La sfida di Francesco a laici e credenti:
uno sguardo cosmico sul mondo

Al cuore del messaggio dell'enciclica "Fratelli tutti"

C’è qualcosa di fondo nell’enciclica “Fratelli tutti” che mi sembra sottovalutato, mentre conta moltissimo. Questo qualcosa può essere detto in una battuta: uno sguardo cosmico. Leggere che per alcuni credenti i veri fratelli sono i fratelli nella fede, non tutto il prossimo, è così facile da farci capire quanto importante sia questo sguardo cosmico. È questo sguardo che ci fa capire quanto simili siano tutti i fondamentalisti, quelli che credono che fuori dalla loro verità ci siano solo false credenze e quindi una falsa umanità, come ha detto padre Paolo Dall’Oglio.
Ma intanto credenti e non credenti, chiusi nel guscio consumista o nell’emergenza del dover sopravvivere, hanno il modo di guardare con sguardo cosmico alla loro esistenza? Mentre cerca di aprire gli orizzonti ai credenti chiusi nel recinto della fratellanza di fede ed a farlo anche con gli altri, questa enciclica chiede a tutti di andare anche oltre e capire che siamo in relazione fraterna anche con gli ecosistemi. Non c’è una pretesa di perfezione in Francesco. È stato lui stesso a dire, non tanto tempo fa, che anni addietro era indifferente alle idee ecologiste. Ora non lo è più. Questo coraggio di riconoscere, di cambiare, di guardare più avanti mi fa dire: e i cosiddetti secolarizzati dell’Occidente? Difficile pensare che in ambienti dove l’ordine del giorno si chiama “sopravvivenza” sia più facile. Questi ambienti sono più diffusi in certe aree del pianeta, ma possono essere ovunque. Tutti i guai che ci sono in mezzo tra la società consumista e quella degli scartati si possono avviare a soluzione solo con uno sguardo cosmico, perché bisogna rimettere a posto il nostro rapporto con la natura e poi tra di noi. Quanto pesano le catastrofi ambientali in questo sconquasso? E le guerre finalizzate al controllo delle risorse del suolo o del sottosuolo? È questa la prospettiva più importante di “Fratelli tutti”, quella che il papa ha voluto si chiamasse “ecologia umana integrale”. Ha scritto padre Antonio Spadaro in un commento all’enciclica appena pubblicato da Marsilio, Fratelli tutti: «Si tratta di un’Enciclica che, in un mondo afflitto da torri di guardia e mura protettive, vuole escludere dallo sguardo del cristiano ogni desiderio di dominio sugli altri, promuovendo invece un’umile e fraterna sottomissione.” Umile e fraterna, queste parole spiegano la “sottomissione” contrapposta al dominio».

Per riuscirci bisogna superare il più antico suprematismo: quello per cui l’uomo è stato fatto per esercitare dominio sulla natura. Dominio… Quante catastrofi sono nate dall’idea di “dominare”. Chi parlava di dominio secoli fa forse pensava a rendere coltivabili aree incolte del pianeta, o cose così. Ma ora il dominio è diventato quel che sappiamo, sfruttamento selvaggio delle risorse di suolo e sottosuolo. Ecco allora che con umiltà verso una natura non più da dominare, piegare a qualsiasi fabbisogno, si rispettano equilibri e differenze e con fraternità si rinuncia ad altre idee di “dominio”. Questa enciclica ci chiede tante cose al riguardo: dapprima ci chiede se ci rendiamo conto che misuriamo ancora la soglia di povertà come accadeva tanto tempo fa, quando certi bisogni non erano necessità. Poi ci chiede quale altra opzione oltre alla guerra ci rimarrà quando le risorse non saranno più sufficienti per soddisfare questi standard. Considerare entrambe le domande è molto importante. La corsa all’approvvigionamento spesso serve anche per il superfluo, ma altrove può comprimere il necessario. È uno squilibrio evidente nel mondo, in tanti territori non esistono fogne ma è diffuso il telefonino. Nel citato commento di padre Spadaro è importante notare al riguardo: “se il dramma descritto in precedenza dal Papa era quello della solitudine dell’uomo consumatore chiuso nel suo individualismo e nella passività dello spettatore, occorre trovare una via d’uscita. E il primo dato di fatto è che nessuno può sperimentare il valore della vita senza volti concreti da amare. Qui sta il segreto dell’autentica esistenza umana, perché la vita sussiste dove c’è legame, comunione, fratellanza.” È il rapporto tra individuo e comunità, che può essere colto appieno solo recuperando almeno in parte uno sguardo cosmico, che è divenuto indispensabile visto che viviamo in un mondo che è già globalizzato, e che non cesserà di esserlo per i nazionalismi. Le borse, internet, il web, non saranno distrutti dai nazionalismi. A un mondo mal globalizzato serve uno sguardo cosmico per scoprire ciò che auspica l’enciclica, l’unità nella diversità, né l’uniformità né la contrapposizione. Prosegue il direttore de La Civiltà Cattolica: “l’apertura al mondo descritta da Francesco produce una tensione sana tra globalizzazione e localizzazione per evitare sia di essere eremiti localisti sia di essere globalisti astratti. L’universalità – nel senso qui usato – non ha nulla a che vedere con la tentazione della torre di Babele, cioè “il dominio omogeneo”. E poi soggiunge che a stare chiusi in sé stessi ci si ammala.
Questo sguardo cosmico scorge la fratellanza universale tra natura, ecosistemi, e umano. E quindi ci invita a scorgere il fondamento della fratellanza. Senza le culture del deserto, delle foreste, dei mari, dei monti, delle campagne, dei fiumi, in che mondo vivremmo? Queste culture servono a tutte le culture, anche a quella dei cittadini. Dunque il mondo non deve essere popolato da persone uguali. E se non devono essere uguali devono essere diverse: di sesso, cultura, religione, lingua e altro ancora. È quello che è entrato nell’universo cattolico con l’idea di “inculturare” il cristianesimo, cioè portarlo dentro le varie culture, rispettandole. Poi è cresciuto, e con il Concilio Vaticano II ha riconosciuto semi di verità anche nelle altre religioni, che la Chiesa cattolica “tutte rispetta”. È stato un passo avanti enorme, ancora poco capito e assimilato. Ma Francesco, primo papa del dopo Concilio a non essere stato padre conciliare, non si occupa più di interpretare il Concilio, ma di attuarlo. E per attuarlo ha scelto di stare nel solco conciliare, camminando. Ecco che nel 2019, nel documento sulla fratellanza firmato con l’imam di al-Azhar, ha continuato a camminare nel solco del Concilio: “La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano.” La rilevanza del passo compiuto da Francesco per chiarire l’importanza della fraternità plurale spiega l’epocalità del passo compiuto dal suo interlocutore, evidente a occhio nudo pensando alle idee che circolano nel suo mondo al riguardo, anche se per molti il radicamento islamico di quanto da lui firmato è chiaro. Tutto sommato il Corano definisce Gesù il nuovo Adamo, Messia. Ma quanti hanno preferito e ancora preferiscono fingere di non capire. Ma non vedere l’inizio non avvicina la fine.

