia del Psi e in generale nella storia di tutta la sinistra, ma Covatta le sapeva gestire da equanime presidente delle tante conferenze nate sotto le insegne di «Mondoperaio». Luciano Cafagna, finché c’è stato (2012), da storico, le alimentava come nessun altro e le conduceva verso sbocchi illuminanti, con i suoi libri e i suoi articoli sulla rivista.
Covatta era entrato nella mia vita su un versante avverso. Cinquant’anni fa era diventato presidente dell’Intesa, l’associazione universitaria cattolica, in una fase in cui si profilava da parte dell’Ugi, la sinistra, una alleanza trasversale che doveva comprendere i cattolici. Io ed altri con me, giovani alle prime armi in quella complicatissima politica, (saremmo poi finiti, alcuni di noi, come giornalisti all’Unità, organo del Pci) vedevamo nell’Intesa la longa manus della Dc e del ministro Gui, allora titolare di una riforma universitaria che combattevamo. Spuntarono anche scritte negli atenei contro «Gui e la sua ‘covatta’ di intesini». Dissentivamo e volevamo l’unità della sinistra, come chiedeva Giorgio Amendola. Fummo perciò espulsi dall’Ugi.
Con Gigi queste rievocazioni erano esilaranti. La sua anima cattolica in realtà confluì non nella Dc ma tutta nel Psi, passando attraverso il Movimento Politico dei Lavoratori, fondato da Livio Labor, e il suo contributo di idee in quel che fece da deputato o da sottosegretario nei ministeri dell’istruzione e della cultura. Fu una componente che, con Acquaviva, sospinse il lavoro per la revisione del Concordato firmata da Craxi nel 1984. Gigi Covatta non fece più politica attiva, solo la rivista. Ma una volta, avvicinandosi la scadenza della presidenza di Napolitano nel 2013, ci venne voglia di coinvolgere «Mondoperaio» e, insieme, «Reset» in un appello per la sua rielezione, di fronte allo stallo evidente. Un giornale che ora non esiste più rovinò la sorpresa di questa «cospirazione», che doveva uscire al momento opportuno, e Napolitano ci bocciò con un secco comunicato, che ci stese. «Però poi fu rieletto», chioserebbe tuttora Gigi, sornione.
Quest’articolo è stato pubblicato su La Repubblica del 19 aprile 2021.