Tempo, spazio, contatto. Sono i tre elementi che abbiamo riscoperto, felici, da poche settimane, con l’agognata “riapertura”. Assaporiamo l’aria, azzardiamo abbracci, torniamo a viaggiare. E per molti, finalmente, a lavorare. Eppure. Eppure le ferite di questa pandemia resteranno a lungo dentro di noi: per i lutti e i dolori patiti, certo, ma anche per le conseguenze più profonde della reclusione. Che, lo si è scritto, non hanno portato sempre e ovunque al “ne usciremo migliori” di cui si vagheggiava all’ingresso nel tunnel. Resta la diffidenza, la paura dell’altro, resta la concentrazione spasmodica su se stessi e i propri “congiunti” – già connaturata. Resta, per molti, la disabitudine al confronto “reale”, rafforzata da un anno abbondante vissuto in un Altrove digitale.
Ecco perché ora che è giunto il tanto atteso tempo della ripartenza, le istruzioni per l’uso non possono essere soltanto quelle contenute nel PNRR. C’è bisogno di tornare alla crescita, sì; agli investimenti, indubbiamente; alla transizione “verde e digitale” cui nessuno oserebbe dirsi contrario. Ma serve anche, si consenta di dire serve prima, qualcosa d’altro e di più: intendersi sulle lezioni sociali che abbiamo appreso dall’epoca dei lockdown, e cercare fra gli slanci, le emozioni e le riflessioni di quei mesi gli strumenti di cui dotarci per la nuova fase alle porte. Serve, in due parole, individuare le risorse morali per la ricostruzione.
Dove e come trovarle? È la questione al cuore di questo Dossier, che quelle risposte cerca tra libri, riflessioni e voci d’autore. A cominciare da quelle di alcuni esponenti delle principali fedi che abitano – più o meno visibilmente – il nostro territorio: dal cattolicesimo all’Islam, dall’ebraismo al buddhismo. Possono ancora costituire un serbatoio di energie morali e coesione, come sostengono all’unisono i loro rappresentanti qui interrogati? E le associazioni (e il pensiero) laico sanno proporre stimoli ugualmente forti di solidarietà in grado di bilanciare le spinte distruttive dell’individualismo dilagante?
Food for thought, dicono gli anglosassoni. Buona lettura.