Così ora c’è un’enciclica a dire che abbiamo il diritto a non essere uguali, che le diversità sono una ricchezza. Passare dall’ordine mentale del “fuori dalla Chiesa non v’è salvezza” a questo non è poco. Ma non è poco anche per i figli dei lumi riconoscere che non esiste una scienza naturale capace di condurci alla felicità umana uguale per tutti. Chi sia o sia stato di formazione marxista potrà porsi tante domande: non si è pensato anche lì che ci fosse una sola ricetta? Infatti al punto n. 100 di “Fratelli tutti” si chiarisce che con la fratellanza fondata sulla presa d’atto che siamo tutti della stessa carne non si propone “un universalismo autoritario e astratto, dettato o pianificato da alcuni e presentato come un presunto ideale allo scopo di omogeneizzare, dominare e depredare. C’è un modello di globalizzazione che «mira consapevolmente a un’uniformità unidimensionale e cerca di eliminare tutte le differenze e le tradizioni in una superficiale ricerca di unità. […] Se una globalizzazione pretende di rendere tutti uguali, come se fosse una sfera, questa globalizzazione distrugge la peculiarità di ciascuna persona e di ciascun popolo». Questo falso sogno universalistico finisce per privare il mondo della varietà dei suoi colori, della sua bellezza e in definitiva della sua umanità. Perché il futuro non è “monocromatico”, ma, se ne abbiamo il coraggio, è possibile guardarlo nella varietà e nella diversità degli apporti che ciascuno può dare. Quanto ha bisogno la nostra famiglia umana di imparare a vivere insieme in armonia e pace senza che dobbiamo essere tutti uguali!”

Così si può dire che in questa che sembra a molti “l’epoca illiberale” il pluralismo riparte di qui, da quello che per Francesco è il sapiente progetto divino, che include, non esclude. Infatti ai punti 213 e 214 si legge: “Se bisogna rispettare in ogni situazione la dignità degli altri, è perché noi non inventiamo o supponiamo tale dignità, ma perché c’è effettivamente in essi un valore superiore rispetto alle cose materiali e alle circostanze, che esige siano trattati in un altro modo. Che ogni essere umano possiede una dignità inalienabile è una verità corrispondente alla natura umana al di là di qualsiasi cambiamento culturale. Perciò l’essere umano possiede la medesima dignità inviolabile in qualunque epoca storica e nessuno può sentirsi autorizzato dalle circostanze a negare questa convinzione o a non agire di conseguenza. L’intelligenza può dunque scrutare nella realtà delle cose, attraverso la riflessione, l’esperienza e il dialogo, per riconoscere in tale realtà che la trascende la base di certe esigenze morali universali. Agli agnostici, questo fondamento potrà sembrare sufficiente per conferire una salda e stabile validità universale ai principi etici basilari e non negoziabili, così da poter impedire nuove catastrofi. Per i credenti, la natura umana, fonte di principi etici, è stata creata da Dio, il quale, in ultima istanza, conferisce un fondamento solido a tali principi. Ciò non stabilisce un fissismo etico né apre la strada all’imposizione di alcun sistema morale, dal momento che i principi morali fondamentali e universalmente validi possono dar luogo a diverse normative pratiche. Perciò rimane sempre uno spazio per il dialogo.” È un punto centrale del discorso che l’umanesimo laico dovrebbe approfondire: l’illusione di una ricetta scientifica capace di scoprire una felicità uguale per tutti o il confronto sullo sguardo cosmico, i capisaldi comuni e la collaborazione tra i diversi? Vale la pena tornare in chiusura a quanto viene pubblicato in queste ore da padre Spadaro: “La cultura dell’incontro non è un bene in sé, ma un modo per fare il bene comune, il più comune dei beni senza negare diritti né opportunità.” Si potrà obiettare che il bene comune non sia in sé raggiungibile, ma quale altro percorso potrebbe garantire più diritti e opportunità?

 

Foto: Andreas Solaro / AFP

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